Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Religiosità Coreana

coreani Corea del Sud

Un popolo etnicamente compatto, un mosaico di religioni. La libertà di culto sembra rafforzare quel senso innato di spiritualità interiore che ogni coreano possiede e che ne ispira e condiziona i comportamenti

Foto di Ryan Grech da Pixabay
Foto di Ryan Grech da Pixabay

Per cercare di capire meglio i coreani (quelli della Corea del Sud perché degli altri si sa troppo poco) è opportuno tenere presente che il loro modo di pensare e quindi d’agire è in molti casi la diretta conseguenza della profonda religiosità “inconscia” che permea le loro coscienze, il loro modo d’essere; un sostrato che non di rado finisce per condizionarne i pensieri prima e i comportamenti poi. Ciò vale anche per circa la metà dei quasi cinquanta milioni di individui che vivono nella zona a sud del famoso trentottesimo parallelo che, secondo un censimento che risale agli anni Novanta, potrebbero essere definiti statisticamente atei. Il discorso può essere inoltre valido anche per quei coreani che, nello stesso censimento, hanno dichiarato di professare una religione profondamente diversa da quelle, millenarie, della loro terra. Otto milioni di individui sono infatti protestanti e due e mezzo cattolici; i buddisti assommano a dodici milioni, mentre il confucianesimo non raggiunge il due per cento, con solo mezzo milione di fedeli. Non si fa cenno, nella statistica, allo sciamanesimo che pure vanta, in Corea, profonde radici storiche.

Spiritualità millenaria
La statua di Buddha nel tempio di Bulguksa
La statua di Buddha nel tempio di Bulguksa

I coreani sono dotati di una vitalità e di un pragmatismo che noi non esitiamo a bollare come assolutamente occidentali. E’ il risultato di molti fattori: un vertiginoso sviluppo demografico, solo di recente posto sotto controllo; una crescita industriale che ha provocato un inurbamento quasi selvaggio e un  migliorato livello di vita della nazione che ha finito per introdurre l’adozione di modelli comportamentali omologati a quelli d’Europa e d’America. Tutto ciò, forse, ha ingenerato una sorta di crisi d’identità: sballottati come sono tra passato e futuro, vivono con sentimenti contrastanti l’ormai collaudato ruolo di “tigre” d’Asia, che si affianca alle altre “tigri” già note: Giappone, Hong Kong, Cina, Singapore, Malaysia e Taiwan. La religiosità “inconscia” più sopra ricordata, fa si che qualcosa rimanga sempre e comunque nell’animo dei credenti che hanno abbracciato una nuova fede o che si professano atei. Buddismo, religione dominante; è troppo radicato nei coreani il concetto di appartenenza spirituale a una religiosità antica, che ha scritto l’intera storia del Paese e ha plasmato le coscienze di chi ci ha vissuto e ci vive, per ritenere possibile che non ve ne permanga traccia. Una traccia invisibile all’apparenza ma comunque forte, caratterizzante. Una traccia che emerge soprattutto quando noi ci aspettiamo azioni e pensieri che ci parrebbero logici (secondo il nostro metro di valutazione) ma che invece non lo sono, per il semplice fatto che le pulsioni interiori sono diverse, l’iter mentale segue altre strade prima di rivelarsi. In altre parole, gli efficienti e moderni managers in abito scuro e cravatta non rivelano sino in fondo, negli atteggiamenti e negli scambi verbali, ciò che fa parte del loro intimo modo di pensare e di affrontare le diverse situazioni che di volta in volta si prospettano. Il buddismo, giunto dall’India in Corea nel IV secolo d.C. attraverso la Cina, è in sostanza una religione filosofica soggetta a una forte disciplina che promette di salvare l’uomo dal ciclo perpetuo delle reincarnazioni.

Monaci del Tempio di Haeinsa
Monaci del Tempio di Haeinsa

Il pedaggio da pagare è la totale rinuncia ai desideri terreni, processo questo che conduce alla redenzione ultima che, sola, sottrae l’anima al mondo mistico per darle infine la sicurezza del nirvana (la salvezza, il bene supremo). Ma l’assorbimento della filosofia buddista ha intrapreso strade differenti in Corea, inglobando nel proprio credo ogni sorta di superstizioni locali e adottando vie teologiche che le erano all’inizio estranee. Ecco spiegato il motivo della presenza di una moltitudine di divinità, di salvatori, di “bodhisattva” (coloro che hanno raggiunto la perfezione) di paradisi e di inferi, mai menzionati da Buddha. Questo tipo di buddismo, detto “Mahayana” o “Grande Veicolo”, si è sviluppato per mezzo dell’intermediazione dei monaci missionari giunti in Corea dall’India e dalla Cina. Grazie all’appoggio dei regnanti dell’epoca, questa religione in fondo “nuova” ha visto il verificarsi di un gran numero di conversioni e l’edificazione di templi durante i regni di Koguryo (37 a.C.- 668 d.C.) e di Paekche (18 a.C.- 660 d.C.). Nel VI secolo poi, monaci e artigiani coreani, emigrati in Giappone recando con sé scritture buddiste e oggetti sacri, hanno contribuito non poco a gettare le basi della cultura buddista anche in quel vicino Paese.

