Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Nuova Zelanda: vele a mezz’asta

La strepitosa vittoria della barca svizzera Alinghi ha messo in crisi un intero popolo. Un viaggio nei segreti della vela

Sky Tower
Sky Tower

Dalla sommità della Sky Tower, divenuta con i suoi 328 metri la più alta dell’emisfero australe e simbolo di Auckland, il panorama è ineguagliabile. Dalla terrazza si dominano il Mar di Tasmania e l’infido e capriccioso Golfo di Hauraki con le sue isole. Nella lingua dei Maori Auckland diventa un nome quasi impronunciabile, Tamaki-Makau-Rau, che significa “sposa di cento innamorati”, desiderata da molti, conquistata da pochi. All’arrivo dei primi europei nel 1842, la Nuova Zelanda era abitata dai Maori, navigatori di origine polinesiana. I sudditi inglesi hanno apportato molti cambiamenti, ma l’isola del Nord e quella del Sud hanno conservato un fascino magico. Auckland è diventata uno dei posti più desiderabili dove vivere, seconda solo a Vancouver in Canada. Nel linguaggio moderno la città ha col tempo acquisito un altro soprannome, “the city of sails”, la città delle vele. La definizione non potrebbe essere più appropriata. La vela fa parte della vita di questo popolo orgoglioso e combattivo, il cui motto è “non mollare mai”. In questo paese c’è una barca ogni quattro abitanti, perché avere una barca non è un lusso. Nel tardo pomeriggio di un qualsiasi giorno feriale, finito il lavoro, non è raro vedere tante barche veleggiare o regatare nel Golfo di Hauraki. Per i neozelandesi la Coppa America in Nuova Zelanda non è solo la regata più importante dello loro sport preferito, ma molto, molto di più. E il fatto che a vincere la 31 edizione di questo evento sia comunque stato uno skipper neozelandese, Russel Coutts su Alinghi, è un particolare che deve far pensare.

I kiwi e la vela
Nuova Zelanda: vele a mezz'asta

Non tutti hanno capito l’importanza della Coppa per i neozelandesi, ma la questione ha radici molto profonde. Il forte coinvolgimento in questa avventura deriva dal complesso dei neozelandesi di sentirsi isolati, di essere poco conosciuti nel resto del mondo. Nel corso dell’edizione precedente la televisione neozelandese trasmetteva uno spot che aiutava a capire questo stato d’animo. Un bambino guarda la regata in televisione: non c’è vento e Black Magic è ferma. Esce da casa e comincia a soffiare; lo seguono la mamma, i vicini e tutti i neozelandesi. Il vento arriva, le vele si gonfiano e Black Magic, aiutata dal vento creato dai neozelandesi, procede spedita sull’acqua. L’impegno assiduo e costante in Coppa America del team New Zealand dal 1987 in poi è il modo di dimostrare al mondo la forza di tutto un popolo, la sua esistenza. E’ come dire “noi ci siamo”. La vittoria della Coppa America nel 1995 e della difesa con successo del 2000 è stato motivo di orgoglio nazionale, non limitato al potere e alla forza di un sindacato, ma qualcosa che si è radicato nella struttura mentale di un’intera nazione. “Gli uomini neri”, i ragazzi del team hanno la vela nel sangue, nel Dna. La difesa della Coppa non è una missione, è la Missione. Il miracolo che ha fatto uscire i neozelandesi e la Nuova Zelanda dall’isolamento è avvenuto nel 1995, quando a San Diego un gruppo di velisti kiwi strappò la Coppa agli americani e la portò dall’altra parte del mondo. Ad Auckland, la città delle vele.

Coppa America, una storia affascinante
coppa Nuova Zelanda American Cap foto di E.M.-Bonetti
Nuova Zelanda American Cap foto di E.M.-Bonetti

La storia del trofeo più ambito nel mondo della vela nasce in Gran Bretagna nel 1851. Per oltre un secolo è stata una storia quasi monotona, fatta di successi americani contro gli inglesi, nella quale i primi, protagonisti incontrastati, stabiliscono le regole del gioco per difendere la Coppa dallo Yacht Club sfidante. Dal 1851 questo duello dura fino al 1983, esclusa la parentesi del 1876 e 1881, anni che vedono uno sfidante canadese contendere il trofeo agli americani. Nel 1983 gli australiani rompono questa continuità e si portano la vecchia brocca in Australia. Sembrava non potesse mai accadere e invece la Coppa è volata nell’emisfero australe. Fino a quel momento va anche ricordato che la sfida veniva lanciata da un unico challenger e soltanto nel 1970 gli sfidanti diventano due. Nasce anche la selezione dei defender, mentre quella degli sfidanti nel 1983 diventa la Louis Vuitton Cup. Interrotta la lunga sequenza di successsi americani, la Coppa rimane in Australia per poco, perché gli australiani non riescono a difenderla e Dennis Conner se la riporta in America nel 1987. La tiene fino al 1995, quando un’altra barca “straniera”, New Zealand del Royal New Zealand Yacht Squadron, la porta in Nuova Zelanda. E’ la seconda volta che gli Stati Uniti perdono il prestigioso trofeo, ma le novità per l’America non sono finite. Ad Auckland nel 2000 gli americani, per la prima volta nella storia, non sono presenti alla fatidica regata né come sfidanti né come detentori. A contendersi la Coppa con i neozelandesi arriva Luna Rossa: il mondo anglosassone non l’aveva previsto. La cultura americana non aveva mai pensato che proprio un team americano fosse escluso dalla Coppa America e che, soprattutto, fosse una squadra di cultura latina a privarlo del diritto di essere protagonista del gioco, da difensore o da sfidante. Ma Black Magic, la “Black Boat” neozelandese, si rivela un avversario troppo forte per gli italiani di Luna Rossa seguiti di notte in tivù da migliaia di connazionali. I kiwi riescono a tenersi la Coppa e la Nuova Zelanda entra nella storia come il primo paese non americano ad avere vinto ed anche difeso la Coppa. Il mese scorso gli americani di OracleBmwRacing del magnate Larry Ellison hanno avuto l’occasione di tornare protagonisti giocandosi la finale della Louis Vuitton Cup contro gli svizzeri di Alinghi. Hanno perso e per la seconda volta nella storia di questo evento un team americano non ha partecipato al gran finale.

