“È camminando che ho avuto i pensieri più fecondi, e non conosco pensieri così grevi che la marcia non possa dissolvere“
(Sören Aaby Kierkegaard)
L’altro filosofo che ha molto da dire sul camminare e sul pensare è Søren Kierkegaard. Egli fu sempre abituato a camminare. In una memoria, il filosofo racconta come il padre, piuttosto che farlo uscire di casa, camminava con lui da un capo all’altro della stanza, descrivendogli il mondo.
Successivamente, quando fu più adulto, il padre gli permise di unirsi alle sue camminare metropolitane.
Per le vie di Copenhagen
Il filosofo danese, a differenza di Rousseau, scelse la città, Copenaghen, come luogo in cui passeggiare e studiare i soggetti umani. Era solito dire che le strade di Copenaghen erano la sua “sala di ricevimento”.
Kierkegaard, come Rousseau, fu un viandante solitario, presente e al tempo stesso distaccato dal mondo che lo circondava e il camminare era il mezzo per ottenere una grande quantità di contatti casuali con i propri simili e questo facilitava la meditazione. Nei suoi diari, Kierkegaard sostiene di aver composto tutte le sue opere camminando. Ma, dalla società che gli stava attorno questo suo continuo andare a zonzo venne percepito come indizio di oziosità. In realtà, le passeggiate per il filosofo danese erano la base del suo prolifico lavoro. La strada, che per le persone con una ricca vita privata rappresentava l’arena più casuale, era per lui la più personale.
Passeggiare, per conoscere e capire
Ma fu proprio un altro pensatore viandante, tacciato di oziosità, a scrivere la più famosa arringa in difesa del camminare. Comincia così Robert Walser il celebre racconto “La passeggiata”: “Un mattino, preso dal desiderio di fare una passeggiata, mi misi il cappello in testa, lasciai il mio scrittoio o stanza degli spiriti e discesi in fretta le scale, diretto in strada. […] Per quanto mi riesce di ricordare, appena fui sulla strada soleggiata mi sentii in una disposizione d’animo avventurosa e romantica, che mi rese felice. Mi riempiva un’attesa gioiosa di tutto ciò che avrebbe potuto venirmi incontro o presentarmisi. I miei passi erano misurati e tranquilli e credo di aver mostrato, mentre così camminavo, un contegno abbastanza dignitoso. […] In quel mentre ero fortemente assorto in ogni sorta di pensieri, perché sempre, quando si passeggia, idee, lampi di luce e luci di lampi si presentano e si affollano da sé per essere elaborati con cura”. Come Kierkegaard, lo scrittore svizzero, emarginato dalla società, fu più volte accusato di ozio, tanto che, nella stessa opera La passeggiata, risponde alle accuse con un monologo che è rimasto, forse, il suo passo più celebre.
Nella finzione del racconto Walser, davanti al sovrintendente-tassatore che voleva alzargli le imposte con la giustificazione-accusa unica di vederlo “sempre andare a spasso”, pronuncia le parole che seguono…