Venerdì 26 Aprile 2024 - Anno XXII

Siglufjörður e le aringhe: storie di vita e di pesca

Aringhe Siglufjordur

Viaggio nell’estremo nord. La storia di Siglufjörður e della pesca delle aringhe. Un mercato fiorente distrutto dall’avidità dell’uomo che portò a svuotare il mare da questa specie. Nel museo di Siglufjörður tante le storie legate a questo pesce.

Siglufjordur-Porto
Siglufjordur Il Porto

Anche il virtuosissimo Nord, dalla spiccata sensibilità ambientale ed ecologica e sempre all’avanguardia ha le sue lische nell’armadio. Mi è bastato visitare una fabbrica di aringhe a Siglufjörður per ritrovarmi, io, vegetariana sempre più convinta, in un sistema produttivo tale da aver decisamente influenzato l’ecosistema marittimo, sociale, economico e storico dell’intera isola. Siglufjörður è un villaggio di pescatori situato nello stretto fiordo nelle coste settentrionali islandesi. Qui, negli anni quaranta e cinquanta, si è sviluppato un fiorente commercio intorno alla pesca e alla lavorazione delle aringhe.

Come proiettata in un documentario Luce (quelli che hanno superato i sessanta lo ricordano) il mio tempo è tornato al nero di seppia. Il colore delle foto anni ’30. Quando, su sprone danese, si avviò, inizialmente a nord ed a est dell’isola, la pesca e la successiva lavorazione dell’aringa. Quello che era partito come un nuovo progetto di sussistenza locale, si trasformò in brevissimo tempo in uno sfruttamento. Sfruttamento senza riserve del mare e della manovalanza che portò a svuotare il mare da questa specie.

Aringhe sotto sale: un commercio fiorente

Siglufjordur-Lavorazione-dell'aringaIl commercio di barili d’aringhe sotto sale e di prodotti derivati dagli scarti del pesce (come olio e farina per fertilizzanti o mangimi) si espansero a livello internazionale. Una crescita avvenuta in modo talmente rapido da richiamare orde di lavoratori stagionali.
Erano per lo più donne, “le signore dell’aringa” che, caso più unico che raro, lavorando a barile, grazie alla loro abile e veloce manualità, venivano pagate di più rispetto agli uomini, che invece percepivano una paga ad ore.

Bambini ed adulti si ritrovarono uniti in questo ciclo produttivo delirante e forsennato, che oltre ad arricchire pochi oligarchi dell’isola, portò con se una scia salmastra di modernità: empori, case, attrazioni mondane, serate danzanti e orchestrine musicali… annessi e connessi al sostentamento della massa lavoratrice.

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Perfetta organizzazione del lavoro e storie di vita

 Siglufjordur-lavorazione-aringhe
Siglufjordur la lavorazione delle aringhe

I filmati d’epoca mostrano un mondo perfettamente organizzato ed efficiente, felicemente operoso e altrettanto lieto di godersi poi la vita oltre la timbratura del cartellino, tra passeggiate e danze, donnine dalla vita stretta vestite all’ultima moda dei divi cinematografici, strette da braccia forti, magari del nuovo amore sbocciato proprio durante e grazie alla lavorazione dell’aringa. Quante storie dietro le squame lucenti di questo piccolo e saporito pescetto! Gesti meccanici ripetuti ad oltranza, clangor di macchine e sbuffi di vapore, urla e frenesia…

La pesca incontrollata svuotò letteralmente il Mare del Nord, portando alla denuncia ecologica ed alla istituzione di quote, per cercare di salvaguardare la fauna ittica. Le navi ed i pescherecci, sempre più numerosi e prepotenti, venivano gestiti da poche famiglie che, a suon di mazzette, si compravano le prime urla d’avviso da parte delle giovani vedette. L’arrivo in porto del pescato veniva quotidianamente annunciato ed i più veloci ad arrivare per accoglierlo e contenderselo se lo sarebbero anche poi aggiudicato a loro convenienza… Il resto veniva spartito tra le altre fabbriche (ce n’era comunque per tutti!).

