Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

La Siria, dove tutto ha inizio

È cronaca quotidiana le stragi di innocenti ad opera dei combattenti dell’Isis. Il libro di Domenico Quirico “Il grande califfato”, edito da Neri Pozza, è di grande attualità. Quirico ha conosciuto quei luoghi come inviato di guerra per “La Stampa” e come prigioniero. Noi vi proponiamo una parte del capitolo dedicato proprio alla Siria, dove tutto ha inizio

Cartina del Grande Califfato
Cartina del Grande Califfato

Ci sono oggi migliaia e migliaia di giovani al servizio del califfo come Rara, mossi da una buia ferocia primigenia, qualcosa di amorfo, pura irrazionalità di sentimenti elementari e ferini, da cui sono banditi la pietà, l’amore, l’onore di essere uomini tra altri uomini. È così totale il loro orgoglio di puri, di eletti, che preferiscono una morte universale a una rinuncia in cui noi vedremmo un segno di misericordia, un riconoscimento della propria umana miserabilità, l’affidarsi al provvido Dio dei vinti che è l’unico che esiste e si può davvero amare. In una follia di cupe disumane coerenze e obbedienze vanno combattendo verso la loro notte, il califfato, con una specie di inerzia suicida delle facoltà raziocinanti, foscamente orgogliosi nella inesorabilità della propria volontà di distruzione.
Abu Ornar era, anche lui, un emiro jihadista, un altro dei miei carcerieri. Guidava la sua brigata nella ritirata generale da al-Quesser, braccata dai soldati e dagli hezbollah. Un’umanità migrava dalla città maledetta, ormai frantumata pezzo a pezzo dalle bombe con una grandiosità da cataclisma cinese. File di veicoli cigolavano sui sentieri pietrosi: ma quelli erano per i combattenti. Li avvolgeva la fuga miserabile e brulicante di migliaia e migliaia di vecchi, donne, bambini. La gente non si distingueva più dalle cose. Si tiravano dietro, in quelle prime ore, ancora tutta la casa vuotata a furia, tutta la miseria che vuole vivere nascosta nel segreto di quattro mura. La città assassinata ha rigurgitato queste cose, questi visi quasi sfatti, questi fiati.

Profughi siriani
Profughi siriani

Tre i veicoli carichi di armi sciamavano i fuggenti carichi di fagotti, arrancavano tra strilli di bimbi, voci di vecchi, anche loro artigliati alle  loro povere cose. In un bosco quieto, a lato della pista, l’emiro riunì i suoi uomini. l fuggiaschi sfilavano senza fermarsi, avvolti di polvere, ciabattando. Dalle file vennero estratti due prigionieri, dalle divise capii che erano hezbollah libanesi, per i jihadisti sunniti uomini di Satana. L’emiro avanzò con un coltello e tagliò loro la gola. Poi i guerrieri si riunirono in file ordinate, Abu Ormar piantò il suo mitra per terra e cominciò a pregare: “Tu che sei onnipotente, per il tuo nome venerabile, concedici il martirio, portami nel tuo paradiso dove si trovano il Profeta e i veri credenti…”
Cosa è accaduto in questo Paese martoriato? Quattro anni fa, quando per la prima volta ho attraversato la frontiera, ho incontrato ragazzi pieni di entusiasmo che mi gridavano felici: “È la nostra rivoluzione, la vedi? Cacceremo il tiranno, scriveremo la costituzione di uno Stato senza dittatori, è la nostra primavera, la primavera degli arabi, a Tunisi, al Cairo, ad Aleppo, a Tripoli, a Sanaa… Aiutateci siamo come voi siamo voi…”
E ora? Quei ragazzi non ci sono più, uccisi uno a uno, la storia della rivoluzione siriana è un immenso interminabile elogio funebre.

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Aleppo, bombardamenti
Aleppo, bombardamenti

Li ho davanti a me li tocco sento il respiro della loro morte: ora sono in silenzio, un popolo intero un esercito di ragazzi in silenzio. Stanno lì mi guardano mi chiedono ragione della nostra indifferenza. Le giornate gloriose della battaglia di Aleppo sono succhiate via, diresti, dal vortice del tempo, come foglie secche.  Mi affaccio al terrazzo del comando di quella che fu l’Armata siriana libera nella città martire. L’alba inargenta appena il cielo a oriente, pensieri antelucani tra freddo e sonno. Che senso ha questa battaglia ora che i suoi eroi sono morti? Che senso ha questa guerra che li crocifigge, che ci crocifigge? O non saremmo crocifissi lo stesso, anche senza la guerra, per il solo fatto di vivere in questo tempo fanatico e infame?
Un galletto canta mattutino nel cuore della città assassinata. Voce dell’alba il suo squillo irrevocabile prima che la guerra imponga il suo fragore. Soli anche nella comune calamità. Ora attorno a me, nelle stanze trasformate in caserma di quello che fu un palazzo del partito del presidente, ci sono solo combattenti stranieri, fanatici jihadisti venuti a lottare non per la Siria ma per instaurare lo Stato totale di Dio. E del suo califfo. […]

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