Sotto l’aspetto un po’ impettito si celavano idee e progetti fuori dagli schemi, di assoluta avanguardia e ancora attuali. Il portacenere “Cubo”, le “Sculture da viaggio”, le “Macchine inutili”, la “Sedia per visite brevissime”, le “Forchette parlanti”, i “Libri illeggibili”, tutti i progetti di Bruno Munari sono stati innovativi e massimamente creativi.
E più di ogni altra cosa il suo straordinario metodo, perno intorno al quale ruotava tutto il suo lavoro, rivolto in particolare ai bambini, suoi interlocutori privilegiati Nell’epoca della globalizzazione, Munari – al quale in occasione del centenario della nascita a Milano sono state dedicate conferenze, spettacoli teatrali e alla Rotonda di via Besana una grande mostra antologica – torna di attualità con la sua prospettiva assolutamente originale su tutto.
Come nelle emblematiche Xerografie originali che l’artista creava negli anni Sessanta del Novecento: persino le fotocopie possono diventare originali, altro che omologazione.
Muoversi tra i linguaggi
L’elasticità mentale del più eclettico artista-designer del Novecento era straordinaria. Dal design all’architettura, dall’arte alla grafica (anche pubblicitaria) dalla didattica alla comunicazione, dalla pittura alla scultura fino all’arredamento, Bruno Munari spaziava senza soluzione di continuità tra le discipline, abituato a muoversi “tra” i linguaggi per comprenderne i meccanismi, anticipando le teorie sull’interdisciplinarietà delle arti.
Sconfinamenti anche tra le categorie spazio-temporali, che l’artista indagò continuativamente, facendone una questione centrale nel proprio metodo progettuale. Munari, che attraversò quasi per intero il Novecento (1907-1998) ebbe una fase futurista e, pur sfuggendo ad ogni catalogazione, fu tra i fondatori del movimento di Arte concreta (MAC) nel 1948.
Progettista per l’Editoria e designer per l’Industria
Se dalla fine degli anni Venti fino a tutti gli anni Settanta del Novecento, la grafica editoriale fu tra le sue principali attività professionali, del tutto innovativa, il suo lavoro editoriale si intensificò a partire dagli anni Cinquanta, divenendo Munari progettista per alcuni dei più rilevanti editori italiani: da Bompiani al Club degli Editori, da Editori Riuniti a Scheiwiller, da Rizzoli a Zanichelli, da Lucini a Corraini (nel cui catalogo sono oggi oltre cinquanta titoli di e su Bruno Munari) e specialmente Einaudi, al cui successo contribuì in modo importante con i progetti di alcune collane.
Nel secondo dopoguerra fu tra i più creativi esponenti del design italiano, collaborando con aziende prestigiose tra le quali Rinascente, Olivetti (presso il cui negozio a Milano organizzò nel 1962 una famosa serie di mostre di Arte Programmata) Danese (brand di primo piano nella storia del design italiano) Campari, con la quale ebbe un duraturo legame (fin dagli anni Trenta) nell’ambito della sperimentazione grafica: di forte impatto il progetto del cartellone dell’azienda del 1960, oggi conservato tra le opere di grafica al MOMA di New York. Già negli anni Cinquanta, Munari esponeva in tutta Europa e negli Stati Uniti, viaggiando in Giappone – cultura con la quale aveva una particolare affinità – ed esportando la sua fama.
Modesto nonostante i premi che collezionava, compresa la laurea ad honorem in architettura, conferitagli dall’Università di Genova nel 1989.