Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Gli Indios Yanomami del Sud America

Indios- Yanomami

In base a ricerche archeologiche, undici, dodicimila anni fa, sono arrivate nelle Americhe popolazioni asiatiche. Non tutti gli studiosi sono tuttavia concordi nello stabilire a quando risalga la prima ondata migratoria

Yanomami Indios Yanomami
Indios Yanomami

I primi abitanti dell’America del Sud discendono dai popoli Yanomani. Cacciatori-raccoglitori che arrivarono in America dapprima, pare, attraverso lo stretto di Bering e quindi, attraverso l’istmo di Panama. Sviluppano sistemi diversi di utilizzo delle risorse naturali, differenti lingue e forme di organizzazione sociale tra i vari gruppi.
Gli indios Yanomami sono tra i popoli autoctoni più antichi e più numerosi dell’America Latina. Sono circa ventiseimila e vivono tra il Venezuela e il Brasile. Il centro del loro habitat storico, ancor oggi il più densamente popolato, si trova nella Serra do Parima che divide le acque dell’alto Orinoco da quelle degli affluenti del margine destro del Rio Branco.

Nel corso della loro storia non si sono legati geneticamente ad alcuna etnia indigena amazzonica. Secondo la tradizione orale e i documenti più antichi che li menzionano, avrebbero occupato l’area attuale da circa un millennio. In territorio brasiliano assommano a circa tredicimila individui, divisi in duecento otto comunità; abitano un’area di 96.650 chilometri quadrati, pari a circa un terzo dell’Italia. Il loro nome significa “gli esseri umani” e si contrappone alle categorie “yaro” (animali e caccia) “yai” (esseri invisibili o senza nome) ma anche a “napè” che designa stranieri, nemici e uomini bianchi.

Primi contatti con esploratori, avventurieri, missionari

Yanomami La foresta
La foresta

In una foresta di difficile accesso, tra montagne che superano i mille metri, alcune comunità di indios Yanomami hanno vissuto i primi rari contatti, tra il 1910 e il 1940. Prima con esploratori e avventurieri, poi con missionari e con gli addetti alla demarcazione della frontiera che, nel 1940, aprirono varchi nella foresta. Dal 1940 in poi, contatti permanenti con missionari come Padre Luigi Cocco, aprirono la strada anche alle spedizioni di carattere antropologico, come quella italiana del 1944 guidata dal Professor Ettore Biocca, interessata a studi etnobiologici, psicologici, linguistici, culturali. La prima visione degli uomini bianchi avuta dagli Yanomami fu interpretata come l’arrivo di un gruppo di fantasmi che veniva dal mondo situato “alle spalle del cielo”, con lo scandaloso proposito di ritornare a vivere nel mondo dei vivi.

Oro e distruzione

Yanomani Garimpeiros setacciano il fango in cerca dell'oro
Garimpeiros setacciano il fango in cerca dell’oro

Un presagio, per contro, che si concretizzò anni dopo quando a partire dalla fine degli anni Settanta cominciarono a realizzarsi i massicci progetti di sviluppo: la costruzione della strada perimetrale nord (1973-1976), la scoperta di giacimenti di preziosi, con una conseguente corsa all’oro culminata negli anni Novanta, quando il numero dei cercatori d’oro nell’area era cinque volte superiore a quello della popolazione nativa.
Gravissime le conseguenze sanitarie e sociali: in soli tre anni furono oltre mille e cinquecento gli Yanomami brasiliani passati “al mondo dei morti” a causa delle epidemie di tubercolosi, malaria, polmonite o di semplice influenza, portate dai cercatori d’oro.
Interi villaggi sono stati cancellati.

Altrettanto gravi i problemi sociali dovuti allo scontro culturale tra gli Yanomami, che vedono nella terra-foresta (urihi) una fonte “viva” di sopravvivenza con la quale condividere una solidarietà mistica. I cercatori d’oro, pur se spinti dal bisogno, la rapinano indiscriminatamente, anche con uso di sostanze tossiche.

Yanomani L'alfabetizzazione degli indios
L’alfabetizzazione degli indios

Grazie a una legge del governo brasiliano, la maggioranza dei “garimpeiros” sono stati rimossi dall’area indigena; malgrado ciò sono ancora centinaia quelli che invadono quotidianamente il territorio Yanomami, portando con sé epidemie e compiendo violenze di ogni tipo. Per dare agli indios degli strumenti di difesa, persone come il missionario Carlo Zacquini, che da trentotto anni vive e lavora nell’area, hanno organizzato un piano per l’educazione degli indigeni, fondando la “Commissione pro Yanomami” che si propone di alfabetizzare gli indios ma anche di informarli sui problemi sanitari. Non perché escano dalla comunità, in cerca di improbabili lavori nella società bianca, ma perché mettano a disposizione del gruppo il loro sapere: per esempio dal punto di vista medico e infermieristico. I risultati sono stati molto soddisfacenti, con una riduzione di malattie letali come, ad esempio, la malaria.