Dagli antichi regni all’occupazione giapponese
Il tempio di Bulguksa
Il tempio di Bulguksa

Un secondo aspetto interessante della diffusione del buddismo in Corea è dato dal rilievo assunto da questa religione durante il regno di Shilla. Nell’anno 668 la dinastia Shilla, malgrado governasse il territorio secondo i principi confuciani, adotta il buddismo quale religione di stato. Il risultato più evidente si riscontra nell’assoluto predominio, nella vita di tutti i giorni, della presenza di “temi” buddisti: nell’architettura dei templi, nel fiorire di botteghe artistiche che vi si ispirano. Col declino delle fortune del regno Shilla, il buddismo permane anche durante il regno della dinastia Koryo (918-1392 d.C.) che registra tuttavia una crescente corruzione nei monaci, divenuti cortigiani e politici. La situazione peggiora all’apparenza ulteriormente quando il generale Yi Song-gye, nel 1392, viene proclamato primo re della dinastia Choson (1392-1910). Egli bandisce in toto le influenze del buddismo sulle questioni di governo e adotta gli insegnamenti del confucianesimo, sia per reggere lo stato sia per dar vita a una nuova etica. Questo regno, durato cinque secoli, significa per il buddismo un lungo periodo di ostracismo e vede addirittura forme di repressione messe in atto dagli eruditi e dagli ufficiali confuciani del tempo.

Confucesimo cerimonia religiosa
Confucesimo cerimonia religiosa

Lo “spirito” del Buddismo con la dolorosa occupazione giapponese (1910-1945) si registra un rinnovato interesse per la religione anche a seguito del tentativo dei giapponesi – che sortisce l’effetto contrario – di asservire le sette buddiste coreane a quelle nipponiche. Fatto poi di un certo rilievo, alcuni monaci buddisti coreani abbandonano la lunga tradizione del celibato clericale. Dopo la liberazione, nel 1945, si moltiplicano i conflitti giuridici sulla legittimità della proprietà dei templi fra monaci sposati e celibi, che alla fine prevalgono. Oggi il buddismo in Corea sta vivendo una specie di rinascita e cerca di adattarsi ai bisogni di una società moderna e sempre più proiettata nel futuro. Molti monaci lasciano il secolare ritiro nei templi di montagna, creando dei centri per la propagazione della fede nelle città.

Statua di uno dei quattro re celesti
Statua di uno dei quattro re celesti

E’ solo verso i trent’anni, dopo una giovinezza spensierata e felice, che il principe Siddharta Gotama, nato nel 566 a.C. nell’Uttarakosala, un territorio oggi nepalese, decide di “andare errante verso l’illuminazione”. Prima monaco e mendicante (bhikkhu) quindi asceta dedito a grandi mortificazioni, divenuto il Buddha (il “risvegliato”, l’“illuminato”, appunto) predica il suo insegnamento per circa quarant’anni, morendo verso il 486 a.C., nel suo ottantesimo anno d’età. L’insegnamento del Buddha (dharma), poggia sulla dottrina delle reincarnazioni e su quella delle legge di retribuzione dei meriti (karma). Le quattro nobili verità proposte da Buddha sono: 1) tutto ciò che esiste è dolore, miseria, transitorietà; 2) questo stato miserevole è causato dal desiderio, dall’ignoranza; 3) solo mediante il superamento di tale stato la salvezza è possibile; 4) la via che conduce a tale liberazione è
l’“ottuplice sentiero”: retta opinione, proposito, parola, azione, mestiere, sforzo, attenzione e concentrazione. In Corea, più che altrove, la venerazione dei primi adepti verso il Buddha e verso i suoi santi discepoli si è presto trasformata in una vera e propria religione politeista, con un culto assai esuberante e complesso, fatto di benedizioni, esorcismi, preghiere propiziatorie. Ancora: di “mantra” (formule sacre), offerte di fiori, recitazione di testi sacri, contenuti questi nel Tripitaka, cioè “triplice cesta” (disciplina monastica, prediche, metafisica); una raccolta completata nell’80 a.C. in lingua “pali”, un’antica lingua dell’India meridionale.

