Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

In Giappone con poesia

Lo scrittore Kenneth White racconta il suo “pellegrinaggio geopoetico” lungo la rotta che dalla Siberia conduce i cigni fino all’isola di Hokkaido. Uno sguardo introspettivo, un punto di vista diverso per conoscere il Giappone. Ecco un estratto del libro “I cigni selvatici”, Amos Edizioni

Un’altra partenza

Candidi cigni spiccano il volo
Candidi cigni spiccano il volo

 

Da qualche tempo maturava nella mia mente l’idea di un viaggio in Giappone che sarebbe anche stato un altro pellegrinaggio geopoetico: un omaggio alle cose giapponesi (cose preziose e precarie) e un viaggio-haiku sulla scia di Basho, un documentario sognante di strade e isole, un tuffo veloce ed ellittico nel Vuoto – in definitiva un libro nipponico piccolo e stravagante pieno di immagini e di pensieri a zig-zag, scritto in uno “stile bianco e svolazzante”, come dicono i pittori.

Fatto questo, dissi a me stesso, mi rintanerò nel mio osservatorio cosmologico sulla costa bretone (per lavorare al prossimo ciclo), e camminerò sui sentieri costieri non ancora battuti, avvolto dal vento, dalla pioggia e dal silenzio…

Entro l’autunno del 1985, mi sentii pronto, e avevo steso un itinerario approssimativo.

Avrei preso Tokyo come punto di partenza, e mi sarei poi diretto a Nord, per raggiungere infine Hokkaido…

Seduto in quel caffè dell’aeroporto di Parigi, in un mattino di sole di settembre (ero partito dal mio bell’eremo bretone il giorno prima) ascoltavo attentamente i suoni giapponesi che sentivo nell’aria tutta attorno a me, e in particolar modo quelli di una ragazza alta, dal viso lunare, lasciando che i ricordi letterari del Giappone confusamente mi attraversassero la mente: il sole di Dazai al tramonto; Rugetsu l’insegnante di haiku, come riportato nella storia del fiume dell’est di Nagai Kafù; il giovane studente di Kawabata che cammina solo sulla penisola di Izu e incontra un gruppo di ballerini (“sentirli parlare di Oshima mi riempì il cuore di poesia”)…

Il suolo nipponico: Costa e montagne. Golfi, baie, promontori. Terra vulcanica, convulsa devastata, slavata da vento e pioggia, da maree e nebbie, da un vaporoso gioco di acque, dalla bruma e dal sole. Ruscelli impetuosi, cascate, foglie rosse…

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Volevo immergermi in tutto questo: l’energia e il ritmo e la luce di tutto questo. E volevo vedere, se

possibile – sarebbe stato una specie di premio – i cigni selvatici venuti dalla Siberia piombare con le loro grida sui laghi del nord del Giappone dove vanno a svernare.
Sì, era ciò che volevo!

Volo per Tokyo. Cancello 1

Una domenica al parco di Ueno

I cigni selvatici (viaggio in Giappone) di Kenneth White. Amos Edizioni (collana Highway 61). Prezzo 15,00 euro
I cigni selvatici (viaggio in Giappone) di Kenneth White. Amos Edizioni (collana Highway 61). Prezzo 15,00 euro

La mattina seguente, a colazione, nel ristorante dell’hotel da cui ti godi una vista d’uccello, guardo una mappa di Tokyo, mentre mi chiedo da dove iniziare per mettermi in sintonia con la città.

Mi imbatto nel nome di “Ueno”, che mi suona familiare a causa di quell’haiku di Basho dove lui è nella sua casupola e ascolta le campane del tempo che suonano sulla città, domandandosi se sono le campane di Asakusa o quelle di Ueno…

Allora vado a Ueno, al Parco di Ueno. E non sono solo, tutt’altro. Il luogo è pieno di famiglie, giocatori di baseball, vagabondi. Quando passo sul sentiero pieno di foglie davanti a un piccolo gruppo di quei nichilisti nipponici pignoli, uno di loro, sbronzo di sakè e con una criniera di capelli che poteva ospitare tre corvi, lancia un grido rauco e derisorio:

Amerika, desuka – okay!

Gli rispondo con un piccolo saluto del tipo da qui all’eternità, e vado oltre. 

Ci sono davvero molti barboni nel Parco di Ueno, in effetti sembra ci siano tanti barboni ammassati lì quanti sono i bretoni a Montparnasse, e forse anche per lo stesso motivo. La stazione di Ueno, come appresi più tardi, è la stazione del Paese del Nord, con treni che arrivano da Sendai, Morioka, Aomori, Iwate, Nagano, Niigata, treni che portano nella grande città persone in cerca di lavoro e che, forse non trovandolo, scoprono che quella vita oziosa nel Parco di Ueno non è poi così male, e decidono di restare.

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Perciò si siedono sulle panchine, alcuni loquaci, altri taciturni, tutti con gli occhi cisposi, probabilmente non illuminati.

Il parco di Ueno
Il parco di Ueno

Cammino lungo i viali cosparsi di foglie, tra gli alberi (molti ciliegi) e le fontane, i templi e i santuari, fino a quando non arrivo alla statua di Ernest Fenollosa, quell’americano di origine spagnola di Salem, Massachusetts, che accettò la cattedra di filosofia all’università di Tokyo nel 1878 e che finì per concludere la carriera non solo come Ministro Imperiale di Belle Arti, ma come daijin sensei, insegnante dei grandi uomini, e i cui taccuini furono destinati a cambiare il corso della letteratura occidentale.

Saluto anche lui.

Poi mi ritrovo proprio davanti al Museo Nazionale, dove trascorro un paio d’ore nella sezione ainu ad ammirare i vestiti di cotone ricamati (chikatkarpé), i gambali (hosh), gli orecchini (ninkari), le collane (tama-sai), le scatole di tabacco (tampako-op) e i coltelli (makir).

C’è qualcosa in questa cultura ainu che mi attira molto. Quei fluidi motivi bianchi sul tessuto blu e scuro. Quel legame intimo con i salmoni, gli orsi, le balene, le oche e i cigni.

Con l’osso e la pietra.

Dovrò andare lassù.

Avvicinarmi di più a tutta quella parte del paese.

Nel frattempo, ho arricchito la mia riserva generale di immagini e informazioni, ma non ho ancora un’idea chiara della meteorologia mentale dell’attuale città di Tokyo. Per questo devo mettermi in contatto con un giapponese.

(25/10/2013)

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