Urihi, la foresta che Dio ha dato agli Yanomani

Yanumani Ritorno al villaggio con un cesto di banane
Ritorno al villaggio con un cesto di banane

Urihi

è la foresta degli esseri umani, la terra che Dio ha dato agli Yanomami per viverci generazione dopo generazione, ma può anche essere il nome dell’intero mondo: “urihi a pree”, la grande terra-foresta. La terra per gli Yanomami non è un semplice scenario inerte, sottomesso alla volontà degli esseri umani; è al contrario un‘entità viva, animata dal soffio “wixia”, il principio immateriale della fertilità.

Gli animali che accoglie sono visti come antenati mitici che hanno subito una metamorfosi in ragione del loro comportamento scorretto; per tale motivo sono degni di rispetto e di speciali attenzioni rituali nel periodo della caccia. La foresta offre, oltre alla cacciagione, alla pesca che si pratica con l’arco, un’alimentazione molto varia alla popolazione Yanomami, che alterna la raccolta di frutti selvatici, castagne, miele, funghi, alla coltivazione di manioca, patata dolce, papaia, banane.

La casa Xapuno

Yanomani La capanna Xapuno
La capanna Xapuno

La grande casa plurifamiliare, nella quale possono vivere anche duecento individui, è considerata un’unità economica e politica autonoma. Il grande anello con struttura in legno e copertura di foglie, demarca lo spazio umano sottratto alla foresta e denota il carattere spiccatamente comunitario del popolo Yanomami.
La casa circolare, incastonata in una natura “viva ” e lussureggiante, rimanda all’immagine della coesione del gruppo che, per sopravvivere, si stringe in un abbraccio tra ” esseri umani”.

I piccoli Yanomani, adulti in miniatura

Bambino con un grappolo di pupunha
Bambino con un grappolo di pupunha

Più che esseri incompleti con spazi e luoghi separati, i piccoli Yanomami sono adulti in miniatura, ammessi molto presto all’apprendimento di attività manuali di base, come accendere il fuoco senza bruciarsi o usare un coltello senza tagliarsi. È molto frequente vedere una madre che torna dalla raccolta con la cesta piena di frutta seguita dai figli piccoli, anch’essi con ceste adeguate alla loro taglia, riempite con piccoli frutti o legna.
L’uso e la costruzione di arco e freccia è insegnato dal padre. Arrivati all’età adulta, ai ragazzi non restano misteri della vita quotidiana da svelare, anche se l’apprendimento culturale, legato alla spiritualità, alla danza, al rito, continua e si sviluppa sino alla vecchiaia e alla morte.

Idios Yanomani e i riti per il raccolto

Yanomami Una donna trasporta le bacche rosse urucum per la pittura sul corpo
Una donna trasporta le bacche rosse urucum per la pittura sul corpo

La celebrazione della raccolta del frutto della “pupunha” (Bactris, frutto della palma Guilialma speciosa) è tra i riti annuali più significativi. I frutti, simili a grandi nespole, vengono mangiati lessati e hanno un gusto gradevole, tra la patata e la castagna. La pupunha, che cresce spontaneamente nell’area amazzonica, è un alimento importante per gli Yanomami, tanto che il periodo della raccolta è accompagnato da grandi feste collettive.

La pittura del viso e del corpo rappresenta una delle fasi più importanti di preparazione alla festa. Ogni famiglia dipinge sulla pelle le sue linee di riconoscimento, disegni che sono i simboli dell’identità del piccolo gruppo, usando le pitture vegetali ricavate della rossa bacca “urucum” e dal frutto nero del “genipapo”. I pigmenti rossi e neri infonderebbero coraggio ed energia vitale a chi li usa.

