Gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) rappresentano un vero e proprio dilemma per la società: scienziati, politici, consumatori, intellettuali e gente comune. Questo articolo vuole offrire una panoramica il più possibile analitica sulle controversie che tali tecnologie sollevano, proprio esaminandone le differenti posizioni. Vediamo in primo luogo cosa si intende per “organismi geneticamente modificati”.
Animali e vegetali: uguali e profondamente diversi
Essi sono organismi viventi del regno vegetale o animale, al cui patrimonio genetico (il corredo che la natura ha loro fornito per poter essere così come sono) vengono aggiunti, tolti o modificati, alcuni di questi “geni”, vale a dire i codici elementari della struttura morfologica. Ne consegue che l’organismo, come diretta conseguenza di tali modifiche, non presenta più il suo aspetto o le sue caratteristiche originarie, ma ne assume di nuove.
I geni si differenziano, per numero, in ogni specie. L’uomo dispone per esempio di 46 geni e il pesce rosso ne vanta al contrario 92. Balza subito all’occhio che un corredo genetico numericamente più elevato non è necessariamente indice di maggiore evoluzione, ma di semplice diversità nelle forme e nelle funzioni organiche. Se si prende un gene dai cavolfiori (quello che, poniamo, conferisce il colore verde) e lo si inserisce in un pomodoro, si otterrà un pomodoro di un colore differente dal rosso normale, poiché assumerà alcune delle colorazioni del cavolfiore. Siamo sempre nel regno vegetale, come da immemorabile tempo si faceva con gli innesti, cioè modifiche alle piante incrociandole con altre piante (ad esempio il “mapo” come incrocio dell’arancia e del pompelmo).
L’uomo, fin dall’antichità, ha sempre avuto il desiderio di migliorare in qualche modo le coltivazioni, creando nuove sementi o sementi più resistenti al freddo, al caldo e via dicendo. Stessa cosa è capitata per gli animali, a cominciare dal mulo (incrocio fra un asino e un cavallo), fino alle innumerevoli razze canine prodotte attraverso incroci fra specie diverse. Fin qui niente di nuovo.
OGM: Le nuove frontiere della scienza
La novità comincia quando prendiamo un gene da un animale, per esempio il merluzzo, e lo introduciamo all’interno di un pomodoro, per aumentarne, magari, la resistenza al freddo; o quando prendiamo il gene di un batterio e lo infiliamo nel riso, per aumentarne la resistenza a certi pesticidi.
Qui le cose cambiano. La miscela di geni non è più all’interno dello stesso regno (vegetale, animale, ecc.) ma fra “regni diversi” e i risultati sono quelli di aver creato degli ibridi che contengono caratteristiche appartenenti a due settori evolutivi completamente distinti, sebbene concatenati. Ecco che si è creato un Organismo Geneticamente Modificato (OGM) nell’accezione moderna del termine. Sembra più che altro una specie di gioco, un puzzle con tessere intercambiabili, ma uscendo dall’ambito del laboratorio scientifico e ponendosi sul terreno commerciale, le cose mutano non poco.
Ad ogni “scoperta”, segue un “brevetto”
Ogni OGM è stato per forza di cose creato da qualcuno, in quanto prima, in natura, non esisteva. E chi l’ha creato ne rivendica la paternità, anche perché, per fabbricarlo ha speso mesi di ricerca di laboratorio e soprattutto, perché vuole, adesso che il prodotto esiste, ricavarne un guadagno.
La legge prevede, sia a livello nazionale sia internazionale, che esista una “proprietà intellettuale” su ciò che è stato creato ex-novo; quindi l’OGM in questione potrà essere brevettato e così protetto da copie e contraffazioni, per molti anni a venire. Non solo. Chi intendesse usarlo, dovrebbe a questo punto pagare dei “diritti di proprietà” al suo creatore, sotto forma di percentuale (anche minima) del suo prezzo d’acquisto, oppure mediante licenze che ne consentano l’utilizzo.
