Lunedì 2 Dicembre 2024 - Anno XXII

Lofoten, isole dell’abbondanza

isole Lofoten

L’esperienza della pesca al merluzzo, nelle isole norvegesi dell’Europa del nord, fra paesaggi fantastici e pescatori moderni, diretti discendenti dei Vichinghi. Con il ricordo (mai spento) del “terribile” olio di fegato

Isole Lofoten
Isole Lofoten

L’olio di fegato di merluzzo ha turbato i giorni e le notti di tutti quelli che hanno più di cinquant’anni. Con il suo sapore terribile e insieme indimenticabile era la “medicina per diventare forti”.

Le madri inseguivano per tutta la casa i ragazzi brandendo il cucchiaio colmo del liquido pestilenziale, per far loro trangugiare quella orribile carica di “vitamina D”. Forse utilissima, ma in definitiva una vera e propria pozione degna di Lord Voldelmort, mago cattivo, nemico di Harry Potter.

Stoccafisso o baccalà, sempre di merluzzo si tratta
Lofoten Un villaggio di pescatori
Un villaggio di pescatori

Viene dalle Lofoten l’olio di fegato di merluzzo, da questo piccolo arcipelago di isole norvegesi affogato nei mari del nord, a due passi dal Polo.
Non solo, ma la maggior parte del pescato di merluzzi europei ha qui la sua patria. Stoccafisso e baccalà vedono la luce in questi mille e duecento chilometri quadrati di isole e deliziano mezza Europa con il loro sapore forte, con quella carne spinosa e saporita, unica e inconfondibile.

Chi ha visitato le Lofoten nel periodo estivo conserva un’immagine onirica e bucolica di queste isole: fiordi bordati dal verde delle foreste, villaggi di pescatori con le Rorbuer, le piccole case rosse e nere da prendere in affitto, la pesca al salmone nelle acque calme di un mare amico. D’estate le montagne non sembrano minacciose, hanno ai loro piedi campi di grano e di fieno, ordinati, nella loro geometria di campagna.

Le montagne, una muraglia naturale
Le montagne, una muraglia naturale

Durante la stagione della pesca, la Lofotfiske, da marzo ad aprile, le isole diventano un pianeta diverso. Per chi arriva qui con L’Hurtigrute, il battello postale, le Lofoten appaiono come un territorio inaccessibile.
Le montagne diventano una muraglia naturale per combattere gli intrusi, le chiamano Lofotveggen, le “pareti delle Lofoten”. Sono un’immagine di forza e di ghiaccio, come di forza e di ghiaccio è fatta la vita, nel periodo invernale, di quest’angolo di mondo dell’estremo nord.

La neve ricopre i campi, le montagne, i battelli da pesca, ma non è un ostacolo. Questo è il momento che tutti gli abitanti aspettano, anno dopo anno: la grande kermesse del merluzzo sta per iniziare e il popolo pescatore prepara le sue reti per ingaggiare l’arcaica e vincente lotta contro il “pesce veloce del Baltico”.

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Già conosciuti dai Vichinghi
I tranci di merluzzo secco, legati in fasci,
I tranci di merluzzo secco, legati in fasci

È una storia antica quella che lega il merluzzo ai norvegesi. I loro antenati, i Vichinghi, furono i primi a dedicarsi a questo tipo di pesca, una volta scoperta la grande migrazione ittica e i grandi banchi di pesci del Mare del Nord.
E ancora merito degli antichi guerrieri norvegesi la scoperta dell’essiccazione del merluzzo ai venti marini e la sua trasformazione in stoccafisso, usato come provvista per i loro viaggi transoceanici e di conquista.
In queste isole iniziò nel lontano 1100 la prima commercializzazione dello Stockfish, il pesce “bastone”. I tranci di merluzzo secco, legati in fasci, presero la via dell’Europa del sud per arrivare sulle tavole di Spagna e Italia, i più grandi consumatori, per non abbandonarle più.

Tor Raimond Skarheim è il comandante e il padrone della barca da pesca che porta il suo nome, ancorata nel porto di Svolvaer. Si sveglia, nel periodo di pesca, alle cinque di mattino. I motori diesel della sua imbarcazione fanno vibrare il ponte, mentre i suoi marinai spalano la neve che ricopre la prua.

Con una tazza di caffè bollente in mano Tor entra nella sua cabina, accende l’eco-scandaglio: servirà per individuare i banchi di merluzzi una volta salpati. Il moderno strumento da pesca, a cristalli liquidi, si illumina di blu e sembra un videogioco, un crudele videogame dove i merluzzi non hanno scampo e perdono sempre.

