Non ancora rientrato in possesso delle forze sacrificate in tre soli giorni di casino perpetrato lo scorso anno a Iruña (Pamplona in basco) resto nell’afa milanese e guardo il primo Encierro alla tivù (Rtve, canale 535 di Sky, per favore non innamoratevi della intervistatrice Elena perché vi ho già pensato io, e perdutamente). Ovvio però che ritenga doveroso, e ciò accade nelle righe che seguono, raccontare alla gentile aficiòn lettrice quanto visto davanti al video. L’Encierro, tutti sanno ma “repetita juvant”, è la corsa dei tori (ai quali sono di solito affiancati i Cabestros (buoi) dal Corral (recinto) in cui hanno pernottato; a Pamplona sulla Cuesta (salita) de Santo Domingo, alla Plaza de Toros.
Attenti alle “curve” dell’Encierro
Saliti per la Cuesta e girato a sinistra davanti all’Ayuntamiento, i Corredores seguiti dai Toros a loro volta seguiti dai Pastores procedono verso la brutta curva sulla destra che dà sulla celeberrima, leggendaria Calle Estafeta. Bisogna stare accorti assai, c’è rischio (nonostante la recente installazione di un Antedeslizante (anti scivolante) di sdrucciolare e andare a sbattere sul Portalòn: lì si formano sovente strani montoni di umani e bestie con conseguenze talvolta serie (un toro pesa tra i 5 e i 600 chili più corna appuntite, ma per fortuna è in molti casi più saggio di tanti Homo sapiens ed evita di infierire, rialzandosi e proseguendo per la sua strada).
La Calle Estafeta misura 300 metri, al termine dei quali si arriva all’edificio della Telefonica, leggera curva a sinistra, un altro centinaio di metri (sulla sinistra la statua di Hemingway, quante foto mi sono fatto scattare in sua compagnia) e si entra finalmente nella Plaza de Toros. Ma prima di finire nel rotondo spazio sabbioso della Arena si rischia ancora, e di grosso, nel Callejòn (androne) di ingresso che fa da tappo: perché i toros corrono secondo natura mentre gli umani cedono alle passioni e tendono eccessivamente a volersi superare, quando non fottersi l’un l’altro. E se su un mucchio di Corredores ci sbatte un toro, la marmellata è pronta.
Cantici, preghiere e via la “cascata” di zoccoli ed umani
Come ovvio la stragrande maggioranza dei Pamplonicas veste rigorosamente di rosso (basco, Pañuelo -foulard o fazzoletto-, cintura o fascia) e bianco (camicia e pantaloni). Ore 7.55, sotto la Hornacina (nicchia) con statuetta di San Fermìn, sulla Cuesta de Santo Domingo, si intona il primo dei tre Canticos (preghiera) richiedenti (in Castellano-spagnolo e in Euskera-basco) la protezione del santo (“A San Fermìn pedimos – chiediamo – por ser nuestro patròn, nos guie en el Encierro, dandonos su bendiciòn”). Ore 8 in punto (un tempo, in Spagna, la puntualità era un concetto molto astratto e le uniche manifestazioni che cominciavano in orario erano le corride e le partite di Calcio) sparo del Cohete (razzo, il giorno prima detto anche Chupinazo) toros della Ganaderìa (allevamento) Peñajara in libertà. Otto Pastores con lunghi bastoni sorvegliano la Manada (mini) mandria. E’ cominciato l’Encierro. Chi corre Saca (esplode) Adrenalina allo stato puro, osservato da emozionati sguardi e macchine fotografiche protese da superaffollati balconi e finestre lungo il percorso (un gran bel business il loro affitto per la breve durata dell’Encierro, negli 8 giorni della Feria i proprietari delle case tirano su quanto basta per una vacanza al mare).