Il particolare non trascurabile consiste nel fatto che, pur non essendo questo OGM di dominio pubblico, perché brevettato, esso è pur sempre un organismo vivente, quindi si riproduce e anche i suoi discendenti (sementi per i vegetali, cuccioli per gli animali), saranno coperti dallo stesso brevetto. Chi dovesse quindi fruirne non potrebbe farlo liberamente, poiché incorrerebbe in severe sanzioni, ma dovrebbe sempre “dipendere”, in qualche modo, dalla casa che ha originato l’OGM o dall’azienda che ne possiede i diritti.
OGM: Utilizzarli, si o no?
A questo punto c’è da domandarsi: perché allora utilizzare questi OGM, visto che creeranno dipendenza futura? La risposta è semplice: questi OGM possiedono delle caratteristiche differenti dalle coltivazioni o dal bestiame originario, quali una maggiore produttività, una resa migliore, resistenza a malattie o agli agenti anticrittogrammici, un migliore aspetto e via dicendo. Inoltre le rispettive case produttrici (quasi sempre di tipo transnazionale) fanno molta pubblicità agli OGM, spesso incoraggiandone l’uso e l’acquisto attraverso politiche oggetto di contratto con gli allevatori o gli agricoltori di molti Paesi, sviluppati o meno.
Quello che è certo è che gli OGM sono organismi diversi da quelli naturali e non si sa esattamente cosa possano fare alla salute dell’uomo e all’ambiente, specialmente nel periodo medio-lungo, dato che vengono commercializzati solo da alcuni anni.
Reazioni contrastanti
Mancando effettive prove scientifiche sulla loro innocuità, il loro ingresso nei mercati ha suscitato una serie di reazioni favorevoli e contrarie. Esse vanno da un’ottica “preventiva”, caratterizzata da divieti al consumo, sino a quella “promozionale”, basata su forti incentivi alla loro produzione e commercio, passando attraverso l’ottica “precauzionale”, tipica questa dell’Unione Europea e basata sul sospetto che le evidenze scientifiche non bastino, per finire con quella “permissiva”, un laissez-faire o se preferite una “deregulation” del sistema alimentare.
Molti Stati hanno adottato politiche differenti, con effetti diversi innanzi tutto sui produttori, che in alcuni casi sono incentivati e in altri si vedono fortemente penalizzati se usano OGM., mentre per quello che ci riguarda da vicino, vale a dire i “consumi” dei singoli acquirenti, il risultato è che la maggioranza non sa cosa finisce per trovarsi nel piatto in cui mangia.
Un “mercato” dalle enormi potenzialità
Su questa linea, che va dalla precauzione all’utilizzazione massiva degli OGM, si situano diversi atti giuridici che sanciscono da un lato la protezione brevettuale (il che ha portato al deposito di decine di migliaia di brevetti sugli OGM), dall’altro una certa volontà di far partecipare gli agricoltori e le comunità indigene locali (come nel caso dei “Paesi in via di sviluppo”) alla gestione diretta degli OGM, prevedendo, qualora si attingesse al loro patrimonio di sapere tradizionale il “riconoscimento ” di alcuni loro diritti di proprietà intellettuale (si pensi alle numerose metodologie di coltivazione trasmesse da millenni da generazione in generazione), oltreché la possibilità di “ripiantare” i semi di coltivazioni geneticamente modificate, senza dover ogni volta pagare diritti e royalties alle case produttrici.
Ogni “vexata questio” schiera, da un lato e dall’altro, comunità di sostenitori e di detrattori.
Una “guerra” di posizione dagli sviluppi imprevedibili
A favore degli OGM ci sono soprattutto le case produttrici, di carattere transnazionale, come Monsanto, Aventis, ed altre ancora. Esse, producendo direttamente le modifiche genetiche, sostenendo i costi delle ricerche e dei brevetti e, pubblicizzando i prodotti, vogliono ricavarne, ovviamente, il maggior profitto possibile. Seguono poi alcuni Istituti di Ricerca, sia Universitari sia privati. Qui la maggiore distinzione non è tanto nella qualità della ricerca, quanto nella provenienza dei fondi, poiché se è vero che gli Istituti privati si auto-finanziano, ciò non avviene (o avviene solo in parte) per le Università. Esse devono infatti dipendere dai rispettivi Stati, che possono (o meno) adottare un atteggiamento contrario all’uso degli OGM, con conseguente taglio o forte riduzione sui budget destinati alla ricerca biotecnologica applicata, oppure ricorrere a un sostegno promozionale (incentivi governativi, cospicue borse di studio e finanziamenti pubblici per il settore delle bio-tecnologie). Vengono poi le Istituzioni Pubbliche, nazionali o sovra-nazionali (WTO, FAO, UPOV, Unione per la protezione delle Nuove varietà di piante, il gruppo Future Harvest, che investe moltissimo in bio-tecnologie e così via).
