Cosa ci fanno assieme Ryoji Noyori, premio Nobel per la chimica, e zia Concetta? Piero Carninci, lo scienziato che ha messo in discussione il dogma del Dna, e don Peppe detto «Testolina»? Franco Nori, il genio che lavora al computer intelligente, e Gennaro detto «Topolino»?
La risposta in Enakapata (espressione nippo-vesuviana, da «è ’na capata», letteralmente «è una testata», in senso figurato «è qualcosa che colpisce, è una cosa straordinaria»), il resoconto di un viaggio che comincia a Secondigliano e si conclude a Tokyo.
Il libro è concepito e scritto come un diario nel quale gli autori, padre e figlio, raccontano della controversa periferia napoletana e dell’organizzazione della scienza in Giappone, di luoghi e volti della capitale giapponese appena incontrata e dei suoi paesaggi metropolitani stupefacenti, di serendipity, ramen e shinsetsu, di operai e magliari, in un alternarsi e incrociarsi di voci, sensibilità, generazioni.
In qualche parte il lettore ha la sensazione di smarrirsi, di perdere il fili conduttore, in altre è molto divertente sfiorando il paradosso nei riferimenti ai personaggi di Secondigliano a al loro naturale umorismo.
Ne viene fuori un libro vitale, fisico, che afferra i sensi con una lingua prensile che, in maniera leggera, accattivante, a tratti persino commovente, coinvolge il lettore e lo porta lontano, in mondi sconosciuti e affascinanti.