I kiwi e la Coppa America
coppa Golfo-di-Auckland
Golfo-di-Auckland

Nelle acque australiane di Freemantle, nel 1987, i neozelandesi fanno subito parlare di sé, perché si presentano con una barca invetroresina, cui viene dato il soprannome di Plastic Fantastic. Fino ad allora le barche erano state costruite in legno o in alluminio, ma la vetroresina rappresentava una vera novità. Ma non è solo per questo motivo che stupiscono. Si rivelano forti, anzi fortissimi: vincono trentasette regate su trentotto fra Round Robin e semifinali. Nella finale della Louis Vuitton Cup perdono contro gli americani di Dennis Conner. La Coppa torna in America. La sfida successiva viene lanciata nel 1988 proprio dallo Yacht Club neozelandese che Dennis Conner aveva battuto nella finale degli sfidanti, il Mercury Bay Boat Club di Auckand, armatore Michael Fay. La disputa di due edizioni di Coppa America così vicine nel tempo è piuttosto insolita. I neozelandesi non perdono tempo perché contano sul fatto che gli americani non ne abbiano a sufficienza per prepararsi. Dennis Conner partecipa con un catamarano gigante, batte in acqua New Zealand in una serie di regate senza storia. Anche la battaglia legale sulla conformità del catamarano al regolamento viene vinta dagli Americani. I neozelandesi ripresentano la sfida per l’edizione successiva, quella del 1992 e già dall’inizio delle regate sono indicati fra i favoriti. Il direttore del team è Peter Blake, un eroe nazionale nel mondo della vela, l’armatore è ancora Michael Fay, il progetto della barca di Bruce Farr. E’ l’anno dell’equipaggio italiano del Moro di Venezia di Raul Gardini che batte New Zealand e vince la Louis Vuitton Cup. Diventa il challenger ufficiale ed è la prima barca italiana a regatare in Coppa America. La vittoria nel 1995 di Black Magic del Royal New Zealand Yacht Squadron, timonata da Russel Coutts, contro Young America del New York Yacht Club, condotta da Paul Cayard, è il risultato del lavoro fatto dal 1987, una strada fino ad allora in salita e fatta di sconfitte. Ma questa volta i neozelandesi perdono solo una delle quarantatré regate della Louis Vuitton Cup e sconfiggono anche gli americani per 5-0. La Coppa vola in Nuova Zelanda per essere esposta nelle sale del Royal New Zealand Yacht Squadron. Gravemente danneggiata nel 1997, la “Auld Mug” viene rinviata in Gran Bretagna per essere restaurata e rispedita in Nuova Zelanda.

L’avventura di Luna Rossa
Coppa Luna-Rossa
Luna Rossa

Un esordio nel 2000 da squadra preparata, una barca veloce, 38 vittorie, 11 sconfitte. Si era concluso con questo bilancio il debutto di Luna Rossa nel trofeo più antico del mondo, prima di incontrare i kiwi ed incassare cinque sconfitte in cinque regate. Ben diversa la storia tre anni dopo. Questa volta la partecipazione di Luna Rossa è diventata una rincorsa contro il tempo perduto. Sul banco degli imputati il progettista Doug Peterson, che non è riuscito a produrre un mezzo all’altezza degli avversari. Quando questa triste verità non ha più potuto essere nascosta, era ormai troppo tardi. A nulla sono valsi il licenziamento di Peterson, l’intervento di Patrizio Bertelli, patron del team Prada, le ore di lavoro impiegate per “rifare” la barca, anzi le barche. A nulla è servito il lavoro dei velisti in questa impresa impossibile, se non ad accumulare stanchezza e tensione. Luna Rossa ha perso contro gli americani di OneWorld in semifinale. Il bravo equipaggio, che questa volta ha dimostrato di essere più preparato tecnicamente durante le manovre in regata, è rimasto vittima di una barca nata male e delle regole di regate, alle stesura delle quali Prada stesso aveva partecipato. A Francesco De Angelis, a Torben Grael, a Paolo Bassani, l’ex-ginnasta che così tante volte abbiamo visto fare in partenza segnali, per molti incomprensibili, da prua, a Michele Ivalii, l’”uomo-gatto” spesso in testa d’albero, resta la grande amarezza di non aver avuto un mezzo che permettesse loro di giocarsela meglio contro gli avversari. Come avrebbero meritato.

