Ci voleva una buona perizia da falegnami mista all’ arte dei carpentieri, perché quell’imbarcazione leggera, che ricordava una falce di luna, era composta da ben otto legni di versi: c’era l’abete, un legno leggero e tenero, adatto all’impregnazione, con cui veniva costruita la parte del fasciame che pescava nell’acqua; poi c’era il rovere, un legno duro e pregiato, usato per lo scheletro della piccola barca; poi veniva l’olmo, che per la sua durezza e resistenza era impiegato per i fianchi; subito dopo era la volta del ciliegio, un’essenza dolce ma che durava nel tempo, usato per collegare tra loro i fianchi della gondola; per la copertura della prua e della poppa veniva preferito il mogano, che dava tavole larghe e compatte; il larice invece, la cui essenza era particolarmente resistente alle intemperie e che in montagna era impiegato per costruire i tetti delle case, a Venezia serviva per la pedana di poppa, dove sostava il gondoliere durante la navigazione; poi c’era il tiglio, anch’esso tenero ma poco deformabile, usato per i triangoli all’estremità della prua e della poppa; la costruzione terminava con l’impiego del noce, da sempre una delle essenze migliori e di maggior pregio, duro ma elastico, che rifiniva la gondola chiudendo le fessure delle parti coperte. Poi i colori delle essenze dei legni, che andavano dal bianco al giallo paglierino, dal rosso bruno al rosato, venivano coperti da numerose mani di vernice che uniformava tutto e la gondola diventava una luna nera, lucida e silenziosa.
Nei giorni della sua nuova vita, senza rimpiangere un lavoro che l’aveva portato lontano da Venezia ma felice di combattere la solitudine con i suoi scalpelli, Roberto Pavan si affaccendava intorno a tavole di mogano che avrebbero dato vita ai pusioi, i braccioli della gondola che chi traghettava in piedi non guardava neppure, ma che offrivano un buon punto d’appoggio a coloro che preferivano sedersi per godersi il viaggio a filo d’acqua, e che lui riusciva a chiamare soltanto in quel modo, usando il termine dialettale.
Tra le sue mani il mogano intagliato diventava un intreccio di foglie e fiori, pronto a inseguirsi e rinnovarsi a ogni germoglio. A me aveva insegnato che era meglio affrontare un possibile rifiuto che correre il rischi o di perdersi una storia.