Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Uzbekistan, Gran finale! (4)

L’ultima puntata nelle terre degli “Stan” e anche dei Khan, non poteva che terminare con la visita di due splendide e famosissime città: Bukhara e Samarcanda; entrambe dai nomi affascinanti ed entrambe, davvero, figlie della Storia

Bukhara Piazza Registan, Bukhara
Piazza Registan, Bukhara

Come narrato, una gita-tipo nell’Uzbekistan dura otto giorni e si sviluppa lungo un itinerario che dalla capitale Tashkent prevede un volo a Urgench, di lì breve trasferimento nella bella (forse un filino troppo ripittata) Khiva, dopodiché si prosegue con un faticoso tappone (si arriva più stanchi di Coppi dopo il Pordoi) con arrivo a Bukhara. Il tour si conclude con due trasferimenti, da Bukhara a Samarcanda e infine a Tashkent. Un giro ben ideato (salvo levataccia solo perché negli aeroporti dei Paesi ex Urss un paio d’ore di polit-buròcrazia non si nega mai) che piace al viaggiatore grazie anche a un crescendo rossiniano delle bellezze da ammirare, in località dai nomi suggestivi non meno che famosi. Perché, già dalle elementari, chissà quante volte il piccolo turista in pectore sognante il megaviaggio di Marco Polo sfiorò con il ditino la carta geografica laddove appariva scritto Bukhara e Samarcanda. E se la prima località ha da sempre goduto notorietà per la riconosciuta e proclamata bellezza dei suoi tappeti, Samarcanda non ha certo avuto bisogno di un recente spettacolo televisivo di una nostrana tivù per divenire universalmente famosa. Lo era già nei secoli. Eppoi basta la parola, perché “Samarcanda” (un po’ come Atlantide, chi non vorrebbe andarci?) suona davvero bene e colpisce l’immaginario turistico, evocando chissaché, posti remoti e misteriosi; sì, proprio la Via della Seta.

Monumenti e tracce ebraiche nella vecchia Ark

Bukhara La Vecchia Ark
La Vecchia Ark,

Per poi proseguire per la Città Vecchia (la ben munita Ark) e soprattutto godersi il sontuoso Registan, spostandosi su una piazza invitante a entusiasmarsi. Quanto a (altre) moschee, madrasse e (beninteso) shop di tappeti, non c’è che girare. Chi poi cerca ‘chicche’ (soprattutto se intrigato dalle vicende del popolo di Israele) visiterà la più importante e centrale delle due sinagoghe rimaste (ne esistevano una trentina). Capitale ‘israelita’ dell’Uzbekistan, a Bukhara si contavano fino a 30.000 ebrei, parlanti un idioma somigliante al persiano, scritto però con caratteri ebraici. Emigrati in gran parte in Israele negli anni ’70, gli ebrei rimasti sono ormai 300 (numero peraltro cospicuo, a Samarcanda sembra che ne siano rimasti solo due).

L’entusiasmo di Alessandro il Grande

Bukhara

Si giunge nella Marakanda conquistata da Alessandro il Macedone nel 329 a.c. non senza aver ammirato, a Navoi, una Sardoba risalente ai tempi della Via della Seta, un “Pavesini” ben organizzato, due piani, sotto il pozzo, sopra il catering, e all’overnight provvedeva l’antistante Caravanserraglio (“Motel” in cui parcheggiavano i cammelli invece delle auto, tutta qui la differenza tra l’antichità e l’attuale consumismo). Samarcanda è davvero bella, lo dichiarò financo il sullodato Grande Macedone (non solo, disse che “era ancor più bella di quanto se l’era immaginata”) per una soddisfazione per certo divenuta felicità dopo avervi incontrato (e sposato) la bellissima Rossana. Un posto così affascinante non può che aver mutuato le sue bellezze da una storia tanto importante e ricca da obbligare lo scrivano (per motivi di spazio ed evitare il tedio del lettore) al solo elenco delle tantissime genti che dopo i greci del nord lo occuparono e abitarono.

