Sto tornando a casa (stavolta più che mai, a piedi, sennò come tentare di smaltire le 500.000 calorie appena tesaurizzate?), in via Turati mi fermo per rigenerare un filino di fiato e dietro la vetrina di un ristorantino con su scritto Sushi vedo un cameriere sorridermi quasi mi dicesse “Vieni vieni che ti ammanniamo le nostre composizioni mangerecce….” (che a me, ma senza rancore, mica piacciono, in primis perché insipide, eppoi perché esteticamente poco attraenti per colpa di quei loro scacazzini colori pastello quanto meno tristarelli, vuoi mettere con un frarès/ferrarese Pasticcio di Maccheroni?).
Decido di proseguire senza ulteriori rapporti visivi con il ristoratore dagli occhi a mandorla, non perché abbia fretta ma solo perché, se mai mi fossi fermato a spiegare sarei andato ben oltre i tempi supplementari nel descrivergli quanto assaporato poco prima alla (Lìder Maximo … Massimo Bottura eppertanto stilo queste note concedendo molto spazio al mangiare/magnèr) presentazione di quanto deliziosamente non meno che sibariticamente programmato nella da me sempre amata Rèmmin (Rimini per i cittadini del resto d’Italia, che sarebbe poi una colonia della Romagna – Emilia).
L’Emilia Romagna e la cultura culinaria
Sarei andato ben oltre i tempi supplementari nel narrare quanto magnato, dicevo, forse troppo, ma che cacchio c’entro io se la Lina Dolcini (bel team, con lo sposo Vanni, magari giocassero nel Bologna: lei che fa il lavoro sporco del mediano, lui regista a centrocampo) m’ha invitato in un posto (giusto, l’Osteria del Treno, efficiente eppur non se la tira) laddove – esaurite le solite quattro chiacchiere dell’establishment – si è passati ai fatti? Fatti che, nella concreta Romagna – Emilia sono anche, se non soprattutto, il magnèr/mangiare (nei Biassanot/nottambuli non cantava forse il grande Dino Sarti che el furzèn i lavòuren /le forchette lavorano)? E per maggior chiarezza nei confronti del lettore non intuente cosa intendo per fatti, eccomi a elencarli dettagliandone la quantità assunta ed emilianamente innaffiata, dicevasi antan, dal mai troppo lodato Lambrusco. (E ricordando i luoghi natali di questo gioioso vino eccomi urlare un grande evviva per il recente ed eccellente record sportivo di Modena & provincia: ben tre squadre in A, quella cittadina dei mitici fratelli Sentimenti eppoi il ceramista Sassuolo e il modaiolo Carpi, alla faccia delle – solo – due, e per di più penose, Milan e Inter di Milano & provincia).
Piatti prelibati della tradizione romagnola
Ma eccomi dunque a narrare quanto “dovuto degustare” per colpa (per ogni peccato c’è sempre un colpevole) dalla Lina (e datosi che ogni bravo reporter deve pur trovare almeno un dettaglio imperfetto, mi affretto a lamentare l’assenza dei Grasùl – più noti come ciccioli per gli ignoranti l’idioma di Lugo -, sapida sostanziazione del divino nimèl – più noto come maiale ai non residenti a Reggio & dintorni).
Da sbafare, c’erano (tre soli passaggi al tavolo rifornimento): porsut/prosciutto, frittata con verdure e Coppa (voto 6+, non eccelso solo perché nel piacentino so dove trovare Coppe da inginocchiatoio); più di tre passaggi, invece, per squaquaròn/squaquerone (suprema voluttuosità: spalmarlo sulla piè/piadina) e mortadella (detta anche bologna dalle dame meneghine aficionadas al Caprotti/Esselunga). E a proposito della mortadella (quanti profumi e sapori) mi incazzo al pensiero che costi così poco, imperocchè, se costasse 100 euro al kilo, sai la sciuretta milanese che – narrando alla amichetta le sue mondanità – la farebbero morire d’invidia narrandole con nonchalance che la sera prima “ha mangiato una mortadella che era la fine del mondo” ….?
E non senza invitare il lettore a deglutire un Alka Seltzer (a volte basta il pensiero) termino il dettaglio informando che per dessert ho magnato un (gran bel) piatto di eccellenti (ay ay ay quel rico ragù) tajadèl/tagliatelle, dopo di che, nelle more, accortomi che sul banco giaceva un suo simile (che, quasi fosse una bella gnocca, mi sussurrava prendimi! ) mi sono fatto pure quelle.