Appuntamento nel Mediterraneo
Coppa Alinghi Team
Alinghi Team

Dove si svolgerà la prossima Coppa America, il cui onere e onore organizzativo spetta ad Alinghi? Lo sapremo nel mese di dicembre. Bertarelli ha anticipato che verranno introdotte nuove regole per far si che la manifestazione sia sempre più interessante e aperta a più Consorzi. Con quali barche si regaterà? Avessero vinto i neozelandesi, sarebbe stata utilizzata la stessa classe di imbarcazioni, gli IACC, International America’s Cup Class, ma forse cambierà tutto, barche e regole, per la Coppa che si disputerà per la prima volta in Europa. Chi ci sarà? Sembra certa la partecipazione degli inglesi, dei tedeschi, che questa volta hanno rinunciato all’ultimo momento perché impegnati nel giro del mondo in equipaggio, di Mascalzone Latino. La squadra italiana condotta da Vincenzo Onorato non ha passato il primo turno, sconfitta dai francesi. Partiti senza grandi ambizioni, con l’umiltà di fare esperienza, i Mascalzoni hanno avuto una grande dose di sfortuna, senza la quale avrebbero potuto accedere almeno al secondo. Patrizio Bertelli ha al contrario escluso ogni possibilità di rivedere in campo Luna Rossa.

Dove andare
Geyser di Pohutu
Geyser di Pohutu

Se la Coppa America può rappresentare un pretesto per volare in questo paese agli antipodi, una volta arrivati dall’altra parte del mondo, vale la pena “mettere il naso” fuori da Auckland per scoprire le numerose bellezze naturali delle quali è ricco. Basta una giornata per visitare Waiheke Island, una delle isole del Golfo di Hauraki, ricca di spiagge incantevoli e paesaggi incontaminati. Il biglietto del traghetto comprende anche un numero di passaggi illimitati a bordo dei bus che girano per la piccola isola. In alternativa è possibile noleggiare una bicicletta. Per chi vuole viaggiare, i mezzi più indicati sono l’auto o il camper, la prima è il sistema migliore per visitare l’isola del Nord, il secondo si pone come valida alternativa per recarsi nell’isola del Sud in piena libertà. Da Auckland il noleggio di un’auto non è molto costoso. Un itinerario classico verso nord conduce a Bay of Island, la prima meta dei Maori, dove è possibile anche noleggiare una barca a Opua, per poi rientrare in città lungo la costa occidentale attraverso Northland Forest. Verso sud si guida verso la penisola di Coromandel, ricca di felci, e poi in direzione sud verso quella di Gisborne per addentrarsi nei parchi di Urekewera e Raukamura. Da non perdere, anche se molto turistiche, le solfatare di Rotorua e i vicini geyser di Pohutu, uno spettacolo naturale davvero impressionante.

Coppa Aoraki Monte Cook Hooker_Valley
Aoraki Monte Cook Hooker_Valley

Ma per vedere qualcosa di veramente diverso occorre recarsi nell’isola del Sud, superare lo stretto di Cook fra le due isole, dopo aver fatto una breve tappa a Wellington, la capitale. Da qui è consigliabile volare fino a Christchurch o Queentown, dove noleggiare auto o camper per due settimane. I campeggi sono numerosi e ben attrezzati, molto diffusi i “lodge” che offrono aree per camper e villini per chi preferisce spostarsi in auto. Le mete da non perdere: il ghiacciaio del Monte Cook, Marlborough Sound con il monumento a James Cook, la laguna di Okarito per gli aironi bianchi, Nugget Point, per le foche, Dunedin per gli albatross, il parco naturale di Fiordland, la zona più intatta della Nuova Zelanda, con il fiordo Milford Sound, il più profondo. Con un idrovolante è possibile raggiungere i fiordi di Doubtful Sound e Dusky Sound da Te Anau.

Il bar delle chiacchiere
Coppa Family Bar foto di Hannah-J-V.
Family Bar foto di Hannah J-V.

Una birra, una chiacchiera, lontano dalle tensioni delle regate. Nessuno ha mai scoperto chi le abbia organizzate, ma ogni giorno il passaparola ha funzionato come un orologio. Durante le regate, tutte le sere in un bar di Auckland è stato possibile incontrare gli equipaggi dei team. La tradizione di questi incontri, chiamati America’s Cup Drinking Club, nasce nel 1992 a San Diego durante la Coppa America e continua ancora oggi. Fino al giorno prima non si conosce il locale di queste feste informali, dove i ragazzi non indossano le divise delle squadre, ma tutti sanno che prima o poi il luogo segreto dell’incontro verrà svelato. Per tempo.

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