“Come sarebbe stato bello evitare il Natale, cominciò a pensare. Uno schiocco delle dita ed è il due gennaio. Niente albero, niente compere, niente regali inutili, niente mance, niente confusion
e, niente traffico e “niente spreco di soldi”
(Fuga dal Natale, John Grisham)
C’è poco da fare. È un’equazione. La Malesia sta a me come un vestito sta ad un armadio. E se stesse diventando una sorta d’abito mentale? Una specie di tunica, impalpabile come un velo ma a tenuta stagna. Da indossare in quei risvegli in cui grigio e smog cavalcano l’orizzonte e il giorno ha i connotati di una notte sbiadita. Non saprei. Come continuo ad ignorare cosa mi abbia spinto ad accettare l’idea di mollare la rituale tradizione del Natale per correre a Langkawi, perla del Kedah. Un piano di fuga improvviso, ma voluto, verso l’isola delle aquile.
Nel mare delle Andamane, una rivelazione: Langkawi
Dell’arcipelago di Langkawi conoscevo poco o nulla. Per me erano un groviglio di isole, abbandonate da un gigante distratto, tra il mare delle Andamane e lo stretto di Malacca. La distanza ravvicinata a Phucket, Rimini della Thailandia, contribuiva a farmela immaginare chiassosa e vissuta. Avevo poi letto dei suoi fondali che ospitavano leggendari parchi marini e delle millenarie foreste di mangrovie che la attraversano.
Sapevo che la sua foresta pluviale custodisce un’articolata biodiversità, in virtù dell’isolamento che la contraddistingue e che le ricercate strutture di cui dispone la rendono un luogo ideale per una vacanza a due. Sapevo, ancora, che le aquile riempiono i suoi cieli. Come testimonia la dedica impressa nel nome stesso dell’isola, composto da “helang” (aquila) e “kawi” (marrone). Ciò che non avevo afferrato fino in fondo è che sarei atterrata in un luogo in cui la natura regna sovrana. Dettando legge a partire dalle sue isole: novantanove, a regime, ma centoquattro con la bassa marea. E che si esprime, oltretutto, attraverso leggende.
Tra miti e leggende
Draghi, principesse, giganti e delfini, protagonisti della kermesse di leggende che pervade Langkawi. La più antica è forse quella che gravita attorno al Mat Raya e al Mat Cingang, vette gemelle della stessa isola. Un tempo giganti, le due cime portano impressa nella loro stasi la lite avvenuta al matrimonio dei figli. Tanto che il villaggio in cui ebbe luogo l’animata discussione trae il nome dall’antico Malay e significa “vaso rotto”. Ma non è tutto. Air Hangar, sede di una sorgente d’acqua calda, ha invece preso il suo da una teiera bollente che uno dei due padri avrebbe scagliato contro l’altro.
Un lago d’acqua salata e macachi dalla coda lunga sono il corollario della prossima leggenda. Qui si narra dell’ancestrale legame che lega una madre al proprio figlio. Putera Teja, delfino del regno di Langkawi, si innamorò di una ninfa scesa dal cielo, divenuta sua sposa grazie a un sortilegio. Dal matrimonio nacque un bambino, anche se la gioia fu di breve durata, seguita dalla disperazione di un risveglio di morte. Così, il lago che raccolse le spoglie di quel bambino è oggi la fonte del “lake of pregnant mother” (lago della madre incinta) cui vanno ad abbeverarsi le coppie nella speranza di avere un erede.
Storie come sogni
Langkawi ha un che di onirico. Colpa delle scogliere basaltiche a picco sul mare. O degli strani abitanti, figli della preistoria, che popolano la melma dei suoi fiumi.
Fatto sta che, all’interno di una tale cornice, è impossibile non lasciarsi sedurre dal fascino di questi racconti e arrivare magari a crederli veri. A partire dal nome della sua capitale, Kuah che significa “orcio”. Protagonisti, due giganti in contesa per una tazza, sulle strade che delimitano oggi il capoluogo. O come quella secondo cui i delfini, intenti a rincorrere le prue delle barche di chi si diletta nel “saltare” da un’isola all’altra, sono i figli deceduti di un’antica principessa Malay.
Storie tristi, quelle dell’arcipelago figlio dell’aquila. Di amori non corrisposti e di tradimenti messaggeri di morte. Come quello (non consumato) della principessa Mahsuri, accusata a torto di adulterio da una suocera gelosa e costretta, per questo, a morire lapidata. Morte bagnata da sangue bianco la sua, a memento di un’innocenza vendicata da un sortilegio che avrebbe perseguitato le sette generazioni a venire. E così fu. Scesero i Thai, che fecero razzia di derrate e portarono distruzione, cui seguì l’arsura della siccità. E oggi? La maledizione si è infranta, con il languire dell’ultima dinastia. La regina del cielo è tornata a brillare sul mare delle Andamane.
Langkawi, vita da sciamano
Pietre, alberi e fiumi: tutto racconta una leggenda a Langkawi, nell’epifania di una natura più magica che mai. A cominciare dalle guide, al confine tra uomini e sciamani, in grado di leggere la vita nella combinazione cabalistica impressa in una data di nascita. O dai tassisti che, per portare il cliente nella zona nord dell’isola allo scoccare della mezzanotte, triplicheranno la tariffa temendo un faccia a faccia con gli spiriti dei morti, trasmigrati nei corpi dei macachi. O ancora come le aquile che, a distanza ravvicinata, accompagnano il visitatore nelle escursioni sul fiume Kilim, o i cinghiali che trascorrono la notte a spiarlo mentre cerca ristoro in riva al mare.
Qui tutto pulsa in un perenne divenire in cui è facile perdere la nozione di spazio e di tempo. Ed è già ora di tornare. Che effetto, però! Solo all’approssimarsi dell’atterraggio mi rendo conto che è dicembre. I tasselli si ricompongono e ho l’impressione di percepire il clima di festa che avevo paventato. Il viaggio è finito. La Malesia va riposta nell’armadio, pronta ad essere tirata fuori in quei giorni in cui il sole è pallido e l’aria sa di smog. Come il vestito buono; quello della festa, appunto. Perché adesso, è Natale.