Gli Yanomani e la festa della pupunha

La danza degli uomini durante la festa
La danza degli uomini durante la festa

Nel corso della preparazione gli uomini del villaggio praticano il dialogo ritmico all’orecchio, trasmissione ritualizzata della cultura orale. Questa pratica, che consiste nel “depositare” la parola nell’orecchio del compagno effettuando una sorta di danza da accovacciati, avviene solo tra maschi e denota altresì un certo grado di conoscenza dei partecipanti. La comprensione di questo genere di comunicazione, che nella pratica diventa una ripetizione quasi contemporanea, fa parte infatti della preparazione all’età adulta ed è quindi inclusa nell’apprendimento degli adolescenti che, con le loro piume bianche sulla testa, aprono in questo modo la festa della pupunha.

La celebrazione vera e propria della festa consiste nel preparare e consumare un’enorme quantità di bevanda ricavata dalla pupunha e culmina con il vomito liberatorio di tutti i partecipanti. L’atto del vomitare è visto dagli indios Yanomami come indice di abbondanza: la presenza cioè, rara nel corso dell’anno, di una quantità di alimento o di bevanda tale da non poter più essere contenuta. Questo è un buon segno; denota cioè il completo successo della festa, la generosità della natura o di chi ha raccolto, preparato e distribuito la bevanda. Per questo l’atto del vomitare è vissuto come il momento culminante del rito, quello che ne sottolinea, più di ogni altra cosa, la buona riuscita.

Gli Indios del Brasile e il contatto con gli Europei

Yanomami Un missionario cura un bambino
Un missionario cura un bambino

Cinque secoli fa, nel 1500, nell’attuale stato di Bahia, i portoghesi sbarcarono per la prima volta sulle coste del Brasile, dando inizio a un processo di colonizzazione. Non esistono cifre precise sulle società indigene presenti all’epoca sul territorio brasiliano, ma solo stime che variano tra i cinque e i dieci milioni di individui. L’impatto della conquista europea sulle popolazioni native fu immenso. Centinaia di migliaia di persone morirono a causa del contatto diretto o indiretto con gli europei e con le malattie da loro portate. Malattie anche banali, come l’influenza, il raffreddore o il morbillo che per le popolazioni native, completamente prive di anticorpi per quei virus, risultarono invece fatali, cancellando intere comunità.

Cercatori d’oro portano squilibri sanitari e sociali

Nel 1989 gli indios brasiliani erano duecentocinquantamila, dislocati maggiormente nella zona del bacino del Rio delle Amazzoni, un territorio che ricopre una superficie di 2.900.000 chilometri quadrati, circa nove volte la superficie dell’Italia. Dalla metà degli anni Ottanta, epoca della scoperta di giacimenti d’oro in vaste zone della foresta amazzonica, le aree indigene subirono una vigorosa ondata di invasioni da parte dei cercatori, ciò che provocò nuovi gravissimi problemi sanitari e sociali. Grazie a una legge del 1992, che vieta formalmente l’invasione da parte dei cercatori d’oro, preservando così le aree indigene a rischio e grazie anche a interventi di aiuto di tipo sanitario e in quello dell’educazione, negli ultimi anni si riscontra in alcune comunità indigene un aumento demografico, come nel caso degli Yanomami, passati da undicimila e tredicimila individui.

Indigeni brasiliani: quanti sono e dove vivono

Una missionaria in un villaggio
Una missionaria in un villaggio

Dati recenti raccolti dalla FUNAI, l’organo governativo brasiliano in difesa degli indios, forniscono un quadro più completo. Oggi vivono in Brasile circa 345mila indios distribuiti in duecentoquindici società indigene distinte, che parlano circa cento ottanta lingue diverse. Questi dati includono anche i circa centocinquantamila indios che abitano lontani dalle loro tribù o in aree urbane. Esistono inoltre ancora più di cinquanta gruppi indigeni che non sono mai entrati in contatto con la società brasiliana che li circonda. Questi i gruppi indigeni più numerosi: gli Yanomami e i Makuxi dello stato di Roraima; i Kaiapò dello Xingù; gli Xavante, i Terena e i Bororo del Mato Grosso; gli Arara del Parà; i Pataxò di Bahia; i Potiguara dello stato di Paraiba e, ancora, i Tikuna, i Wapitxana, i Kaxinauà dello stato di Amazonas.

Le varie società indigene presenti in Brasile, vivono dunque dislocate su un territorio vastissimo. Rappresentano in termini demografici una piccola percentuale, lo 0,2%, di una popolazione di oltre centocinquanta milioni di abitanti. Questi primi abitanti del Brasile però, con la loro millenaria esperienza di vita in simbiosi con la foresta amazzonica, custodi e mai padroni della terra, sono gli ultimi depositari di un sapere antico che conosce i segreti della natura ed è in grado di utilizzare al meglio l’ambiente senza distruggerlo.

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