Cinquant’anni di massimo splendore

 Siglufjordur-donne preparano-barili-di-aringhe
Siglufjordur, donne preparano barili di aringhe

Questo fiorente mercato delle aringhe ebbe mezzo secolo di vita attiva al massimo dello splendore e a pieno regime in ogni suo settore: un’industria enorme e fiorente di denaro, vite, storie e collettività, volti e destini. Giornate spese meccanicamente, che i documentari propagandistici dell’epoca edulcorarono con immagini festanti di felici lavoratori, ripresi a fumarsi una sigaretta nella pausa del turno, intenti a sciacquarsi con pompe d’acqua i grembiuloni cerati o ad agghindarsi per le passeggiate a braccetto lungo il molo serale, tra chiacchiere di giovinette ed occhiate dei ragazzotti impomatati.

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Intravedo la realtà. Ci provo a non farmi trascinare dalle note delle canzonette anni 50. Sento freddo e fatica, mancanza di intimità e sale a incresparmi i capelli. Sento sogni rumorosi, secchiate fredde come unica modalità igienica. Mi spaventa la monotonia e la nostalgia. Mi sento un pesce fuor d’acqua tanto quanto l’aringa appena pescata e che finirà presto in salamoia.

Fabbriche e abitazioni diventate museo

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Il Museo dell’aringa

Che malinconia e quante vite hanno attraversato questi edifici! Quante mani hanno afferrato e si sono fatte callose con questi attrezzi ora ben custoditi in un museo!?
Dopo la profonda crisi seguita alla denuncia ecologica, degli insegnanti lungimiranti e talmente intelligenti da riuscir a cavar del buono anche da vicende che gli abitanti del posto tenderebbero a voler dimenticare troppo presto, hanno saputo tramutare i locali delle fabbriche e delle abitazioni operaie in un museo, che è il primo ed unico islandese ad aver ottenuto premi e riconoscimenti internazionali.

Visitarlo ti scaraventa di colpo in quel mondo. Strappandoti alla tua moderna realtà, ti lega ai fianchi un grembiulaccio, ti mette in mano una mannaia e ti rivedi ore ed ore, per giornate intere, a mozzare e sviscerare, a salare e “imbarilare” le aringhe, tra voci, puzzo e motori. Vien spontaneo provare ad immaginarsi al posto di una di quelle tante componenti lo squadrone operaio, a dividere un lettuccio a castello in legno, sul quale, in una notte di nostalgia, incidere un cuoricino con delle iniziali lontane.
L’allestimento di tutti gli oggetti di uso personale è tale da parer esser lasciato lì così nella fretta mattutina che precede la corsa al lavoro: le ragazze che si raccolgono i capelli, magari scherzano ciarliere, si fanno coraggio tra loro o mal si sopportano per la convivenza forzata.

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Oggetti di uso comune

 Siglufjordur-museo-dell'aringaLo squadrone degli uomini occupa le camerate vicine: riviste di donnine allegre, pennelli da barba, camicioni stesi. Le cucine in comune rivelano un’intimità allargata e condivisa di pentole, piatti, posate e barattoli vari: una carosello di latte e coperchi smaltati, saponi Lux e bigodini per i capelli. Chissà se oltre all’atmosfera di quei tempi conservano ancora le impronte delle mani che fino a lì li hanno potati, chiusi in valige di cartone, ancora sistemate sotto ai letti!?

La sala macchine è un’apoteosi di tecnologia dell’epoca, pezzi di ricambio, attrezzi, cordame… sono conservate alcune della barche della flotta pescatrice, con nelle cabine, appesi su chiodi in legno, gli impermeabili e i cappelli dei marinai. Foto, riproduzioni e poster dell’epoca. Io cammino in silenzio e cerco di sentire le voce che mi racconta questa storia secondo la sua personale esperienza… Non esiste già più, talmente stanca della vita che le toccò, da essersene scelta un’altra lontana da qui. Mi cercano. Non posso perdermi l’assaggio gentilmente offerto dal museo: aringa in varie preparazioni, pane nero imburrato e grappa distillata da patate per mandar giù, ecco si: mando giù!

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