“L’ecoturista immerge i sensi nella natura, libero dalle distrazioni della tecnologia moderna, per scoprire un nuovo tipo di ego: migliore di ciò che esiste nel mondo di tutti i giorni”. Bob Brown, leader della Wilderness Society della Tasmania
Quarantacinque tra rompighiaccio e navi crociera battono ogni anno le acque dell’Antartide. Alle Galapagos i visitatori sono aumentati del 50% in 5 anni. Sull’Anapurna, in Nepal, il numero di escursionisti cresce del 20% l’anno. I parchi degli Stati Uniti ricevono 350 milioni di visitatori. E nelle Alpi il numero di turisti annui si è stabilizzato a 100 milioni di unità. Dati di un fenomeno in continua crescita. Figlio del desiderio di vivere una full immersion nella natura: sentimento nobile, non fosse che l’ambizione di trascorrere le vacanze in ambienti incontaminati sta diventando uno dei maggiori pericoli per gli ecosistemi. Le centinaia di milioni di persone che visitano le Alpi, i parchi nazionali, le paludi del Pantanão in Brasile, le vette dell’Himalaya, le savane e i deserti africani o la Grande Barriera Corallina australiana provocano spesso un impatto devastante sull’ambiente da cui sono attratti.
Turismo ecologico, i rischi di un’attrazione in espansione
È un paradosso, ma il crescente interesse per l’ecologia sposta in aree protette – spesso per la fragilità oltre che per la bellezza del luogo – masse di visitatori attratti da birdwatching, alpinismo, fauna, trekking o immersioni. Perché oggi la motivazione è più importante della destinazione. Il turismo ecologico e d’avventura è da circa quindici d’anni il segmento in maggiore crescita nell’industria del viaggio. Nelle aree culturalmente più sensibili all’ambiente (Nord America, Australia e Nord Europa) l’ecoturismo copre già un terzo dell’industria delle vacanze. E sempre più operatori, spesso senza background ambientalista, si gettano nel business. In un mercato regolato da domanda e offerta, s’innesca un meccanismo perverso: l’affluenza turistica impone la costruzione di strutture di ricezione alberghiera e di distribuzione. Nascono problemi di smaltimento di rifiuti e liquami biologici. E con l’aumento del numero di visitatori il problema s’ingrandisce fino a minacciare l’ecosistema del parco. Così il turismo ecologico, nato nei primi Anni Ottanta negli Stati Uniti come modo di viaggiare ambientalmente consapevole, in reazione allo stile banale e spesso irresponsabile della vacanza tutto compreso, diventando di massa scopre i propri limiti.
La sensibilità degli operatori e delle strutture turistiche
The International Ecotourism Society (www.ecotourism.org) enuncia principi simili a quelli del UNWTO, ma suggerisce anche la via per conseguire questi obiettivi. Per arginare i danni dell’ecoturismo sono state prese iniziative in diversi Paesi. Nella foresta bavarese invece di costruire nuovi edifici sono stati creati posti letto nelle fattorie esistenti. In Italia il fenomeno degli alberghi diffusi protegge paesaggio e borghi storici dalla speculazione edilizia. In Australia, i resort sulla Barriera Corallina sono stati attrezzati con impianti di auto-smaltimento per rifiuti e liquami; e per limitare l’erosione sono state vietate le passeggiate sui banchi corallini. Resort eco-sostenibili si stanno affermando dalle Maldive ai Caraibi. I tour operator specializzati in viaggi avventura evitano i fuoripista. E persino nei foto-safari in Africa – un tempo eventi tragici per gli animali assediati dai Land Rover – si stanno imponendo scelte più rispettose dell’ambiente. Spesso passi obbligati, perché i viaggiatori high target sono sempre più attenti agli aspetti ambientali. Non potrebbe essere altrimenti, perché sono le destinazioni più ambite dal turismo di alto bordo a rischiare di perdere appeal a causa dell’effetto serra, afferma Daniel Sperling, direttore dell’Institute of Transportation Studies della University of California (www.its.berkeley.edu).