Per la pesca, battelli tecnicamente sofisticati
La pesca
La pesca

Questa non è una barca da pesca, ma un computer galleggiante: telecamere a circuito chiuso riprendono la poppa, da dove verranno calate le reti, la prua, da dove verranno issate, e una si trova sotto coperta, dove si svolgerà il primo lavoro di stoccaggio dei pesci.

Tutti gli apparecchi sono accesi nella sala comandi. La radio inizia a gracidare, il video del computer di bordo s’illumina e mostra la mappa di navigazione scelta e la rotta da seguire. In un angolo della cabina un piccolo timone di legno e una bussola ad acqua fanno da soprammobili, ricordi del passato, archeologia marinara norvegese.

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Decine di barche da pesca lasciano Svolvaer in contemporanea. Con i motori al massimo dei giri escono in maniera ordinata dal porto coperto di neve e iniziano a solcare le acque gelide del Mare del Nord alla ricerca dei ricchi banchi di merluzzi. Dopo un paio di miglia di navigazione vengono calate le grosse reti “Snurrevard”, che si inabissano fino a raggiungere la profondità di duecento e ottanta metri.

Pesca miracolosa
La pesca
La pesca

L’equipaggio, che veste le colorate tute Helly Hansen, poco dopo issa a bordo la rete con l’aiuto di un argano. Un’enorme massa di merluzzi la riempie. Sono così tanti che non riescono quasi a muoversi.
Un braccio meccanico aggancia la rete stracolma e la sposta sopra un contenitore che sembrava troppo grande da vuoto, ma che si riempie fino all’orlo nel momento in cui il “secondo” Hans lo apre e vi fa scivolare quella massa viva e guizzante.
Ogni merluzzo pesa in media sei, sette chili, e in un giorno di buone catture come questo la stiva della barca riuscirà a contenerne ben otto tonnellate!

Sono quasi le sei di sera e il sole sta scomparendo. La barca torna verso il porto con il suo prezioso carico, e come lei rientrano alla base anche le altre millesettecento imbarcazioni che si dedicano a questo tipo di pesca nelle Lofoten. Alla fine di ogni stagione, i tremila pescatori di merluzzo norvegesi riescono a strappare alle onde del mare ventimila tonnellate del gustoso pesce.

Un pesce “generoso”
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foto Thomas Rasmus Skaug visitnorway.com

Il merluzzo è un po’ come il maiale: non si butta via nulla. I pesci appena pescati e portati nei depositi in riva al mare vengono puliti e le viscere essiccate per farne farina di pesce. Le uova sono salate e disposte in barili di legno e subito spedite alle fabbriche di “Caviar”, il caviale di merluzzo, usatissimo in tutta la Scandinavia. Il fegato dei pesci è messo anch’esso sotto sale e inviato in Svezia, dove ne sono particolarmente ghiotti.

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Parte dei fegati sono acquistati da Arne Henriksen, che li bolle a sei atmosfere per diciotto minuti e li trasforma nel tremendo “olio di fegato di merluzzo”.

Le teste dei pesci vengono private delle lingue, considerate a ragione un piatto supremo. I bambini delle Lofoten, grazie alle loro piccole mani, sono gli addetti a questa operazione: estrarre e tagliare. Le lingue dei merluzzi, carnose e gustosissime, finiranno in tutti i più famosi ristoranti dell’arcipelago, impanate e fritte, un vero boccone da re! Le teste vengono poi essiccate e spedite in Nigeria, dove serviranno come ingrediente principale per una famosa zuppa locale.

Finalmente, stoccafisso e baccalà!
Lofoten Merluzzi appesi nelle rastrelliere
Merluzzi appesi nelle rastrelliere

Quello che rimane del merluzzo, cioè due grandi e polposi filetti, prende due strade: spinato, spazzolato, lavato, messo sotto sale per un mese e poi essiccato al vento diventerà baccalà.
Se invece i filetti vengono legati a due a due per la coda, portati in riva al mare e appesi su grandi rastrelliere di legno, le Hesje, e quindi posti ad essiccare al vento secco e gelido per due, tre mesi, allora il merluzzo diverrà il supremo stoccafisso, classificato a seconda del peso, grandezza, consistenza, essiccamento e disidratazione, in ben diciotto qualità.

Quando il sole tramonta alle Lofoten, il mare è vuoto, senza barche, senza un suono. Una completa solitudine, tipica di queste estreme latitudini.
Solamente le rastrelliere piene di pesci fanno da cornice al sole che si spegne. Per un beffardo destino i merluzzi stanno appesi ad essiccare di fronte alle onde, mossi dolcemente dal vento, a due passi dal mare che li ha cresciuti.

Informazioni turistichewww.visitnorway.it   –    www.lofoten.no

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