“Le montagne sembrano essere state costruite per gli uomini”, diceva John Ruskin che amava pennellare con i pensieri. Si riferiva al sentimento di chi affronta un avvicinamento alle rocce modellate dai ghiacciai, di chi intraprende una salita che, com’è noto, avvicina al cielo. Le Montagne Rocciose canadesi, o Rockies, sono ispiratrici di sentimenti di quel tipo. Non solo per la grandezza degli scenari che offrono, per la varietà e diversità delle valli e dei paesaggi, ma anche per il fatto che poco è stato costruito intorno a loro, e migliaia di valli sono completamente disabitate. In questo scenario idilliaco (per chi ama la montagna) va inserita la proposta di CMH, Canadian Mountain Holidays, il più grande organizzatore di heliski, o sci con l’elicottero, al mondo.
Certo, molti, sulle Alpi, si lamentano, sono contro questo tipo di attività. Per via del rumore che gli elicotteri portano nelle valli, sulle cime. Tuttavia, in Canada, il rapporto con le montagne è diverso: qui non ci sono abitanti da disturbare, o escursionisti da innervosire: c’è solo un territorio sconfinato da visitare: le Rocciose.
Montagne a perdita d’occhio
Un profilo che appare, a chi arriva dalle piattissime pianure canadesi, improvvisamente. Uno sbarramento continentale, improvviso. Da Calgary si va verso ovest e si raggiunge Banff. Qui, ha sede il quartier generale CMH (che opera dal 1965; si è un po’ inventato il prodotto, ha dei resort solo per elisciatori, ecc.), e di altre società di heliski. Banff è l’introduzione alle Rockies. La cittadina che dà il nome al Parco Nazionale, la via di passaggio della Transcanadese. Basta spostarsi di qualche chilometro a ovest, oltre Lake Louise, e si lascia l’Alberta per il British Columbia. E qui le diverse catene montuose si rincorrono: Selkirk Mountains, Cariboo Mountains, Monashees Mountains. Le aree per lo sci di CMH coprono una superficie comparabile a quella dell’intera Svizzera: a nordovest, verso il Jasper National Park, ci sono alcuni resort come Cariboo e Valemount; a sudovest, ce ne sono altri, come Bugaboo e Bobbie Burns.
E a ovest, passata Revelstoke, si risale la valle fino alla fine della strada. Qui c’è il Monashees Lodge, recente costruzione, principalmente in legno. Un moderno, funzionale lodge in mezzo alla natura, di fronte al lago.Monashees è la base di partenza per le discese più impegnative fra quelle proposte da CMH, tutte giocate sui picchi e i pendii delle omonime montagne, la maggior parte delle quali in foresta.
Monashees Lodge è completo. Un grande salone con camino, a larghe vetrate. Un salone per i pasti, una terrazza, una piscina e sauna, con massaggi, sul tetto. Una palestra, una parete per arrampicata, uno shop, un bar. E tante, continue, attenzioni.
Pronti per l’avventura sulla neve
C’è una campanella, insistente, che suona alle sette e trenta. Chiama alla ginnastica di riscaldamento. Ci si infila una tuta e si va in palestra, per una mezz’oretta. Poi colazione, tutti insieme. Roger si annuncia con una campana. Con una voce rude e un accento forte racconta della situazione meteo appena rilevata e definisce l’ora di partenza dei vari gruppi. Senza possibilità di replica. Una mezz’ora dopo, tutti buoni buoni hanno infilato la tuta, gli scarponi, la ricetrasmittente, il casco, e sono pronti con sci e bastoni. L’attrezzatura è particolare: una tuta integrale imbottita, casco e occhiali, sci più larghi del normale e non molto lunghi, in modo da galleggiare sulla neve fresca. Tutto ciò viene fornito al resort.
Elvis ha preso l’elicottero, e con un breve volo si è portato sulla piattaforma di atterraggio. Tutto il gruppo di sei-sette persone, con una guida, aspetta accovacciato sulla piattaforma. Il pilota scende tra colpi di vento che urtano il mucchio umano, che spostano dalla posizione in cui si è. Poi, quando le pale si quietano un po’, il capogruppo si alza, apre il portellone e, one by one, tutti si infilano nella cabina, mentre guida e pilota caricano gli sci nel deposito sotto la cabina. Queste operazioni, come quelle successive – allacciarsi la cintura, slacciarsela, aprire il portellone, scendere ordinatamente, rifare il mucchio umano sulla neve, scaricare gli sci – sono fatte con precisione militare.
