Sapevo di una Ambasciata d’ Abruzzo, alias un ristorante in Roma dal menu ovviamente lardellato di specialità gastronomiche di una regione che nel Belpaese (e credo viepiù all’estero) è meno nota, e quindi visitata, del dovuto. Le ragioni? Mah, vai a sapere, forse “è colpa” della vicinanza di Roma doma, che si mangia il maggior boccone del turisti in visita nell’Italia centrale, oppure gli abruzzesi sono tanto schivi quanto modesti, nel senso che non se la tirano, o infine, e più probabilmente, si tratta soltanto di mia ignoranza delle vicende turistiche di quella regione. In effetti, ebbene lo confesso, la mia conoscenza dell’ Abruzzo si circoscriveva alla strada litorale adriatica che tante volte percorsi in auto, diretto verso la a me cara Puglia (non senza, però, “approfondire” il mio know how abruzzese – ma forse si trattava di poca cosa – mediante uno stop in un ristorante di Vasto specializzato nel brodetto).
E adesso non vado a scoprire che pure a Milano c’è (ancorché provvisoria, per la durata dell’Expo, ma vai a sapere, in Italia non c’è niente più definitivo del provvisorio …) una Ambasciata d’Abruzzo, oltretutto ubicata nell’ormai prestigiosissimo quartiere di Brera? E nel precisare che non si tratta di un ristorante aggiungo però che durante la mia visita ho degustato mangiari a me (scandalosamente, non meno che colpevolmente, ovvia colpa mia) sconosciuti. E’ infatti accaduto che, nel presentare agli scrivani di viaggi la loro regione, gli addetti alla promozione turistica hanno pensato bene di far conoscere alcuni sapori della loro terra ammanniti da cuoco & cuoca di un valente agriturismo. E fu così che ho scoperto delizie palatali che (almeno per un modesto aficionado alla cucina, quale mi ritengo) valgono il viaggio (nella terra del Vate Gabriele Rapagnetta, più noto come D’Annunzio, che Primo Levi giustamente definì forte e gentile).
Tra tanto sfizio, dicevo, ho scoperto: il Fiadone, una sorta di saporitissima torta salata la cui semplice ricetta (rimando al solito google) ti fa pensare se valgono la pena (e non mi riferisco al loro costo e al portafoglio di chi le inventa) certe complicate elaborazioni – con blablabla e relativi ohhh dei degustatori – della moderna cucina novella.
Dopodiché lo scrivente (quanto mai appassionato al cacio, da caglio) ha poi degustato un signor Caciocavallo (!), prodotto sotto la Maiella, mi spiega Enzo Giammarino che a Lanciano progetta servizi turistici per chi vuol visitare l’Abruzzo. E i punti esclamativi diventano 3 quando assaggio il Pecorino di Farindola (!!! appunto).
E sulla costa dell’Abruzzo ci sarebbero anche i Trabocchi o Trabucchi (quelle strutture pescherecce che in Romagna chiamansi Capanni) costì dotate pure di ristorante che ti cuoce ipso facto il pesce tirato su con la bilancia (o travocco).
Abruzzo, forte e gentile, e da vedere.
P.S. Last but not least (anzi….)… Ho poi gustato polpette (sapore base, formaggio) in densa salsa di pomodoro. Un mangiare da urlo che, anch’esso, “vale un viaggio”, ma stavolta pure a piedi …