“Non mangerà il panettone”. No, non è il consiglio di un nutrizionista, né il profetico annuncio di uno iettatore. Appartiene piuttosto alla categoria delle allegorie, alle metafore paludate, un eufemismo sulla via della carriera. Insomma, è una di quelle invenzioni linguistiche ciniche che ricordano il famoso “pph” del Maggio parigino (il ’68, per chi non c’era) dove l’acronimo stava per “passera pas l’hiver” (non passerà l’inverno) riferito ai soloni “agé” che pontificavano contro il “movimento”, o anche soltanto ai “padri”, che non condividevano. In Italia poi tradotto in “Matusa”, cioè “Matusalemme”.
“En passant”, anche Sartre era agé, ma si fece un’eccezione.
Chi dunque non mangerà il panettone? Nessuno. È solo una trasposizione dal metalinguaggio calcistico a quello politico. Se Helenio Herrera, allenatore dell’Inter morattiana (di Angelo!) dei Sessanta, non otteneva risultati immediati, rischiava di non mangiare il panettone, cioè di essere licenziato prima di Natale.
Certo, l’immagine non è proprio veritiera, con i milioni ricevuti l’allenatore argentino, anche da licenziato, avrebbe potuto mangiare panettone tutti i giorni per dieci anni, invitando anche tutta la popolazione di Buenos Aires. Ma non con Moratti. I giornali in cerca di metalinguaggi continui ne hanno fatto un luogo comune, per dire del “licenziando”, fino ad applicarlo alla politica, giù giù fino all’attuale governo.
Che ossessione, quella del Natale. Non già visto come “momento dello spirito”, ma come momento di resa dei conti. E cosa c’entra poi il dolce all’uvetta?
Il panettone dei Caroselli
Era il 1957 e per i tipi di Carosello andava in onda un filmatino con due attori di rango, Lia Zoppelli ed Enrico Viarisio, dal titolo “Fierezza e Nobiltà”, che terminava con lei a dire: “Son prodotti di Alemagna!”. E lui a rispondere: “Ullallà, è una cuccagna”. Insomma, il contrario di “non mangerà il panettone”.
Qui l’invito era ecumenico: “Prendete e mangiatene tutti!”. Dall’altra sponda milanese rispondevano, con minore efficacia, due personaggi da cartone animato, Toto e Tata: “Accipicchia se mi piace il panettone Motta”.
Erano gli anni del boom, quello economico, e il packaging dei due panettoni milanesi, il dolce visto come silhouette del Duomo, era la risposta ottimista a film amari come “Miracolo a Milano” o “Umberto D.”.
Quel dolce così “sfacciato”, iperlievitato, con il “cupolone” impertinente, i canditi “esagerati”, l’uvetta (cioè l’uva concentrata, da sempre immagine di abbondanza) era la carta da visita dei “Cumenda” e delle “fabbrichette”, di quella filosofia che avrebbe portato in vent’anni alla “Milano da bere”. Tanto da imporsi in Italia, cambiando le tradizioni di campanile, quasi forzando una globalizzazione italica a base di “panetun”.
Mentre nelle altre città e regioni ci si gingillava ancora con il panspeziale (Bologna), la gubana (Friuli), il pangiallo (Lazio), Milano imponeva la legge del prodotto industriale, uguale per tutti e quindi moderno. Per poi perire nella competizione, prima con il fallimento dei due marchi diventati “panettone di stato” (in quale altra parte del mondo sarebbe potuto accadere?) e poi con l’ascesa del pandoro veronese, che ha instaurato il duopolio in Italia, del tipo “Coppi o Bartali” (o Rai-Mediaset) che richiama le grandi antinomie affettive (mamma o papà?) o geografiche (mare o montagna?) in un paese che ama dividersi e non farsi mancare nulla.
