Nessuna statua misteriosa capace di attirare frotte di turisti da tutto il mondo, almeno per ora, ma quasi un milione di frammenti ceramici e una grande quantità di semi e ossa di animali che permetteranno di conoscere meglio la vita e la storia delle popolazioni che verso la metà del secondo millennio avanti Cristo edificarono il nuraghe S’ Urachi e di quelle, in particolare fenicie e puniche, che successivamente le affiancarono fino a integrarsi con esse.
Questi in sintesi i primi risultati della campagna internazionale di scavi avviata l’1 luglio dal Comune di San Vero Milis e dalla Brown University di Providence (Usa) attorno ai resti di quello che fu uno dei complessi nuragici più imponenti di tutta la Sardegna, come li hanno raccontati i responsabili dello scavo nel corso di una visita guidata organizzata.
“Non cerchiamo solo muri, come facevano gli archeologi di 50 anni fa, a noi interessano le persone in carne e ossa e le loro abitudini sociali”, ha spiegato l’archeologo Alfonso Stiglitz in cima ai ruderi del nuraghe, che restano imponenti. Una torre centrale con un diametro alla base di dieci metri e una struttura quadrilobata come quella di Barunmini, ma forse addirittura pentalobata, che saranno scavate forse nei prossimi anni.
Lo scavo ha interessato le strutture di epoca punica realizzate intorno al VI secolo avanti Cristo a ridosso di un antemurale ancora ben conservato. Qui sono stati rinvenuti i resti di alcune strutture abitative di epoca punica e in particolare una sorta di “discarica comunale” dove la presenza di una falda d’acqua ancora attiva ha permesso di conservare una quantità impressionante di ossa di animali – 50 per cento bovini, ma anche pecore, maiali e cervi – semi di cereali e di lino che consentiranno a un team internazionale e interdisciplinare di esperti che provengono dalle Università di Valencia, Glasgow, Leicester, Leiden e Cagliari di ricostruire importanti aspetti dell’economia prettamente agricola e delle relazioni sociali e interculturali delle popolazioni locali.