Giovedì 12 Dicembre 2024 - Anno XXII

Os brasileiros

Brasile foto Foto di Janeiro Maneiro da Pixabay

Ci abitavano gli indios, ci arrivarono i portoghesi, ci sbarcarono gli africani in catene. Nel tempo, sono arrivati a milioni anche gli “altri” Europei, dando vita alla terra della “cordialità”

Brasile Foto NakNakNak da Pixabay

L’identità del popolo brasiliano nasce così: dall’intreccio di tre razze, quella indigena degli abitanti autoctoni, quella europea dei cosiddetti scopritori e quella africana degli schiavi utilizzati per la raccolta della canna da zucchero e del caffè.
Dall’incontro di questi popoli e dal loro multiforme patrimonio culturale, nasce in Brasile qualcosa di nuovo, che non è la mera somma di elementi tanto diversi tra loro e nemmeno una frammentazione in mondi separati che vivono a sé stanti, come succede in altre parti del Nuovo Mondo.
In Brasile, fin da subito, la miscela razziale crea “qualcosa che il mondo non aveva mai visto”, come scriveva l’antropologo Darcy Ribeiro; un popolo con “più umanità incorporata”, per il fatto di avere in sé, nel patrimonio genetico e in quello spirituale e filosofico, questa molteplicità di ingredienti, ma anche per la capacità di far sorgere da questi il “jeito brasileiro de ser”, il modo di essere brasiliano, appunto.

Il trionfo dei DNA
Moderni “orixás”
Moderni “orixás”

Si coglie a prima vista nel modo di camminare “ondulato all’africana” della ragazzina bionda di Leblon; nel viso da india in cui brillano gli occhi verdi “del periodo olandese” a Recife; nei capelli biondi del nerissimo bagnino “sararà” a Salvador. Dal corpo al cibo, alla musica, alla danza, al modo di comunicare e di vedere il mondo, i tre elementi culturali danno, in luoghi del Brasile diversi, risultati differenti.
La città di Salvador da Bahia, sulle cui spiagge approdarono la maggioranza delle navi negriere provenienti dall’Africa, è ancora la capitale della cultura nera. Qui dai luoghi di culto degli “orixás”, le divinità africane legate alle forze della natura, fuoriescono tuttora elementi culturali, richiami, stimoli che, partendo dai miti e dall’universo simbolico, danno vita a benefiche contaminazioni e ispirano nuove forme espressive.
L’esempio più marcante in questo senso fu la nascita del “samba”, forse il più convincente simulacro della brasilianità: nato dall’accelerazione dei ritmi di “richiamo” per gli orixás, nell’anticamera di un luogo di culto, trasferitosi poi da Salvador a Rio de Janeiro nel 1917.

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Dove “negro” è un complimento
Percussioni degli Olodum
Percussioni degli Olodum

Oggi più che mai Salvador da Bahia si auto elegge capitale della cultura nera brasiliana. Qui, dove, come scriveva l’etnologo Pierre Verger, “chiamare qualcuno “negro” significa un atto di amore e anche di stima”, tanto che il privilegio viene esteso a bianchi e mulatti, Michael Jackson ha scelto di girare il suo videoclip e ogni anno si svolge con grande interesse internazionale il festival mondiale delle percussioni, mentre la musica bahiana, ispirata a quella cultura afro per secoli, proprio qui, repressa ed emarginata, arriva oramai ovunque, attraverso interpreti raffinati come Caetano Veloso, o facendo tuonare i ritmi del “candomblé” fino al nostro San Remo con i “timbales” di Carlinhos Brown.
Dopo l’abolizione della schiavitù, avvenuta in Brasile il 13 maggio del 1888, un’altra emigrazione contribuì alla crescita e alla trasformazione culturale del Paese, quella di lavoratori europei, soprattutto tedeschi e italiani, che si sostituirono agli schiavi liberati.

Italiani “brasileiros”
San Paolo
San Paolo

Secondo l’annuario statistico del commissariato italiano all’emigrazione dell’epoca, dal 1810 al 1926 arrivarono in Brasile circa un milione e mezzo di italiani su un totale di circa quattro milioni di nuovi arrivati. Un numero superiore a quello degli stessi portoghesi.
Oggi si calcola che gli “oriundi”, che si trovano soprattutto nel sud del paese, siano intorno ai ventitré milioni. La maggior concentrazione di essi si trova nella città di San Paolo, che, con più di cinque milioni di italiani è la più grande città italiana del mondo.
Negli ultimi anni il sorprendente successo in Brasile della telenovela sull’emigrazione italiana chiamata “Terra Nostra”, ha scatenato una inusitata travolgente moda italiana. L’interesse per lo stereotipo romantico stile mandolino, spaghetti e melodia “strappacore”, ha avvicinato migliaia di brasiliani a corsi di lingua e di gastronomia, ma anche di storia del cinema e di letteratura italiana.
Scrivono i redattori di una rivista che ha messo in copertina “la faccia italiana del Brasile”, dedicando dodici pagine alla “presenza della maggior colonia di emigranti nella formazione nazionale”, che dopo lo sbarco in Brasile dei primi immigranti, la parola ”ciao” entrò a far parte del vocabolario nativo con una nuova grafia: “tchaou”; oggi è, quotidianamente, una delle parole più pronunciate in tutto il Paese.

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Il vivissimo sostrato indigeno
Maculelè, ballo brasiliano dalle antiche radici africane
Maculelè, ballo brasiliano dalle antiche radici africane

Sebbene, paradossalmente, l’influenza amerindiana dei “primi brasiliani” possa sembrare meno visibile di quella africana e di quella europea in molte parti del Brasile, essa aleggia su tutto il territorio.
Si è cristallizzata nella lingua (il portoghese-brasiliano), ricchissima di parole indigene di uso comune; nell’alimentazione, ad esempio nell’uso e nel trattamento della manioca; nell’utilizzo della farmacopea naturale, oltre che in attitudini e modi di vedere la natura; nell’arte, nella letteratura. Miti e antiche leggende indigene convivono con la modernità a Manaus, ma anche a Rio e nell’avveniristica Sao Paulo.
Man mano che si sale verso nord poi, dove prospera intorno all’uomo una natura sempre più lussureggiante, cresce anche la presenza degli indios: quella effettiva di duecentoventisei nazioni indigene diverse, per un totale di circa quattrocentomila individui che pur non senza problemi, mantengono la loro definizione culturale.

Brasile, paese del sorriso
Foto: Antonio Baldisserotto/Terramia Club
Foto: Antonio Baldisserotto/Terramia Club

Come insegna lo scrittore Jorge Amado “la ricetta per abbattere il razzismo è mischiarsi”, e in Brasile, questa “fusione” ha portato all’uomo “cordiale”. Scriveva Sergio Buarque de Hollanda, nel suo classico del 1936 “Radici del Brasile” (tradotto di recente da Giunti editore): ”Il contributo brasiliano alla civiltà è la cordialità. Daremo al mondo l’uomo cordiale: la schiettezza nel tratto, l’ospitalità, la generosità, virtù tanto ammirate dagli stranieri che ci visitano.”
Ed è proprio così.

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