Stare sull’elicottero, in mezzo a un gruppo di americani con divisa (la tuta) e casco, mi dà l’impressione di essere in missione con la mia “squadra di marines”, perché gli americani la prendono sul serio; si vede che il sentimento di “missione”, seppure sportiva, ce l’hanno nel sangue. Durante il volo, pochi minuti per raggiungere la zona prescelta (e ancor meno per risalire le cime nei voli successivi), c’è il cameratismo delle imprese: ci si scambia rapidi sguardi di incoraggiamento, con qualcuna delle parole che i film hollywoodiani ci hanno reso famigliari; e ci si passa le bottigliette riempite di acqua e sali, per reintegrare gli equilibri salini.
Sulla cima, senza fatica
Poi, improvvisamente, la cima. Si scende, si aspetta che l’elicottero se ne vada, si calzano gli sci e si guarda in giù. È una sensazione strana, essere lassù. Senza fatica, senza essersi conquistata quella vetta con lo sforzo muscolare della salita, senza i tempi lunghi dei passi in montagna. Si è in cima, semplicemente. Come se un angelo ci avesse prelevati e liberati dal senso del tempo e della gravità. Laggiù, invece, ci sono le catene e le vette che si rincorrono, all’infinito. Solo roccia e neve, per chilometri, a segnare l’orizzonte. E, sotto, i pendii della montagna. Pieghe di ghiaccio e di roccia che l’abbondante neve arrotonda, camuffa, rende impercettibili. C’è tutta la bellezza della varietà, del disegno di colline e avvallamenti, fino ai primi alberi, conifere coperte da spruzzi di neve. E poi, oltre il verde del bosco, la valle, con il suo torrente a zig zag.
E il sole, e le ombre. E il silenzio, e la solitudine. Il primo a partire è sempre la guida, perché in montagna si fa così. Parte dopo aver dato rapide istruzioni, le ultime raccomandazioni che vanno ripetute ad ogni discesa. Ogni sciatore ha un suo compagno di riferimento, che non deve perdere d’occhio, un sistema per darsi reciprocamente soccorso o solo incoraggiamento, sicurezza; nessuno può tagliare la strada a un altro, e ognuno deve aspettare il suo turno nei passaggi stretti o difficili. Chi cade, o è in difficoltà, deve essere aspettato, e ognuno ha la sua responsabilità, non è la guida a dover fare tutto.
L’ebbrezza della discesa
Un angolo della mente ritiene queste istruzioni, etichettate alla voce “sicurezza”. Il resto del cervello si dedica al piacere. Alle profonde sensazioni di libertà, di onnipotenza, di adolescenziale leggerezza che una discesa in neve fresca ti può dare. Che cosa succede? Si prende un po’ di velocità e poi sembra di perdere peso, di essere entrati in uno di quei tunnel in assenza di gravità. Le gambe si piegano ingaggiando un ritmo musicale, un ballo ritmato sui tappeti elastici. La neve, bianca, pura, spessa (cotonina? panna? lana?) si lascia penetrare per un po’ e poi reagisce, ti spinge in su come una molla dolce, sollevandoti un po’ nell’aria; la quale, a sua volta, ti spinge di nuovo in basso, in quel liquido amniotico semisolido. Non c’è bisogno di darsi molto da fare: il ritmo leggermente sincopato della sciata, restituisce solo una sensazione di piacevolezza, e la scia, una traccia coerente e omogenea.
