Frank Horvat è uno dei più grandi fotografi viventi. Nato ad Abbazia in Istria, l’attuale Opatja croata, nel 1928 figlio di due medici (il padre ungherese, la madre austriaca) cresce in un ambiente aperto agli influssi di più culture. Una contesto che lo porterà a parlare correntemente quattro lingue, a viaggiare in tutto il mondo e a diventare un fotografo eclettico, difficilmente incasellabile. Durante i settant’anni della sua carriera è stato di volta in volta fot oreporter, fotografo di moda, teorico della fotografia, collezionista.
La mostra antologica prodotta dai Musei Reali di Torino e visitabile a Palazzo Chiablese fino al 20 maggio, è la prima in Italia di questa portata dedicata a Horvat.
Sono esposte 210 immagini, oltre a una trentina di fotografie tratte dalla sua collezione privata che raccoglie opere di autori come Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Mario Giacomelli, Brassai, Edouart Boubat, Irving Penn, Helmut Newton, Sebastiao Salgado e parecchi altri.
Una carriera in mostra
L’esposizione ripercorre l’intera carriera di Frank Horvat che ha curato personalmente la selezione delle opere, e ha scelto “quindici chiavi di lettura” che si traducono in altrettante sezioni. I titoli dei blocchi tematici riflettono i molteplici ambiti di lavoro del fotografo che, dopo il trasferimento con la famiglia in Svizzera, gli studi all’Accademia di Belle Arti a Brera, vive da molto tempo in Francia. “L’eclettismo non è stato sempre un vantaggio per me – racconta Horvat presente a Torino all’inaugurazione della sua personale – alcuni hanno messo in dubbio la sincerità del mio impegno, altri hanno trovato che le mie foto erano poco riconoscibili, come se, dicevano, fossero state fatte da autori diversi. Questo mi ha spinto a ripercorrere la mia opera per cercarvi un denominatore comune. Ne ho trovati quindici e non uno solo“.
Frank Horvat: l’arte di premere il bottone
Ecco allora le sezioni dedicate alla Luce, alla Condizione umana, alla Vera donna, gli autoritratti, e a quelle che Horvat – con ironia – definisce foto fesse, quelle immagini apparentemente meno significative al momento dello scatto che si sono rivelate col tempo molto più interessanti. D’altra parte una delle frasi più celebri di Horvat è quella in cui sottolinea che “la fotografia è l’arte di non premere il bottone”. “Sono circondato, come tutti i miei contemporanei, da un flusso ininterrotto di immagini fotografiche che guardo appena – o guardo solo per dirmi che io non le avrei mai scattate.”
Stupende alcune foto in mostra. Fra tutte citiamo quella scelta per il manifesto della mostra torinese: “Monique Dutto all’uscita della metropolitana” , scattata a Parigi nel 1959.
Gli insegnamenti di Cartier-Bresson
Horvat è stato fra l’altro, a partire dagli anni 50, un famoso fotografo dell’alta moda di cui combatté gli stereotipi portando le modelle per la strada, senza trucco e senza parrucche. “Ho un’età in cui si guarda al proprio passato per cercarne il senso” ha scritto Frank Horvat che nella presentazione a Torino ha aggiunto di “cercare sempre un collegamento fra le cose: non mi interessa fotografare le Piramidi da sole, ma se attorno ad esse ci sono degli uomini, succede qualcosa, il momento diventa molto più interessante.” E ha aggiunto: “l’arte mi nutre, mi ha sempre nutrito e anche la letteratura per me è importante. Sono stato educato in una scuola della Svizzeta italiana e ricordo ancora a memoria le poesie di Leopardi.”
Un taglio umanistico della fotografia coerente con lo stile degli autori Magnun di cui ha fatto parte dal 1958 al 1961 rielaborando in chiave personale molti degli insegnamenti di Cartier-Bresson.