Chi l’ha detto che per viaggiare occorre fare il giro del mondo? A mio parere “si viaggia” anche facendo il giro dell’isolato di casa nostra. E lo confermo (che può essere definito “viaggio” anche una corta trasferta fuori porta come a Castellazzo Novarese ) dopo essere stato in gita in 116 Paesi di questo pianeta (quelli, per capirci, schedati dall’Onu, e “non valgono” gli stop negli aeroporti, furbescamente conteggiati da saputelli di un ‘club viaggiatorio’ che a suo tempo smascherai…). E dimostro le mie certezze (che si può definire viaggio anche una trasferta mangereccio – paraculturale ‘fuori porta’) narrando le vicende di una bella – se non la ritenessi tale mica lo suggerirei alla cortese aficiòn lettrice – gita “A ovest di Milano”. (Breve inciso: scimmiotto il titolo del bellissimo, “A sud di Granada”, di Gerald Brenan, non tanto per segnalare una mia recensione nel solito web, quanto per suggerirne la lettura, che belle quelle Alpujarras andaluse…).
Castellazzo Novarese e il Gorgonzola
Ma tiremm innanz e dall’Andalusia zompo a Castellazzo Novarese (15 km da Novara, per la Valsesia), laddove riesco a conciliare stomaco e cervello, in primis andando a comprare il Gorgonzola (c’è solo un produttore, all’ingresso del centro abitato, quindi non occorre che “faccia l’areclàm”…). A proposito di ‘sto sapido cacio, p.f. evitate la vaccata di parlare di Gorgonzola “dolce” o “piccante” per il semplice dettaglio che nasce (e così va chiamato, eppoi degustato) “Naturale” (e oltretutto ‘piccante’, per quel che vuol dire, lo è, di natura). Così dicevasi quando il qui, allora imberbe, scrivente, recavasi col nonno avvocato in visita ai suoi clienti furmagiàt (bevendo il latte appena munto – e qualche mosca finiva pure nello stomaco – nonché imparando come nasceva quel formaggio volgarmente, e assai cafonamente chiamato Zola, nonché, in seguito, destinato a divenire Gim, robetta cremosa per i palati non padani e gli stomaci delle educande delle Orsoline).
Arte e cultura culinaria
Quanto al cervello da fare andare, nel senso di cultura”, a Castellazzo Novarese c’è da ammirare un castello un filino malandato (ma no doubt gli Yankees lo trasformerebbero in un deluxe historical hotel e il tramonto sulle Alpi dev’essere bellissimo) appartenuto ai De Camodeia, casato antico dei secoli bui, mentre il maniero, ‘lo dice’ il web comunale, va datato tra il XV e il XVII secolo. Poco distante, ma nel comune di Casaleggio (pensa tu da dove vengono i grillini delle “5 Stelle”), meravigliosamente isolata (per un milanese vivente in corso di Porta Romana) ecco quel che resta – ma il campanile svetta, quasi integro – della ormai a me cara chiesa di Sant’Antonio (è la terza volta che vo’ ad ammirare ‘sto quasi rudere ammantato di verdissima edera).
Paniscia e Tapulon a Borgomanero
Si arriva a Borgomanero dopo l’attraversamento di terre dal buon vino, molto stimato dal Cavour (Fara, Sizzano, Ghemme, ma ahimè neanche un “stop assaggiativo”, ça va sans dire proibito dalle mogliere dei miei due coèquipiers, evidentemente poco riconoscenti appetto al generoso shopping compiuto dai loro drudi in trasferta…).
A Borbanè (al secolo Borgomanero, secondo il qui scrivente un’isola del Bon Mangiare in un’area subalpina che da Biella al Trentino non esprime gran cultura gastronomica) si mangia ai “Commercianti”. E si mangia bene, perché “normalmente”, così avrebbe commentato Massimo Alberini, bravo giornalista nonché eccelso esperto di Cucina (finiamola con la parola gastronomia!).
La dove, al citato ristorante di Borgomanero, per mangiare “normalmente” si intende consultare il menu e ordinare Paniscia e Tapulon. Il primo è un piatto a base di riso, salsiccia o cotenna di maiale, verza fagioli borlotti e altri ingredienti; il secondo è uno stracotto d’asino.
Due specialità pakistane o indonesiane, chiederà il sedicente esperto di gastronomia habituè negli stellati ristoranti chic milanesi (e pertanto doverosamente costosi, sennò, se costano poco, le sciurette mica possono raccontarlo alle amiche…)? No, Paniscia e Tapulon sono piatti indigeni ammanniti a Borgomanero, anzi (fa più esotico, quindi chic) a Borbanè (78.9 km da Milano).
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