Il ritrovamento di tessuti in contesti archeologici antichi suscita sempre grande sorpresa, soprattutto in Italia, dove le condizioni climatiche non favoriscono in genere la preservazione dei materiali organici cosi fragili quali i manufatti tessili. Se poi questi sono riccamente decorati e ci pongono intriganti interrogativi sulla tecnica di realizzazione, allora abbiamo la certezza di trovarci davanti ad una vera rarità. Sono “i ricami più antichi mai ritrovati in Italia”, appartenuti a un guerriero dauno del primo quarto del IV secolo a.C. Recuperati dalla Soprintendenza Archeologia della Puglia nel 2012 durante uno scavo a nord est dell’antica città romana di Herdonia (FG), nel centro dauno, che in tarda età repubblicana contava ben di diecimila abitanti (mica pochi per l’epoca) e che durante la Seconda guerra punica vide Annibale, il principe cartaginese, trionfare due volte sulle truppe romane.
I ritrovamenti provengono da una tomba, la 382, in contrada Cavallerizza, dalla fossa di un “uomo tra i 30 e i 35 anni”, come racconta l’archeologa dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro Maria Concetta Laurenti. Un “guerriero dauno di alto rango” vista la posizione elevata della tomba e la ricchezza del corredo. I ricami, in lino su tessuto in lana, ornavano il drappo di una ricca panoplia da parata, con sette cinturioni da battaglia. I manufatti lignei si rivelano frutti: ”Due ghiande e un pomage, forse per un rituale funerario”. Le spade in ferro svelano un’impugnatura in avorio. Ma la sorpresa più grande è tra i tessuti: sette cinturoni in bronzo e il drappo che li avvolge dal bordo ricamato con fili di lino.
L’intero corredo è stato restaurato nei laboratori dell’Iscr, con particolare attenzione ai tessuti che hanno rivelato diverse tipologie di punti e di motivi decorativi realizzati in filato di lino su lana colorata di marrone. A oggi la tecnica esecutiva della decorazione rimane un mistero, forse un ricamo ad ago, forse a «fili liberi» durante la tessitura. Il restauro, eseguito da Emiliano Catalli e Monica Pastorelli, è stato sostenuto dal contributo dell’Ufficio Federale della Cultura svizzero e dai fondi del Gioco del Lotto.