Il panettone, però, ha continuato la sua strada. Fatta di spot, come quelli surreali del Dalì dei poveri Nino Frassica per il Maina: “Non è buono ciò che è buono, ma che buono, che buono, che buono!”, o quelli patinati, decadenti, da barocco veneto che suonano con il “Ba-ba-bauli”. Fino all’ovvia conclusione: panettoni da un euro nei supermercati. Sottocosto, da consumare come fast food. Ovviamente senza aver mai visto lievito madre e burro.
Regola prima: ingredienti di qualità
Ma, ebbene sì, c’è un “ma”. Come dice Paolo Massobrio, c’è gente che resiste. Resistenza umana, dignità nel non farsi travolgere da marketing e modernità presunta. I piccoli produttori, i carbonari del dolce, hanno continuato a lavorare in silenzio.
E a proporre veri panettoni. Ora, non bisogna esagerare con gli entusiasmi, l’Italia è pur sempre un paese dove si fiuta il vento e non tutti gli artigiani sono poi così diversi dall’industria, se non nei numeri. E ci sono anche realtà a metà strada, che conciliano il prodotto artigianale ben fatto con numeri da piccola industria. Quello che è importante sapere è se il panettone ha ingredienti di qualità e se è lievitato con il lievito madre (o pasta madre o lievito naturale, ottenuto da farina, acqua, zucchero) che richiede un tempo lungo (36-48 ore).
Quali sono questi ingredienti? Beh, la farina di grano, macinata a dovere; lo zucchero selezionato; le uova fresche da galline allevate a terra; il miele italiano; il latte fresco e il burro da panna; il cedro e l’arancia canditi; l’uva sultanina turca selezionata.
Chi vuole e può, vedi Loison, può aggiungere altri criteri: latte e burro freschi di montagna, cedro candito di Diamante di Calabria, arancia candita tutta-essenza di Sicilia, uva sultanina super, vaniglia “Mananara” del Madagascar.
E poi i prodotti per la farcitura, dai vini come il moscato d’Asti, il torcolato di Breganze, il prosecco di Valdobbiadene; al cioccolato, declinato nei cru ecuadoriani, venezuelani, malgasci, e nelle delizie dei vari gianduia. Per non parlare delle “salse”, zabaione, mousse con brodo di giuggiole, pasta di mandorle, fino alla frutta come pera candita, marron glacé, papaia disidratata.
Tanto che se vedete apparire Pantagruel all’orizzonte non è un miraggio.
Un dolce che arriva da lontano
Se è vero che ci sono parecchie leggende intorno al panettone (da lasciar perdere) vale la pena citare Pietro Verri che racconta di antiche consuetudini di spezzare, a Natale, un grande pane, in segno di comunione. Nel XV secolo i fornai milanesi producevano per statuto pani diversi per i ricchi (di grano) e per i poveri (di miglio) salvo a Natale, quando per tutti c’era il pane di lusso (pan de ton) con burro, zucchero e vino. Altre fonti citano un banchetto ducale del 1495 in cui a Ludovico il Moro fu servito un “panis quidam acinis uvae confectus” (pane con acini di uva).
Come sempre, si intrecciano abitudini e riti popolari (pane dolce rinforzato con frutta secca o candita) che coprono il Mediterraneo e le Alpi e ricette di corte, soprattutto delle corti rinascimentali padane. Ma è Milano ad averne fatto una prima sintesi, con quel dolce lievitato a cilindro.
La curiosità è il fatto che il pittore olandese Jan Alberts Rootius (1615-1674) lo mise al centro di un suo quadro, una “natura morta” con frutta e panettone.
Semplificando: panettone classico, quello lungo e alto, ma anche più basso e largo (a seconda dello scalzo che si usa per farlo lievitare); panettone “Piemonte”, quello basso e largo, del Novecento, con la glassa nocciolata. Più i farciti e i ricoperti che rimescolano le carte. Pezzature possibili: mezzo chilo, settecentocinquanta grammi, un chilo e mezzo e due chili; ma c’è chi esagera fino a cinque chilogrammi.
