Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Jamòn de Pata Negra: vita da porci per il piacere del palato

Per raggiungere l’alta qualità il maiale maschio viene castrato a soli due mesi mentre alle femmine vengono asportate le ovaie per farli ingrassare e poi lasciati liberi in grandi spazi ad alimentarsi. In Spagna il taglio del jamòn è un rito liturgico e un’operazione commerciale

Jamòn Pata Negra
Jamòn Pata Negra

Con questa terza puntata si conclude il servizio sulla storia del più famoso prosciutto iberico: il Pata Negra, e della particolare razza di maiali. Poco dopo la nascita, all’età di due mesi, il cerdo viene castrato e alla femmina sono asportate le ovaie, per facilitarne l’ingrassamento e per evitare che poco esaltanti aromi di ormoni sessuali si trasferiscano dal pelo nella carne.

Per il resto dei suoi giorni al maiale non resta che crescere in spazi sempre più generosi (l’ideale, commentano gli esperti, sarebbe un intero ettaro a disposizione di un solo cerdo) pascendosi esclusivamente delle già lodate ghiande fino a quando, verso l’inverno, i frutti di querce e sugheri scompariranno e la sua alimentazione avverrà per il resto dell’anno con il pienso (mangime). Prima del Sacrificio, che avviene come detto durante la Montanera, si compiono i destini del jamòn e i suoi quarti di nobiltà sono decisi dalla alimentazione finale. Se all’animale, oltre alle ghiande, viene somministrato anche altro mangime (per vari motivi, ad esempio la necessità di maggior peso o l’assenza di ghiande dovuta alla siccità), il futuro prosciutto sarà ovviamente un pata negra ma con denominazione “de recebo”, e costerà un filino meno caro nei tanti Museos e Catedrales del Jamòn delle grandi città spagnole. La zampa del maiale che prima del Sacrificio é stato nutrito soltanto con ghiande, avrà invece diritto di fregiarsi del nobile titolo, documentato con apposita etichetta e menzionato su ogni menu che si rispetti, di pata negra de bellota.

Le tecniche di taglio, un rito liturgico

Il taglio dello Jamòn
Il taglio dello Jamòn

In Spagna, in un ristorante o in famiglia, il taglio del jamòn è contestualmente rito liturgico e operazione commerciale (con quel costo, meglio buttar via il meno possibile).
Dopo aver tagliato con un robusto machete la dura (corteza) pelle all’altezza del jarrete (garretto) il prosciutto va fissato sul jamonero – il marchingegno di supporto, in alcune regioni d’Italia chiamato “violino” – per essere affettato con il cuchillo jamonero, lungo e affilato coltello da maneggiare a mo’ di archetto come se si suonasse uno Stradivari.

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La posizione del jamòn sull’apparecchio sacrificale dipende dai tempi previsti per il suo consumo. Se, per esempio in famiglia, si prevedono tempi lunghi la pezuña (palma del piede) va rivolta abajo (verso il basso), in modo da affettare subito la parte più dura e dar tempo a quella molle di rassodarsi. Se invece il jamòn sarà goduto alla svelta (accade nei ristoranti) meglio sistemarlo con la pezuña arriba, palma in su: tanto vale infatti, anche per motivi estetici, tagliare subito la parte superiore, più fresca, che comunque non avrebbe tempo per stagionarsi, e poi girare la zampa e degustarne la parte inferiore, che dura era e tale sarà rimasta.

Nessuna strategia per il taglio della paleta (spalla): la pezuña va sempre abajo. Spinto da un polso e da una mano non rigidi (come giocando al tennis si può tagliare il jamòn anche ‘di rovescio’) il coltello deve entrare nel prosciutto, a un quarto della sua lunghezza dal manico, con un movimento armonioso – colpi lunghi e ben distesi – e ininterrotto; evitare gli escalones (gradini) in caso contrario occorre intercalar (livellare); non importa se il livellamento produrrà mini-fettine. Ne sortirà una fetta (loncha) che nel nord della zona di allevamento del cerdo iberico (Salamanca, Extremadura) si usa tagliare più lunga, grazie anche alla precedente asportazione dell’osso femorale, il violìn, mentre in Andalusìa – dove tre fette fanno una tapa (assaggio) – l’osso resta e se bordea il cuchillo intorno.

Il momento dell’assaggio

Un bel piatto di Jamòn Pata Negra
Un bel piatto di Jamòn Pata Negra

È giunto finalmente il momento di assaporare la divina zampa, non prima di avere imparato la sua esatta denominazione: jamòn de pata negra de bellota. La precisazione è necessaria perché in Italia si parla a vanvera di jamòn serrano – lo è qualsiasi normale prosciutto prodotto sulla Sierra, la montagna – e si cita con enfasi non meno che genericamente il Jabugo, località andalusa sinonimo, sì, di prosciutto iberico ma non per questo garanzia assoluta del prodotto e del tipo di alimentazione somministrata.

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Così tragicamente male abituati a scartare il grasso del prosciutto abbandonandolo al bordo del piatto, non vogliano gli assaggiatori italiani demonizzare anche quello del pata negra. Va assolutamente degustato, soprattutto per la soavità prodotta mentre si scioglie a contatto con il palato. Un piacere sublime, godibile solamente se la fetta che stiamo assaporando é stata rigorosamente tagliata a coltello.

Articolo 1 “Jamòn de Pata Negra tutto quello che c’è da sapere”
Articolo 2 “Jamòn de Pata Negra a prova di colesterolo”

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