Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Mamma la Turkish! … Gita a Istanbul

Con la Turkish Airlines a Istanbul

A Istanbul dove finisce l’Europa e comincia l’Asia. La metropoli capace di accogliere un turismo intelligente. Ospiti della compagnia di bandiera Turkish airlines

Modellino aereo Turkish Airlines
Modellino aereo Turkish Airlines

Ebbene lo confesso, la prima parte del suesposto titolo (Mamma la Turkish!) non brilla per fantasia in quanto scimmiottante il disperato grido delle popolazioni rivierasche del sud Italia (Mamma li Turchi!) vittime di saccheggianti incursioni dei corsari ottomani (il cui temutissimo Lìder Maximo, vero e proprio “Pericolo pubblico Numero uno”, rispondeva al nome di Khayr Al Din o Kaireddin alias Barbarossa, Mitilene 1466 circa – Istanbul 1546).
Non più usata, da alcuni secoli, la suddetta invocazione/allarme urlata alla genitrice, si esclude che – fosse solo per stupido orgoglio sciovinistico o basse motivazioni aziendali – alcune compagnie aeree (massime, in Europa, l’italica ex italiana Alitalia) possano gridare un ritoccato “Mamma la Turkish!” a riconoscimento della (competitiva) bravura raggiunta dalla compagnia aerea anatolica.
Perché la Turkish Airlines sta davvero andando alla grande (quelli del business yankee la definirebbero aggressive) e lo affermo non certo spinto dalle “quattro paghe per il lesso” consistenti in un invito a una gita a Istanbul che in calce passo a narrare. Già da tempo la Turkish mi stava simpatica. Della (in Anatolia nota come) Turk Hava Yollari avevo già apprezzato l’interessante politica tariffaria (pagando – ahimè ogni tanto accade – volai con loro in Etiopia) e se si parla di sport notai con piacere i loro intelligenti spot televisivi con stars tipo Messi e il grandissimo cestista Kobe Bryant.

Turkish si allarga da Istanbul a San Paolo a Buenos Aires

Turkish Airlines Chef a bordo
Chef a bordo della Turkish Airlines

Quanto, poi, alle rotte, la Turkish va ormai (pressoché) ovunque – da Istanbul San Paolo e financo Buenos Aires non sono mica girato l’angolo – mentre altre compagnie tentano di tagliare tanti rami secchi.
Per farla breve la balda Silvia Fissore (che alla Turkish ‘fa’ le pierre in quel della mia alma Torino) mi convoca alla Malpensa e di lì finisco sul volo per Istanbul (ça va sans dire in business, noblesse  – o più bassamente l’eccessiva importanza riservata agli scrivani di turismo, ma meglio così – oblige). E all’ora della pappa, alla faccia di san Francesco scopro che avegh i danèe, disporre di buone risorse economiche – e va bene anche se vinte all’enalotto – non è poi così drammatico (se il denaro non può dare la felicità, figuriamoci la miseria, ha proprio ragione Woody Allen).
Nella classe dei sciur/signori, la Turkish propone infatti sibaritiche raffinatezze e – manco se fossi uno di quei sultani che il grande Kemal sloggiò dal Topkapi a inizio ‘900 – ti ritrovi con pochi altri intimi a condividere le prestazioni di uno chef ammannente una leccornia. Eccomi pertanto a degustare, beninteso anticipato da Sampanya/Champagne, un Kebab (che non spiego cos’è, oltraggiando il lettore, ormai così di mondo nella nostrana ristorazione stradale), per la cronaca di nome Islim. Che poi sarebbe un saporitissimo spiedino di agnello e melanzane, per la cui digestione il cortese lettore vorrà evitare il solito espresso provando invece quel polverizzato, non meno che gustoso caffè turco” (che, però, in Grecia, sarebbe meglio chiamare caffè greco sennò i discendenti di Omero – che in effetti si sono ritrovati i turchi in casa per qualche secolo – si incazzano come tori).

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Istanbul la metropoli che accoglie un turismo intelligente

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Un tipico bazar con lampade di Istanbul

Atterrati a Istanbul scatta una sorta di staffetta nel senso che le pierre della Silvia passano il testimonio all’orchestrazione della gita da parte di Cem Sahir Islam, che della Turkish è gran capo a Torino. Un tipo simpatico ma pure tosto, come lo sanno essere i turchi, gente che non sta lì a menare il torrone. Mica per niente tanti di loro (milioni) si trovano bene (ricambiati) nella Germania così poco sensibile ai blablabla, e sulla seriosità dei turchi gli Usa tuttora ricordano il grande apporto dato nella guerra di Corea e da allora ritengono l’Anatolia un Paese affidabile – ancorchè islamico e periferico – in una Europa a cui prima o poi finirà per appartenere).
Ma abbasso la politica, evviva chi viaggia e va in gita a Istanbul. Metropoli che si rivede sempre piacevolmente oltretutto perché sempre più ripittata e organizzata a ricevere un turismo che non è sbagliato definire intelligente. Con i resorts marini lontanucci (la Turchia, 758.347 kmq, è grande due volte e mezzo il Belpaese e chi viaggia soltanto per sguazzare vola nel sudovest del Paese) il viaggiatore che visita la ex Costantinopoli (se si preferisce Bisanzio) ama la cultura, che sarebbe poi storia, architettura, religioni, folklore.
Nella prossima puntata, oltre a un supplemento narratorio (mio pilotaggio di un aereo, ma solo nella cabina di un simulatore di volo, e un saporito branzino ammannito dalla signora chef nel viaggio di ritorno) di quanto combinato con la Turkish durante la gita ahimè troppo breve (avrei compiuto volentieri un blitz a Bursa, storica città a 2h d’auto da Istanbul) non mancherò di spiegare perché mai una persona di una certa intelligenza dovrebbe fare un salto a Istanbul. Laddove finisce l’Europa e comincia l’Asia.

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