Un “magnum” esibizionista!
Negozi e confezioni da boutique
Vediamo in dettaglio. Panettoni di rito ambrosiano.
Loison da Costabissara (Vicenza) è un po’ il re. Basta dire che ha fatto un panettone al mandarino tardivo di Ciaculli, Presidio Slow Food. Ma, indagando su ingredienti e sapori, se ne scoprono delle belle. Come ad esempio il “Nöel”, che accoppia la tenerezza della pera candita all’aroma della vaniglia Madagascar, con il pungente del chiodo di garofano e il persistente profumo della cannella. Un panettone di ricerca, insomma. Come di innovazione è il panettone al torcolato, bilanciato dal superclassico, però fatto con ingredienti ricercati. Non a caso ha vinto il Gold Great Taste Award di Londra nel 2003. Da notare anche la cornice, in particolar modo le eleganti cappelliere amaranto e le “latte” da collezione.
Teresio Busnelli da Arluno (Milano) fa l’artigiano. Nel senso che da trent’anni non ha fretta, aspetta la lievitazione naturale e limita la sua produzione. Un panettone classico, bello alto, che profuma di burro
e ha la giusta morbidezza. Si sussurra, qualcuno lo grida, che sia il fornitore di Casa Berlusca e di qui abbia raggiunto nientemeno che lo zar Putin e il cowboy Bush. È stato premiato nel 2005 come migliore
d’Italia.
Poi ci sono i milanesi. Le pasticcerie-boutique, come Cova, Sant’Ambroues, Gattullo, Ranieri, i luoghi dove l’establishment meneghino officia il rito dell’identità.
Citiamo, en passant, l’intenzione della Camera di Commercio milanese, insieme al Comune di Milano di istituire una “de.co.” per il panettone di Milano. La de.co. (denominazione comunale) da un’idea di Luigi Veronelli, è una forma di protezione di cibi “tradizionali” legati ai territori comunali, idea che non ha ancora però ricevuto imprimatur istituzionali.
Fabbri di Bologna ha nel suo repertorio soprattutto il classico alto, eseguito impeccabilmente, mentre Flamigni, a San Martino in Strada, produce panettoni classico (alto e basso) e glassato senza canditi, al profumo di mandarino, con cioccolato al latte.
Veneti e Piemontesi alla riscossa
Il polo veneto è soprattutto veronese, con Scarpato di Villa Bartolomea, il classico, alto e basso, molto ben curato, e poi quelli con marron glacé, i farciti con crema di caffè, di limone, di arancia, due ricoperti al cioccolato (latte e fondente) con la capanna di Betlemme a stampo. Grande cura (per alcuni forse un po’ troppo leziosa) nelle confezioni. E poi Perbellini di Bovolone, che fa un classico basso e uno alto, nella curiosa pezzatura di quattro chili.
Rosa Salva a Venezia, pasticceria notevole, che produce un panettone classico che molti ritengono fra i migliori al di fuori della “Cerchia dei Navigli”.
Poi Corsini di Castel del Piano, che dalle pendici dell’Amiata propone panettoni alti e bassi, tutti con un sapore speciale.
Il piemontese è il panettone largo, a mezzo scalzo, con la glassatura inventata da Pietro Ferrua a Pinerolo nel 1922 e commercializzato come “Galup” (“goloso”, in piemontese). Una ricetta destinata a fare scuola, a contrastare il classico, con il grande Macario a pubblicizzare (“Galup, la parte alta del panettone”). La differenza sta principalmente nella forma (più basso e più largo) e nella glassa fatta con mandorle, nocciole, zucchero ed albume d’uovo, macinata con cilindri di pietra. L’impasto, però, è lo stesso. Per assaggiarlo, basta andare a Pinerolo, e chiedere della Reserve Rouge, un panettone secondo la ricetta originale.
