Nonostante la calura eccezionale, le visite ad Expo non diminuiscono. L’idea che buona parte del mondo si sia qui riunita orgogliosamente per esporre le bellezze del paese e i prodotti della terra è meravigliosa, insieme alla comprensione del deficit ambientalista che soffre la terra e ai rimedi che ciascuno propone. Questo nostro secondo viaggio, che segue quello pubblicato il 3 luglio dal titolo: Expo 2015: Viaggio tra scienza, alimentazione, agricoltura, parte dall’ingresso Triulza. Superati i controlli e i tornelli, ci accolgono poderosi i giganti arcimboldeschi, come guardia d’onore nella piazza d’armi, ognuno con il suo carico di frutta, verdura, fiaschi di vino e ogni ben di dio.
La Repubblica Ceca ha già preso il bel provvedimento ben accolto dai ragazzi, installando davanti all’ingresso una piscina.
L’Angola ha scelto come suo albero della vita una riproduzione meccanica del baobab. Attorno vengono mostrati gli sforzi del paese in direzione del progresso e dello sviluppo attento all’ambiente, in alto i rami terminano su uno splendido giardino sul terrazzo da cui la vista svetta fino alla Milano verticale di City Life.
Il Brasile affida ad una rete di corda che sale sopra un pendio il suo messaggio metaforico, il mondo come rete che si tiene e che comporta fatica. La Malaysia ci fa immergere in immagini da sogno, dove natura, spiagge e mare cristallino incantano. Il cluster delle Spezie sollecita oltre che l’olfatto anche la vista e la curiosità, soprattutto per la presenza dell’Afghanistan, che ha ritrovato qui la forza di proporre il suo volto migliore. La Polonia realizza su una struttura massiccia in legno un giardino pensile bellissimo, di cui ammiriamo la bellezza delle varietà cromatiche nelle erbe e nei fiori, mentre il Messico si presenta con una struttura lamellare in tela. Interessante il suo percorso culturale e produttivo, che nasce sotto la protezione del dio preincaico Macuilxòchtl-Xochipilli, nume della rigenerazione del seme e della vita, e del granturco-oro, quasi come il Saturno della civiltà greco-romana, che ricorda un’età felice quando la terra forniva spontaneamente i frutti senza la necessità di ferirla con il vomere né di solcare i mari con le vele.
Una struttura lamellare in legno ad archi ed ellissi è la Francia, preceduta da un ricco e curatissimo orto. L’Iran, la Spagna, il Cile e l’Austria mostrano i loro gioielli preziosi in profumi, innovazioni tecnologiche e bellezze naturali. Siamo in piazza Italia, si svolta. Il padiglione del vino invita, misterioso, ad entrare. Intravediamo una scultura che rappresenta la goccia d’oro, simile al ‘The Golden Bough’ (Il ramo d’oro) di Frazer. Dall’apprendimento di questa pratica agricola si dipana la civiltà, da questo momento parte la storia del mondo. Si capisce subito la differenza. L’eleganza italiana fa scuola. E la qualità. Il piacere di un calice di vino multicolore, come fanno notare i fiasconi esposti, da sentinelle, a vigilare sul gusto.
Il padiglione Italia è massiccio. Si erge come chiglia di nave, di transatlantico, zattera non dei folli, ma del fare e della bellezza, naturale e artistica. Un ampio scalone conduce ai piani espositivi dove nelle sale a specchio si resta meravigliati dell’effetto di tanta bellezza, che conserva il giardino d’Europa e del mondo, non prima di aver presentato i suoi grandi uomini, non tolti dal piedistallo della storia ma innalzati dalle attività quotidiane nei campi più vari, dalla industria, alla conservazione, alla ristorazione, allo studio e all’inventiva, uno per regione. Il genio italico non si smentisce. Siamo frastornati da tanta bellezza.
Sensazioni diverse ci colpiscono al Cluster delle Zone aride, delle Isole e del Bio-Mediterraneo, dove incontriamo la Grecia, che ha voluto così testimoniare la sua caparbietà di volercela fare. Siamo quasi al termine delle nostre forze, attratti da una immagine sullo schermo: due figure femminili, madre e figlia, traguardano speranzose il mare come per attendere l’arrivo di una barca. Sappiamo poi dallo spettacolo teatrale che seguirà essere la Provvidenza. I bravi attori dell’Associazione Fantasticheria mettono in scena proprio i Malavoglia. Nel frattempo il cuoco giunto dal paese dei ciclopi, Aci-Trezza, Aci-Reale, prepara una pasta condita con la mollica di pane arricchita da polvere di sardine. Piatto povero, ma forte della tradizione siciliana. I lupini insieme al forte vino siciliano condiscono il desco di soddisfazioni per aver trascorso la giornata in questa meraviglia di popoli che fanno a gara per mostrare la loro bellezza.