Ma c’è anche chi è votato alla “trincea”…
Bisogna dire, e lo si può affermare a ragion veduta, che l’atteggiamento internazionale non è così parcellizzato sull’utilità o meno degli OGM, quanto a livello delle singole Nazioni. Più o meno, esiste una sorta di concordato generalizzato sulla loro utilità, che se da un lato spinge fortemente sul settore della “promozione”, dall’altro cerca di mitigarne gli effetti riconoscendo i diritti delle comunità locali, degli agricoltori e degli allevatori tradizionali.
Attenzione però. Si enfatizzano quasi sempre dei benefici per le comunità rurali “tradizionali”, all’antica, quelle dei “sapori di una volta”; ma di fatto il contadino moderno non gode quasi mai di reali tutele. Uno dei maggiori forum mondiali di promozione delle biotecnologie alimentari è il WTO (World Trade Organization), organismo assai polivalente che sembra da un lato proporre una globalizzazione economica positiva per tutti e dall’altro fallisce ad ogni sua riunione sotto l’azione della rete No-Global, il cosiddetto “movimento dei movimenti”. Se WTO è un’organizzazione fin troppo chiacchierata, la galassia del movimento no-global, che ha fatto della lotta agli OGM la sua bandiera principale, è a sua volta poco comprensibile per i non addetti ai lavori.
Gli OGM sono trattati dai no-global sotto l’ottica precauzionistica, che sovrappone motivazioni scientifiche a valutazioni sociopolitiche, prospettandoli come un sistema di dominio bio-tecnologico delle multinazionali sulle nazioni povere.
Come regolarsi, alla fine?
Le due campane suonano forte, fin troppo, per non arrivare a confondere la gente comune, che assiste a visioni d’assieme diametralmente opposte. Da quella del cittadino istruito di Paesi sviluppati protezionisti, come la Germania, che rifiuta gli OGM e cerca le etichette “OGM free” sugli alimenti, fino al cittadino dei Paesi poveri, (quattro miliardi di persone) che pur di mangiare butta giù qualunque cosa. Il risparmio sembra da sempre essere inversamente proporzionale alla qualità dei prodotti; ne consegue che quando gli OGM verranno acquistati in massa, per lo più soddisferanno le esigenze di fasce della popolazione a reddito medio-basso, poco focalizzate sulle tipicità gastronomiche tradizionali, appannaggio queste di chi dispone di redditi più elevati. Ne consegue che alcuni Paesi, che hanno adottato un principio di precauzione, produrranno meno brevetti sugli OGM rispetto a nazioni permissive e il tutto sarà da rivedere fra dieci-vent’anni, quando si potranno finalmente valutare in forma certa gli effetti a lungo termine degli OGM, sulla salute delle persone e sull’ecosistema.
Fra un po’ d’anni, OGM al microscopio
Da un lato potrebbero risultare nocivi e le ingenti somme per ricerca e brevetti saranno stati soldi buttati; un serissimo errore, con conseguente tracollo dei produttori. Dall’altro potrebbero invece non verificarsi rischi per l’uomo, né per l’ambiente, con conseguente “mancato” investimento, ritardo e dipendenza dei Paesi precauzionisti, rispetto alla grande crescita settoriale di quelli permissivisti.
E’ un po’ come rischiare in borsa acquistando un “Cover Warrant” a scadenza decennale: si può vincere o perdere molto. Comunque vada a finire, gli OGM sono una realtà complessa che di giorno in giorno si fa più evidente e consistente. Quello che è certo è che sarà materia di discussione accesa per i prossimi decenni.