Due giorni fa ero alla spiaggia di Pisenze a prendere il sole. È la spiaggia più bella di questa parte di lago, una lingua di terra che corre ai piedi della Rocca di Manerba del Garda, tra un entroterra lussureggiante e il lago. In alcuni tratti si trova sabbia fine e non sassi, dove il lago stranamente non scende a picco, ma si tocca per molti metri. Sulla testa il cielo splendido di una giornata estiva dopo che la notte ha piovuto, e un piacevole vento sostenuto e fresco, a mitigare i trenta gradi di temperatura. Uno spettacolo.
La vita in una palla leggera
Si giocava con una di quelle palle gonfiabili che non disturbano gli altri bagnanti. Poi la palla sfugge e punta verso il largo. Parto per il salvataggio, essendo una nuotatrice sicura di sé. La leggera palla si allontana sempre più, ma io non me ne accorgo, tapina, e continuo a seguirla. L’ho quasi raggiunta, la sfioro, lei fugge. Un giovane con pinne e maschera da una roccia si getta al recupero della palla, me la riporta e chiede se ho bisogno di aiuto. Dico di no, per un peccato di orgoglio di cui mi pento un minuto dopo, quando, a seguito di una goffa spinta con la mano, la palla fa un piccolo balzo sull’increspatura della superficie e mi viene in faccia. Bevo. Lei scappa, la ripiglio di nuovo. Bevo un’altra volta e poi una terza. L’acqua mi entra nel naso, annaspo.
Ancora la palla mi sfugge, ma sento che non ho più la forza per seguirla. Forse dovrei tornare. A proposito, dov’è la riva? Prima non ci ho fatto caso, presa com’ero a non perdere la palla. Guardo e scopro che è lontana almeno trecento metri. E continuo a bere. Mi metto nella posizione del morto, ma l’acqua del lago è pesante, e bevo ancora.