La Bolivia è una delle repubbliche sudamericane che nei primi anni dell’Ottocento conquistarono l’indipendenza dall’impero spagnolo dopo averlo sostentato per più di due secoli. Dalla boliviana Potosì proveniva quella vera e propria montagna d’argento che permise alla corte di Madrid di vivere di rendita nel Seicento e nel Settecento, non senza concedersi anche un certo numero di guerre, quasi tutte perdute. Tanta fu la colossale ricchezza del giacimento, che tuttora in Spagna si dice “vale un Potosì” ciò che in Italia è chiamato Perù. Attraversata verticalmente dalle Ande, con l’altissima La Paz e il vicino lago Titicaca immancabilmente ricordati nell’ora di geografia, la Bolivia occidentale, abitata in prevalenza dagli Indios, si presenta estremamente montagnosa, con una economia precaria ancor più impoverita dall’assenza di uno sbocco sul Pacifico, posseduto fino a fine Ottocento e poi perduto in seguito a infelici dispute con Perù e Cile. La parte orientale del Paese – confinante a sud con l’Argentina e il Paraguay e a est con il brasiliano Mato Grosso – è invece caratterizzata da colline e pianure che permettono accettabili condizioni economiche grazie all’agricoltura e all’allevamento.
Bolivia, terra di “piccoli” uomini
E’ in questa regione, risalendo i grandi fiumi destinati a formare il Rio de la Plata – qualcosa come duemila chilometri, via Argentina e Paraguay – che a metà del XVI secolo giunsero i Conquistadores dell’extremeño Gnuflo de Chavez. Il quale, visti gli Indios, se mai possibile ancor più minuscoli di quelli conosciuti in precedenza, li chiamò Chiquitos (diminutivo di piccolo) e Tierra de Chiquitos (oggi più elegantemente battezzata Chiquitanìa) divenne il territorio da loro abitato. Nel 1561, nel sud di questa Tierra, i non invitati visitatori europei fondarono in collina una città, Santa Cruz de la Sierra (montagna) abbandonata trent’anni dopo per costruire l’attuale Santa Cruz, duecentosessanta chilometri più a ovest. Curiosamente, ancorché la nuova città si trovasse in un territorio pianeggiante, ai Conquistadores non venne mai in mente che l’appellativo de la Sierra fosse di troppo. Motivi del citato trasloco, un prosaico avvicinamento all’oro delle Ande e un più spirituale desiderio di convertire gli Indios. In seguito gli Spagnoli avrebbero costruito altre “poblaciones” più a ovest, al centro della Chiquitanìa, per frenare le scorribande dei “bandeirantes”, avventurieri e mercanti di schiavi provenienti dal Brasile. Oggidì Santa Cruz de la Sierra – punto di partenza del tour che porta alle meravigliose Misiones Jesuiticas – conta poco meno di un milione e mezzo di abitanti, vanta una curiosa urbanistica (si espande in cerchi concentrici, gli “anillos”) e una certa ricchezza (quinta città nel mondo quanto a indice di sviluppo) che la spinge – alla testa di un “departamento” grande 1,2 volte l’Italia – a reclamare una decisa autonomia, quasi “independencia” dalla Bolivia andina di La Paz e dagli Indios elettori del neopresidente Evo Morales.
I Gesuiti di Loyola nel mondo
Di poco posteriore alle spedizioni dei Conquistadores, nasceva in Spagna l’ordine cattolico di chierici regolari mendicanti di nome “Societas Jesu” (S.J. o S.I.) noto anche come Compagnia di Gesù, alias i Gesuiti. Un ordine, istituito con disciplina e gerarchie militari estremamente rigide dall’uomo d’arme Ignacio de Loyola, che oltre a “orare” e a “laborare” pensò anche di agire, reagire (alla Riforma) e operare nel mondo con fatti e non parole, nonché seguendo regole (Formula Istituti) che concedevano ampia autonomia di azione nel campo dell’insegnamento (Scuole) e attività missionaria (Missioni). Già nel 1580 i Gesuiti – sulle orme del co-fondatore della Compagnia, Francisco Xavier – erano presenti a Nagasaki; nel secolo successivo Gruber d’Orville giunse nel Tibet e famosa è la vicenda di padre Matteo Ricci in Cina. Le vocazioni a divenire gesuita erano numerose, soprattutto nel sud della Germania cattolica e in Svizzera: nel 1574, per volere del cardinale Borromeo e del militare Ludwig Pfyffer, fu istituita a Lucerna la prima sede dell’Ordine; nel 1580 su richiesta del nunzio Bonomi e del locale governo, fu fondato il collegio Saint Michel a Friburgo.
