Cartier, Tiffany, Bulgari, Damiani sono solo alcuni dei famosi brand che molti conoscono per la bellezza e l’originalità dei loro gioielli dal design studiato ad personam e spesso commissionati da illustri e potenti personaggi. Palazzo Ducale-Sala dello Scrutinio- Venezia ospiterà, dal 9 Settembre 2017 al 3 Gennaio 2018, la mostra intitolata “Tesori di Moghul e dei Maharaja-La Collezione Al Thani”. Si tratta di portare alla ribalta, per la prima volta in Italia, dopo essere stata esposta a Londra, New York, Parigi, una delle collezioni di gioielli più importanti al mondo per la grandezza e la purezza delle pietre, per il design insolito, per la raffinata abilità dei maestri orafi nel combinare le gemme ad altri metalli preziosi fino ad ottenere dei veri e propri capolavori di cesellatura.
La collezione è di proprietà dello sceicco Hamad bin Abdullah Al Thani, appartenente alla famiglia reale del Qatar, appassionato collezionista e stimato committente di gioielli made in India, terra che vanta una secolare tradizione nella fabbricazione di monili di grosse dimensioni dalle fattezze singolari in cui il luccichio delle pietre preziose, incastonate ad arte, affascina chiunque per l’opulenza, la ricchezza dei dettagli.
Arte indiana nella lavorazione dell’oro, gemme e pietre preziose
In India, la gemma non rappresenta solo un elemento ornamentale atto ad abbellire corpi sinuosi o opulenti, oppure vesti riccamente impreziosite da diamanti purissimi oltre che da rubini, smeraldi, coralli, perle e zaffiri, ma la pietra preziosa riveste anche un singolare significato simbolico in quanto chi indossa una gemma acquista energia divina: il karma.
Durante la dominazione Moghul, in India era stata perfezionata la tecnica del kundan, ovvero un tipo di lavorazione particolare in cui si procedeva ad intarsiare la superficie delle pietre semipreziose come la giada o si decoravano gioielli in oro 24 carati. In queste terre asiatiche, potevano essere estratti gli straordinari diamanti provenienti dal Golconda, gli spinelli simili ai rubini, gli zaffiri del Kashmir, i rubini dell’isola di Ceylon (attuale Sri Lanka), della Birmania e le pregiate perle del Golfo Persico.
La mostra, curata da Amin Jaffer e da Gian Carlo Calza con la direzione scientifica di Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia, intende divulgare la conoscenza dell’arte orafa indiana attraverso l’esposizione di circa 270 pezzi databili dal XVI al XX secolo.
Le cinque sezioni della mostra
L’esposizione condurrà il visitatore ad ammirare tesori di inestimabile valore iniziando da due diamanti molto famosi per la loro grandezza: l’Occhio dell’idolo, considerato il maggior diamante blu tagliato del mondo e Arcott II, passato alla cronache della storia per essere stato donato alla regina Charlotte, moglie di re Giorgio III( U.K) dal nawab di Arcot (India); in pratica due diamanti provenienti dalla zona diamantifera del Golconda. I pezzi sono esposti accanto a smeraldi e spinelli che recano incisi i nomi dei loro possessori che si sono ispirati, nel disegno, all’arte orafa rinascimentale europea della smaltatura attraverso uno scambio interculturale di stili e tecniche propri dell’epoca.
La seconda sezione è incentrata sugli oggetti in giada, considerata una pietra in grado di rivelare la presenza del veleno e dalle insolite proprietà propiziatorie, tanto apprezzata anche in Cina. I pezzi di pregio sono la Coppa per il vino dell’imperatore Jahangir, la più antica giada dell’era Moghul; il pugnale di Shah Jahan ( 1620-1625) che riporta sulla lama i titoli dell’imperatore, mentre l’elsa in giada rappresenta la testa di un giovinetto.
La terza sezione è dedicata all’arte orafa kundan e tra gli oggetti di maggior rilievo spiccano il set da scrittoio con portapenne e calamaio (1575-1600) realizzato in oro tempestato di pietre preziose; l’ornamento del trono di Tipu Sultan, altro esempio della ricchezza dei sultani ed emiri dell’epoca, è completamente in oro impreziosito da gemme preziose; la collezione di oggetti a smalto verde con gemme incastonate,del XVIII°secolo, simboli dell’antica cultura indiana utilizzati nel cerimoniale di corte da alti dignitari.
Nella sezione quarta sono esposti manufatti orafi realizzati tra il XVII e XX secolo tra i quali la Spada del nizam di Hyderabad, il Baldacchino, autentico capolavoro dell’impiego tra la seta che riveste la pelle di cervo e la grande varietà di gemme preziose: argento, oro, vetro colorato, diamanti, zaffiri, rubini, smeraldi e un numero spropositato di perle, ben 950.000.
L’arte orafa europea diventa protagonista della quinta sezione attraverso una selezione di gioielli realizzati dalle maison occidentali molto note tra cui spicca la piuma di pavone in smalto, oggetto creato da Meller nella Parigi del 1905 e acquistata dal Maharaja indiano. Nella stessa sezione sono esposti gioielli creati da Cartier tra cui il magnifico girocollo di rubini, per onorare la bellezza di una delle mogli del Maharaja; l’Occhio della tigre, un diamante color oro per decorare il turbante; una collana decò con rubini.
L’arte indiana contemporanea è rappresentata da una serie di gioielli indiani ed europei realizzati da Viren Bhagat nel suo atelier di Bombay dove utilizza materiali e tecniche moderne attingendo però ispirazione dai motivi decorativi antichi di tradizione indiana. A completamento della visita e in ricordo della singolare collezione, vi sarà un nutrito programma di seminari e visite guidate supportati dall’interessante catalogo Skira.
Info con orari e costi su. www.palazzoducale.visitmuve.it