Finito, “bruciato”, il terreno di alta montagna, comincia il bosco. Conifere altissime ti stanno davanti, offrendo, suggerendo un passaggio non facile. Qui è “delirio puro”. Ci si nasconde, scegliendo la propria via di fuga tra gli alberi, indovinando i rami nascosti, le radici che ostacolano. Oltre l’ebbrezza della neve profonda e finissima (a proposito: la neve delle Rockies è incomparabile, perché l’umidità del Pacifico viene fermata dalle montagne, e la neve che cade sui versanti est è secca e finissima, talco soffice, piume d’oca), c’è quello zig zag in mezzo agli abeti affusolati, uno slalom che richiede improvvisazione continua e creativa, una fantasia da ragazzi nella “foresta incantata”. Insomma, steep and deep (ripido e profondo), come dicono quassù. Si arriva in fondo un po’ stremati. E con gli occhi colmi di piacere e il cuore gonfio. Ma, è solo questione di minuti, si risale sull’elicottero, e con quello su un’altra cima. E l’avventura ricomincia. Lo stesso giorno, un’ora dopo la prima. Sì, forse non c’è molto tempo per meditare, per assaporare la gioia dell’esperienza. Ma qui i ritmi sono americani, e bruciata una tappa comincia l’altra. Fino alle cinque di sera.
Una sciata dopo l’altra. Per gente esperta
Per tutto questo, conta la tecnica: in questo resort dove mi trovo, ci sono solo sciatori al top delle capacità, gente con alle spalle anni di discese in tutte le condizioni di neve. Gente che per una settimana affronta una decina di voli al giorno, coprendo circa diecimila metri quotidiani (trentamila piedi, per dirla all’americana) di dislivello, e quindi di percorso verticale. Se tutto va bene, se tutti i giorni sono propizi, alla fine della settimana, il proprio “book” (rilasciato da CMH) contemplerà settantamila (settantamila!, di cui trentamilacinquecento garantiti) metri di discesa. Un’enormità. E c’è anche chi è riuscito a fare di più, in una settimana. Ma qui entra in gioco la mentalità competitiva americana. Per molti versi, nonostante l’aspetto da marines, i miei compagni americani (come molti dei clienti CMH) sono alla ricerca infantile del record. E così tornano anno dopo anno, per arrivare al milione di metri di dislivello che li fa entrare di diritto nell’Accademia dello Sci.
Ma c’è “spazio” anche per gli sciatori normali
Ma non tutto è così. Se a Monashees le cose vanno in questo modo, negli altri resort di CMH e delle altre compagnie che propongono heliski, quel che conta è far divertire le persone, e di record non si parla. CMH ha messo a punto un prodotto rivolto a tutti (tutti quelli che sciano fuori pista, o hanno voglia di provarci), con discese, tempi e sfide adatti alla preparazione di ognuno. Tant’è vero che, al momento di partire, bisogna dichiarare il proprio livello tecnico, di preparazione atletica, oltre che età, peso, condizioni di salute. Non c’è nulla di improvvisato in questo prodotto turistico, anzi. CMH è di una meticolosità impensabile altrove, sia nella manutenzione degli elicotteri e addestramento dei piloti, sia nella preparazione degli uomini e dei materiali. La sicurezza al primo posto, tanto che ogni uscita è preceduta da rilievi sulla neve, sul vento, su notizie meteo; succede spesso di non partire per uno o più giorni.
Sciare sicuri. Questo il primo obiettivo
E poi c’è il coinvolgimento degli sciatori, con informazioni continue e discussioni, con la ginnastica di riscaldamento, con la responsabilizzazione di ognuno che alza i livelli d’attenzione e di concentrazione. Eccone una prova. Un giorno, mentre si stava scendendo in una valle con altri due gruppi, c’è stato un improvviso cambiamento di tempo: un vento caldo ha fatto staccare piccole slavine da una parete, poi altre da un’altra, rendendo in pochi minuti tutti piuttosto agitati. In pochissimo tempo, tutti gli sciatori erano sull’elicottero, portati al sicuro in un’altra valle. Monashees ha millesettecentododici chilometri quadrati di terreni sciabili, e duecentosettantacinque diverse discese affrontabili. Tutte con la benedizione del silenzio e della solitudine (l’elicottero, dopo averti depositato, sparisce in meno di trenta secondi). Non ci sono confronti possibili, con altre esperienze. Resta da dire che la cucina nei resort è molto curata, con cuochi che sanno la loro. Cucina canadese, del Québec e dell’Ovest, con qualche piatto internazionale e vini adeguati. E tè, caffè, snacks tutto il giorno.
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