Uno dei massimi interpreti è oggi Albertengo di Torre San Giorgio, che produce un tradizionale piemontese e un classico, entrambi ottimi, più uno straordinario “bagnato” al vino moscato di Santo Stefano Belbo, uno al caffè e uno all’albicocca.
Poi ci sono Silvio Bessone a Vicoforte di Mondovì, miglior Cioccolatiere d’Italia 2006, che propone un panettone mandorlato. Giovine&Giovine di Canelli e Cignetti ad Alba, con Marco Giovine, membro della Nazionale Pasticceri, che produce un panettone con pere candite e gocce di cioccolato, ricoperto da una glassa al cacao; uno splendido ricoperto di gianduia e uno con marron glacé e glassa di cacao. Saracco di Calamandrana, che ne propone uno classico molto apprezzato.
Bonifanti di Villafranca Piemonte, con un tradizionale glassato, un glassato gran moscato, un glassato con pera e pesca candite, un classico.
I Tre Re Magi di Luserna San Giovanni (Torino) con il classico, più i piemontesi extraburro al moscato, extraburro nocciola e mandorla, il pere, mele, albicocche e il tropicale (con mango, papaia e ananas disidratati).
La Torinese di Torino propone un “panettone pandorato”, dove l’ossimoro si spiega con l’assenza di uvetta e canditi e la necessità di una farcitura a piacere. Più “alto”, “basso”, “nocciolato” (glassa di nocciole, mandorle intere e granella di zucchero) con cioccolato o moscato. Estrema eleganza nelle confezioni (c’è una scuola interna di confezionatori) come nel caso del sacco in lamé o in organza, la cappelliera, la carta oro più astuccio, la scatola esagonale, le carte stampate in colori diversi con fiocchi e decorazioni. Un tripudio di colori e luccichii.
Una “manna” di panettone
Una curiosità è il panettone palermitano, fatto da Fiasconaro. È un artigiano che ha imparato l’arte padana e l’ha trasferita in Sicilia, dove esistono alcuni ingredienti classici del dolce, gli agrumi, e dove si può giocare con altri, come le mandorle d’Avola, i pistacchi di Bronte, la manna delle Madonie. Insomma, ricama, Nicola Fiasconaro, con un basso ai pistacchi, ananas e albicocche, un basso con uvetta al marsala e zibibbo, fino a un “eretico” frutti di bosco con copertura di cioccolato bianco e a un barocchismo come il panettone (che si scava a grotta) con il presepe di cioccolato bianco. Un altro pianeta.
Consultare l’etichetta è un buon metodo per una prima selezione del panettone.
Gli ingredienti usati, farina, uova, burro e zucchero, sono elencati in ordine decrescente. Se lo zucchero (ingrediente più economico) è subito dopo la farina e al posto del burro c’è la margarina si è sicuri che la qualità è bassa; se, invece, sull’etichetta sta scritto: farina, tuorlo di uova fresche, burro fresco di panna, zucchero, si è sicuri che la base di partenza è corretta. Se poi si parla di lievitazione naturale, il salto è stato fatto. Da quel punto in poi, è una questione di prezzo (ingredienti selezionati) e di gusto.
Ma, vi chiederete, dove assaggiare i diversi panettoni? Esclusa l’ipotesi di fare un viaggio per procurarseli, resta valida una manifestazione unica, “Panettone in vetrina”, che si svolge a Pinerolo (Torino) a fine novembre. Certo, è a casa Galup, ma presenta anche i più bei nomi “panettonieri” d’Italia.
Come nasce il Panettone
Ingredienti: farina 350 grammi, burro 120 grammi, zucchero 80 grammi, lievito 60 grammi, uvetta sultanina 100 grammi, canditi (arancia e cedro) 60 grammi, 4 uova e un pizzico di sale
Preparazione: sciogliere il lievito di birra in mezzo dito d’acqua tiepida, impastare il lievito disciolto con 100 grammi di farina, praticare un taglio a croce sul panetto e lasciare lievitare per circa 20/25 minuti, avvolto in un panno di lana.
