Il 12 gennaio 2010, esattamente un anno fa, un terribile terremoto colpì Port-au-Prince e altre città haitiane. Oltre alle 300.000 vittime e alla devastazione, le scosse hanno aggiunto nuove macerie ai detriti di un Paese già in ginocchio, ridotto a una povertà estrema fin dai tempi della colonia. La comunità internazionale si è assunta il compito di ricostruire, ma poco o nulla è stato fatto. Nonostante la straordinaria gara di solidarietà nell’immediatezza della tragedia, Haiti viene indicata oggi come il “fallimento dell’umanitario”. Il meccanismo studiato da Stati Uniti e organizzazione delle Nazioni Unite per la ricostruzione del Paese è di fatto nelle mani degli stranieri, Banca mondiale in testa.
Epidemie e miseria
Un dato su tutti: il numero delle persone che vive nelle tende (ormai rovinate dopo un anno di esposizione al sole cocente e alle piogge tropicali) o in ripari di fortuna è invariato: un milione e mezzo un anno fa, un milione e mezzo oggi.
La situazione è anzi peggiorata a causa di un’epidemia di colera importato mal controllata che ha provocato oltre 3.500 morti in tre mesi e a causa di un delicato impasse elettorale, determinato da frodi grossolane che hanno di fatto bloccato il primo turno delle elezioni presidenziali e legislative, svoltesi a fine novembre senza la partecipazione dei principali partiti di opposizione.
La società civile haitiana, la stessa che riuscì a vincere la dittatura dei Duvalier, è stata esclusa da qualsiasi partecipazione alla ricostruzione. Né coinvolta, né consultata.
Il “momento zero” perduto
Ancora una volta gli haitiani non possono disporre del proprio futuro, l’autodeterminazione di tutto un popolo e di tutta una nazione è stata scippata. Ogni momento cruciale della storia di Haiti, ogni fase di “liberazione” da un’oppressione politica o economica, ha sempre visto un’ingerenza straniera. La tutela di altri Stati e della comunità internazionale, con la connivenza del governo locale, ha portato Haiti a essere, già prima del terremoto, il Paese più povero dell’emisfero occidentale. Curioso, per un Paese occupato da decine d’anni dalle Nazioni Unite e dalle potenze mondiali.
La devastazione del terremoto poteva essere il “momento zero” dal quale ripartire, per ricostruire un Paese, rifondare uno Stato, liberare un popolo. Non è successo. Le testimonianze raccolte nel nostro libro a pochi mesi dal sisma paventavano questo rischio. Ma ascoltare queste voci, le poche se non le uniche voci di haitiani che ci sono giunte in Italia, ci fa superare la rabbia e ci fa sperare.
Ripartire dal terremoto. Non è successo. Non ancora. (12/01/2011)
Fonte: Marco Bello e Alessandro Demarchi – ©Infinito edizioni 2011