Non so perché questo angolo di Aosta, più di tanti altri luoghi sacri, molto più celebri e celebrati, è sempre nei miei ricordi come qualcosa di prezioso e delicato. Quello che so è che il chiostro di Sant’Orso, piccolo, composto, è un luogo di pace e di ragione, come se la sua scura penombra illuminasse qualcosa che nella mente era rimasto a lungo spento. Grigio scuro tendente al nero, è fatto per ospitare il bianco della neve in inverno e il sole abbagliante dell’estate in montagna. È fatto per risaltare con la luce. Forse per questo un giorno qualcuno passò della vernice nera sulle agili colonnine e sui delicati capitelli, in origine bianchi (che la pietra troppo chiara stonasse con l’austerità di un monastero Agostiniano?) o forse più prosaicamente per proteggere il marmo dalle intemperie, le quali nel corso dei secoli si sono mangiate le pitture e agli affreschi della vita di Sant’Orso che, a detta di alcune fonti, decoravano le pareti.
Arpie e favole scolpite nella pietra
Dei 52 capitelli risalenti al 1100-1200 (la datazione è incerta), ne restano 37. Austeri, severi e insieme leggiadri, secondo la tradizione iconografica medioevale ritraggono episodi biblici, ma anche mostri, come le Arpie, e favole, come quella della Volpe e della Cicogna (di Esopo) riconosciuta da mio figlio di nove anni, che in quell’occasione me l’ha raccontata, dandomi l’opportunità di comprendere come questi uomini tramandassero in modo non banale le proprie complesse concezioni morali.
Sant’Orso dal canto suo era un uomo che viveva di perenne preghiera e continuo lavoro manuale, dimostrazione che si può pregare lavorando e viceversa. Certo chi ha realizzato con le sue mani i meravigliosi capitelli lo sapeva. Ogni anno, il 30 e 31 gennaio, in ossequio a questo concetto, si tiene la Fiera di Sant’Orso, dove si trovano i bei prodotti dell’artigianato valdostano. (21/11/2011)
Info: www.fieradisantorso.it