Dalla Svizzera, Padre Schmid
Tra i circa mille e duecento Svizzeri che fino al 1773 (soppressione dell’Ordine) entrarono nella Compagnia di Gesù e in gran parte lasciarono la Confederazione per fondare missioni nel mondo, padre Schmid – personaggio chiave di questa bella, bellissima e coinvolgente storia – fu certamente uno dei più importanti. Martin Schmid nacque nel 1694 a Baar, nel cantone di Lucerna (dove si spense nel 1772) città nel cui collegio della Compagnia fu accolto per compiere un ciclo di studi che dalla teologia si estendevano – giusto le regole dell’Ordine – alla musica, all’architettura e ad altre scienze di un mondo enciclopedico che si stava aprendo all’Illuminismo. Lasciata la Svizzera, il religioso giunse a Cordoba (nel nord dell’Argentina) in una Missione che poteva vantare molti gesuiti dalla buona cultura musicale – alcuni sapevano addirittura costruire ottimi strumenti – quando non si trattava di noti compositori di fama europea; è il caso del pratese Domenico Zipoli (1688-1726) morto di tisi pochi anni prima dell’arrivo di Schmid. In termini di evangelizzazione delle terre centrali del Sud America, nei primi del Settecento la Missione di Cordoba era da considerare di retroguardia, avendo i Gesuiti fondato più a settentrione, circa un secolo prima, le “Reducciones Jesuiticas” nella “Provincia Gigante de las Indias”, così chiamata dagli Spagnoli, o “Provincia Paracuaria”. secondo gli archivi della Compagnia, corrispondente all’attuale Paraguay.
Misiones di Chiquitanìa
Successivamente si spinsero ancor più a nord (si parla di enormi distanze, Santa Cruz de la Sierra dista circa duemila e duecento chilometri dalla capitale paraguayana Asunción) istituendo ben quattordici Misiones nella Chiquitanìa, delle quali sette sopravvissero e costituiscono l’oggetto di questo racconto. La prima fu San Javier (1691) cui seguirono San Rafael (1696) San Josè (1697) San Juan (1699) Concepciòn (1709) San Miguel (1718) San Ignacio (1748) Santiago (1754) Santa Ana (1755) e Santo Corazòn (1760). All’epoca della fondazione, nei “pueblos”, ancora dipendenti dalle citate Reducciones in quella provincia che Voltaire definì “Repubblica Gesuitica”, potevano abitare solo gli Indios e si parlavano soltanto l’idioma locale e il latino.
La topografia di una Missione era molto semplice e rigorosamente identica: dopo aver tracciato una grande piazza quadrata (circa cento metri di lato) e postovi al centro una croce affiancata da quattro palme, su un lato venivano costruite la chiesa e le abitazioni adibite a convento e magazzino, mentre sui restanti lati della “plaza” si erigevano le capanne dei nativi. Chi ha visto il film Mission (1986, interpretato da Robert De Niro e Jeremy Irons, per la bellissima musica di Ennio Morricone) non ha difficoltà a configurarsi la nascita e la vita di un insediamento gesuita. Superfluo commentare che per i Gesuiti il compito di corrispondere con gli Indios era assai arduo, a causa della presenza di tanti dialetti in altrettante tribù; a titolo di esempio e di curiosità si ricorda che nella Chiquitanìa si contavano i Puniscas, i Boococas, i Tubisacas, i Paicones, i Puyzocas, i Quimomecas, i Quitemos, i Napecas, i Paunacas, i Tapacuracas!
In Bolivia, Chiese e Missioni, luoghi d’incontro
Questa storia entra nel vivo a metà del Settecento – negli stessi anni Padre Ignacio Chomè scriveva la grammatica e il vocabolario della lingua chiquita e ayorea – con la costruzione delle magnifiche chiese barocche delle Misiones, progettate come semplici luoghi di culto e fonte di erudizione musicale per divenire oggidì una grande attrazione artistica e architettonica che è valsa il riconoscimento dell’Unesco (1990) quale Patrimonio Culturale dell’Umanità.
La Iglesia di Concepciòn (oggi cattedrale del Vicariato Apostolico della provincia di Gnuflo de Chavez) costituisce l’esempio più rappresentativo dell’impianto di questi magnifici monumenti. Iniziata nel 1753 (e terminata tre anni dopo) da Padre Martin Schmid – che in alcune lettere ai familiari in Svizzera comunicava di avere costruito anche le chiese di San Rafael (1740-49) San Javier (1749-1752) e San Ignacio – la Misiòn di Concepciòn è costruita su tre navate, con corridoi su ambo i lati, alte dodici metri, larghe venti, per una lunghezza di cinquanta metri (ai quali si aggiungono i dieci del presbiterio). Il tetto, a capanna, misura trenta metri di larghezza e settantacinque di lunghezza. Le sfarzose decorazioni barocche non si limitano ai tre fastosi altari ma – come prescrive il ridondante stile concepito per le curve e i fronzoli – proseguono nel resto della chiesa con disegni floreali, intarsi, dorature, colonne salomoniche, rosoni, addobbi, pulpiti di pietra lavorata e dipinta, ornamenti geometrici, confessionali di legno pregiato, statue finemente vestite, il tutto per destare sbalordimento, stupore e ammirazione negli Indios ai quali predicare il verbo di Dio.