Confucianesimo e Sciamanesimo
L'Isanmyo, uno dei pochi templi sciamanici sopravvissuti in Corea.
L’Isanmyo, uno dei pochi templi sciamanici sopravvissuti in Corea.

Sono religioni di grande tradizione in Corea, differenti dal Buddismo. La filosofia confuciana non prevede entità soprannaturali ma considera l’esistenza di un ordine divino impersonale attribuito al Cielo, che non interagisce tuttavia con la realtà umana. Come il buddismo delle origini, il confucianesimo è stato una religione senza dio; una fede che contempla comunque un sistema etico e morale, una filosofia di vita che investe i rapporti tra gli uomini, ne codifica i comportamenti, suggerendo le soluzioni idonee per governare al meglio. Ancora oggi i coreani si dimostrano fortemente legati alle consuetudini, alle abitudini e agli schemi di pensiero degli insegnamenti di Confucio. Diversa, ma non per questo meno affascinante, è l’influenza dello Sciamanesimo. Sin dalla notte dei tempi i coreani adorano lo spirito dei defunti, la natura, gli oggetti inanimati, poiché tutti possiedono uno spirito. Il “mudang” (sciamano) è l’eletto che comunica con tali spiriti ed è dotato di poteri che gli consentono di allontanare la cattiva sorte, guarire le malattie, propiziare un sereno ingresso nell’altro mondo ai defunti. Migliaia di spiriti e demoni abitano e infestano gli elementi naturali: gli alberi, le rocce dei monti, i fiumi, addirittura i lontani corpi celesti. Rimane fondamentale comunque, nello sciamanesimo coreano, l’importanza primaria attribuita allo spirito dei trapassati, al punto che uno dei compiti più richiesti allo sciamano è quello di attutire e se possibile eliminare le tensioni e i conflitti eventualmente insorti tra vivi e morti. Nella moderna Corea gli sciamani sono quasi esclusivamente donne, mentre un tempo gli officianti appartenevano ai due sessi. Per la Corea della tradizione, lo sciamanesimo è una fede fatta di timore e di superstizione; oggi i riti sciamanici, ricchi di elementi esorcistici, sono un incredibile e affascinante miscuglio di musica, danza e teatro. E’ anche per questo che continua a convivere serenamente con buddismo, confucianesimo e taoismo.

I favolosi templi coreani
Il Tempio di Seoraksan
Il Tempio di Seoraksan

L’architettura coreana degli edifici religiosi è da sempre intimamente collegata all’elemento naturale. I luoghi prescelti per l’edificazione dei templi dovevano avere uno stretto legame con le acque e le montagne, ma ciò non era sufficiente. Il fatto estetico in sé non aveva gran valore, se non veniva supportato dalla rispondenza ai principi della geomanzia, che influenzava nel profondo la psicologia coreana. Ecco allora che i molti templi disseminati nell’intera penisola appaiono oggi al visitatore, anche a quello occidentale, come un perfetto equilibrio fra la sacralità del luogo prescelto e la sobria grandiosità dell’edificio o del gruppo di edifici eretti. I templi costituiscono un gradevolissimo esempio di naturale connubio fra la pietra, il legno e le decorazioni fantastiche che li abbelliscono: queste raccontano storie di divinità, di demoni, di santi, di animali che affollano l’incredibile universo religioso della Corea. I monaci che scivolano silenziosi fra un padiglione e l’altro dei complessi monastici, nei loro abiti grigio chiaro o nelle sontuose e variopinte vesti da cerimonia, scandiscono con canti monocordi, interrotti ogni tanto da colpi di tamburo, il loro rapporto di intermediazione e supplica con le divinità. In Corea i monumenti “storici” sono numerosissimi: vecchie fortezze, palazzi imperiali, osservatori astronomici, tombe di regnanti e templi. I templi possono essere grandiosi o piccoli, ricchi di tesori o disadorni, eretti nel bel mezzo di luoghi incantevoli o soffocati dagli stabili moderni delle grandi città; tutti, comunque, sono luoghi raccolti e rispettati, trattati con deferenza e genuino spirito religioso dai coreani, ma anche visitati e goduti come autentico patrimonio culturale dai nuclei familiari in ogni zona di questo Paese ricco di verde e di montagne, nel perpetuarsi di un legame fisico e spirituale che costituisce l’indubbia ricchezza di fondo di una nazione proiettata a grandi passi verso l’avventura del nuovo millennio.

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