Melting-pot di razze nella favolosa Samarcanda

Bukhara il Mausoleo di Tamerlano
il Mausoleo di Tamerlano

Ecco l’elenco: turchi (sia occidentali che selgiudichi), persiani, arabi, samanidi, karakhanidi, mongoli eppoi i russi (nel senso di zaristi e soviet) per finire agli attuali – uzbeki a parte – numerosi tagiki (che si ritengono fregati da Stalin colpevole di non aver assegnato la città alla loro poco lontana repubblica). E oltre ad Alessandro il Grande (e al citato “Baffone”-Stalin) a rendere famosa Samarcanda si aggiungano altri due Vip storici: Gengis Khan, Tamerlano (che fu emiro e non Khan) e il di lui nipote Ulugbeg, grande astronomo del ‘400 – un obbligo la visita al suo osservatorio – lodato dagli scienziati occidentali. Non solo per carità di patria sia poi citato Marco Polo: per il viaggiatore che osserva queste desertiche lande, tuttora difficili da percorrere, l’impresa del suo lontano precorritore ha dell’incredibile. Quanto a “cosa vedere a Samarcanda”, chi non legge le guide scritte e/o non si fida di quelle parlanti ammiri (almeno): il Registan; il Mausoleo di Tamerlano; le piastrelle smaltate delle tombe di Shah Zinda; la tomba del profeta Daniele. E c’è tant’altra roba, perché la città è davvero bella. Parola di Alessandro Magno (mica un turista qualsiasi).

Aral, un lago-mare umiliato

Bukhara Disegno di un tappeto
Disegno di un tappeto

Ahi ahi, però, quei pesantissimi (già descritti) 460 chilometri da Khiva a Bukhara. Ma dato che se si parla di strade ogni Paese può vergognosamente vantare la sua brava Salerno-Reggio Calabria, ecco che più di mezza giornata, sballottati dentro un pulmino, può non pesare più di tanto se trascorsa dalle parti di un fiume che colpì la fantasia del qui scrivente imberbe aficionado alla geografia. Eccomi pertanto fotografare l’Amu Darya, che col quasi omologo Sir Darya fu nella storia umana immissario del non meno misterioso lago – ma così grande da esser financo chiamato mare – di Aral, fin quando, per colpa dell’irrigazione e di una diga costruita da quei balossi dei Tagiki, i due fiumi non si sono ritrovati, costretti centellinare sempre meno acqua al povero Aral, al punto di ridurlo alla attuale pozzanghera.

Le truci imprese di Nashrullah

Bukhara

Bukhara, abituati, come ormai siamo, a etichettare sbrigativamente posti e genti mediante slogan e frasi fatte, coniate dai guru della “rèclam”, potrebbe essere definita “Non Solo Tappeti” (e stai a vedere che non sia ormai ‘made in China’ o Viet Nam la metà, o più, di quelli che le guide turistiche ti portano a vedere). Perché di storia vissuta (esisteva già prima di Alessandro Magno) ce n’è tanta nella capitale dell’omonimo, importante (almeno fino al declino della Via della Seta) Khanato. Uno Stato per certo non governato da anime pie (ma a Bukhara era già ‘passato’ Gengis Khan) vedi quando, nei primi dell’Ottocento, un emiro, Nashrullah Khan, al fine di evitare rischi pensò bene di far fuori un po’ di fratelli e 28 parenti, una sorta di ‘pulizia dinastica’ che gli valse il simpatico nomignolo de “Il macellaio”. Un secolo dopo l’Armata Rossa impose all’ultimo Khan altri modi di fare politica, peraltro solo un filino meno truci. Informato il cortese lettore che a Bukhara sarà più facilmente capito se ai locali chiederà info in tagiko (se la guida non ha barato pare che questa etnia faccia aggio sugli uzbeki) non gli resta che visitare il Pozzo di Giobbe (tuttora erogante acqua ai fedeli delle tre religioni monoteiste mediante un distributore simile a quello che cent’anni fa distribuiva la San Pellegrino nell’omonimo comune della bergamasca) indi (zigzagando tra grandi vasche – serbatoi, oggi 30, ce n’erano 96).

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