Riprendere il panetto e impastarlo con 125 grammi di farina e 2/3 cucchiai di acqua tiepida.
Rimettere a lievitare la pasta avvolta nel panno fino a che non avrà raddoppiato il proprio volume.
Tagliare a dadini la frutta candita
Mettere a bagno l’uvetta per 15 minuti, poi asciugarla.
Fare sciogliere lo zucchero diluito in un dito d’acqua.
Unire allo sciroppo, sbattendo con una frusta, i 4 tuorli d’uovo e circa metà di uno degli albumi, quindi mettere a cuocere il tutto a bagnomaria per intiepidire il composto
Sciogliere 90 grammi di burro
Unire alla palla lievitata la farina rimasta, la scorza di limone grattugiata, una presa
di sale e lo sciroppo tiepido.
Impastare aggiungendo se necessario un po’ di acqua tiepida per circa 15 minuti ottenendo una pasta liscia e omogenea. Aggiungere i canditi e l’uvetta, accendere il forno sui 220 gradi.
Lasciare riposare l’impasto per circa 15/20 minuti.
Imburrare un pezzo di carta da forno.
Rivestire con la carta una forma dai bordi alti e porvi l’impasto
Praticare un taglio a croce sull’impasto
Infornare il dolce e lasciarlo cuocere per circa 1 ora
Dopo 10 minuti porre sulla superficie del dolce il rimanente burro.
(Abbassare di qualche grado il forno man mano che la superficie si colora, in modo che non si bruci).
I “Re” italiani del Panettone
Loison, strada statale Pasubio 6, Costabissara (Vicenza) telefono 0444 557844
Pasticceria Busnelli, piazza Cavour 3, Arluno (Milano) telefono 02 9017690
Pasticceria Cova, via Montenapoleone 8, Milano, telefono 02 76000578
Pasticceria Gattullo, corso di Porta Ludovica 2, Milano, telefono 02 58310497
Pasticceria Sant’Ambroeus, corso Matteotti 7, Milano, telefono 02 76000540
Pasticceria Ranieri, via Moscova 7, Milano, telefono 02 6595308
Gino Fabbri, via Cadriano 27, Bologna, telefono 051 6330401
Flamigni, San Martino in Strada (Forlì-Cesena) telefono 0543 83200
Ermenegildo Rosa Salva, Ponte Ferai 951, San Marco, Venezia,
telefono 041 5210544
Scarpato, via Olmetto 27, Villa Bartolomea (Verona) telefono 044 2637311
Perbellini, via Vittorio Veneto 46, Bovolone (Verona) telefono 045 7100599
Corsini, via Cellane 9, Castel del Piano (Grosseto) telefono 0564 956787
Galup, via Finestrelle 32, Pinerolo (Torino) telefono 0121 322227
Albertengo panettoni, via Circonvallazione 18, Torre San Giorgio (Cuneo)
telefono 0172 921028
Le Delizie di Silvio Bessone, via Gallo 19, Vicoforte di Mondovì (Cuneo)
telefono 0174 563312
Giovine&Giovine, piazza Gancia 9, Canelli (Asti) telefono 0141 834765
Cignetti, via Vittorio Emanuele II 3, Alba (Cuneo) telefono 0173 440218
Bonifanti Panettoni, via Vigone 51, Villafranca Piemonte (Torino) telefono. 011 9800718
I Tre Re Magi, via Pralafera, Luserna San Giovanni (Torino) telefono 0121 909739
Lorenzo Saracco, via Roma 13, Calamandrana (Asti) telefono 0141 75194
La Torinese, via Vicenza 13, Torino, telefono 011 484484
F.lli Fiasconaro, piazza Margherita 10, Castelbuono (Palermo) telefono 092 1677132