Sotto lo sguardo attonito di Daniela mi copro la testa con una sciarpa che annodo intorno al collo. «Pensi che debba velarmi anch’io?», mi dice con un tono di supplica perché le risponda che no, non ce n’è bisogno. Il suo sguardo si fa interrogativo. In effetti davanti a noi un gruppo di turiste si dimenano in shorts e maglietta, non incontrando alcuna protesta. Proprio per questo mi copro. Mi infastidisce essere presa per turista.
Non voglio mimetizzarmi da buona musulmana ma sembrare una tunisina o comunque una donna del luogo è auspicabile e, non avendo la lingua a disposizione, uso il corpo, anche perché in compagnia di un’italiana è più difficile l’effetto camaleontico.
La Medina di Tunisi, molto bella, è in leggera salita e procedendo si lasciano alle spalle negozi turistici di ninnoli e ci si addentra nella parte storica di maggior pregio. Siamo finalmente al souQ del Bey, la zona dei gioiellieri, dove molte donne vanno da sole per la gioia dei negozianti che danno loro l’assalto. Sfodero una della mie frasi di emergenza: «ma’ zaujy “mio marito”. …pour acheter». Mi fanno cenno che posso entrare e guardare senza impegno; sostanzialmente si ritraggono. Ha funzionato. Arriviamo di fronte alla moschea Zeytoûna, letteralmente “oliva”, ed entrando mi rivolgo all’uomo incaricato della biglietteria «sbarHyr. Zouz due in tunisino».
Il signore, quasi scusandosi fa cenno alla mia amica che si sta coprendo la testa con un foulard di nascondere anche le spalle e le indica una serie di scialli a disposizione dei viaggiatori. Mi chiede se sono di Tunisi e lo informo che abito lì, chiedendo scusa per il mio arabo stentato, ma sono italiana, come la mia amica del resto.
«Mouslimatoun?, letteralmente, portatore di pace».
«Lâ, missyHyatoun, cristiana», rispondo quasi dispiaciuta di averlo deluso. Gli dico però che sto cominciando a leggere il Corano con molta fatica. «Per ora conosco a memoria solo la fâtiHah (professione di fede) wa el-Nasa (letteralmente, “la gente”)», che più che una risposta è una constatazione. Sorride ironico benevolmente.
Non è originale certo, ma si comincia così.
Insiste perché paghi solo un biglietto e quando sa che sto lavorando ad un reportage, mi dice che posso fotografare all’interno senza problemi. Mi sento a disagio per questo piccolo privilegio e decido di non togliere il foulard fino all’uscita dalla Medina come un modesto tributo a questa accoglienza.
Girovagare in questa parte della città è una sorpresa ogni volta; si passa da zone più popolari ad alcune parti dove il restauro ha fatto il proprio ingresso restituendo il cuore della città in tutto il suo aspetto pittoresco, con caffè letterari e terrazze nascoste sui tetti dove a qualsiasi ora del giorno e della notte si può bere, mangiare e fumare.