Lo troverete sicuramente su Internet. Digitando la parola chiave “ginseng” si aprono migliaia di pagine che elencano le miracolose virtù medicinali e il potere rinvigorente della “radice della vita”. Chi pensa che la pianta del ginseng sia una prerogativa di Corea e Cina, commette un errore madornale. Certo, questi due paesi sono i maggiori produttori e consumatori della magica radice, ma solo gli addetti ai lavori sanno che esiste anche il ginseng giapponese, l’himalayano del Nepal, le varietà americane del nord e del nord est; persino in Siberia si produce una qualità speciale di questa rara e costosissima pianta. Ne esistono due varietà: bianco e rosso. Il ginseng rosso si divide in “Paradiso”, il migliore, e nel meno pregiato “Code”. La radice dritta e perfetta è chiamata “Jiksam”, le altre, con qualche imperfezione, sono il “Bangoksam” e “Cocksam”.
Radice per tutti i mali
Più di duemila anni fa i cinesi chiamavano questa radice, la cui forma ricorda il corpo umano, “jen-shen”, cioè “a somiglianza d’uomo”. In Asia il ginseng è così importante, ricercato, usato in mille modi nella medicina tradizionale, da meritarsi persino un proverbio : “Il genere umano ha la sua più alta espressione nel saggio, il mondo minerale nell’oro, le pietre preziose hanno la regina nella giada e il mondo vegetale ha il suo re nel ginseng”. Questa consacrazione non è un caso. Proprio i cinesi ne scoprirono le fantastiche proprietà e le sfruttarono. Li-Shi-Chen, scienziato della dinastia Ming, nel suo libro “Delle erbe medicamentose” attribuisce al ginseng alte qualità curative: “è un rimedio per il corpo affaticato, per il riequilibrio della pressione sanguigna, per la tensione nervosa, per il calo di memoria, per la riattivazione delle funzioni psichiche e organiche ed è anche un ottimo antidolorifico per i reumatismi”. Quando nel 1843 il botanico russo Meyer decise che era venuto il momento di classificare questa pianta (è una “araliacea” e conta sei differenti specie) tenne conto dei grandi poteri che aveva il ginseng e la chiamò Panax Ginseng. Come dire “pan” (tutto) e “axos” (medicina); quindi è la medicina che cura tutto, la panacea medicamentosa in forma di radice.
In Corea, il migliore
Il ginseng sudcoreano è, a detta degli esperti, il migliore del mondo. E’ in questo piccolo lembo di Oriente che si coltiva la migliore varietà della radice della vita. E’ nella provincia coreana di Chollabuk-Do che più di mille e cinquecento anni fa è iniziato lo sfruttamento e la commercializzazione della radice a forma di uomo. Nelle gole strette e ombrose intorno alla cittadina di Kumsan, ai piedi del picco di Kwanumbul, il giovane Kang (così racconta la leggenda) trovò, su indicazione del dio della montagna, la pianta medicinale dalle piccole bacche rosse. Fece bere un decotto di radici alla madre ammalata, che prodigiosamente guarì. Dopo questo “miracolo” il ginseng iniziò ad essere coltivato su larga scala. Che l’inizio di questa “saga botanica” sia dovuto al leggendario contadino Kang o forse a qualche agronomo cinese che trovò in Corea un microclima ideale per la coltivazione della radice, ha poca importanza. Quello che conta è che il ginseng prodotto in Corea ha surclassato in quantità e qualità quelli nepalese, cinese e giapponese. Il Ginseg selvatico è rarissimo, un’araba fenice. Un suo eventuale ritrovamento (l’ultimo in Corea risale agli anni Sessanta) fa notizia in tutta la nazione e per il fortunato scopritore si aprono orizzonti di gloria e di ricchezza. Per le sue indubbie qualità, per la difficoltà di reperirlo naturalmente e per la grande richiesta, gli abitanti di Kumsan lo coltivano da secoli e lo esportano in tutto il mondo. Se la cittadina piemontese di Alba è l’emblema e la patria del tartufo bianco, famosa e rinomata in tutto il mondo, così Kumsan lo è per il ginseng.
Feste a Kumsan con la luna nuova
In tutte le civiltà contadine il momento del raccolto è l’esplosione della gioia, dell’abbondanza e dei riti Kumsan e la sua civiltà bucolica fondata sulla radice della vita, non sfuggono a queste regole. In quest’angolo di Corea si festeggia a settembre, con la luna nuova, la maturazione delle radici che sono finalmente pronte per la grande “kermesse”. Danze, canti, sfilate in antichi costumi tradizionali, il grande mercato notturno, le contrattazioni e le aste del ginseng, sono il fantastico corollario di manifestazioni che animano Kumsan e allietano i suoi abitanti. La grande festa in onore della sacra radice è aperta da un corteo che dura più di tre ore ed è un insieme di riti magici e propiziatori, accompagnati dal suono ripetuto e ritmico di centinaia di tamburi. Le contadine, in fila indiana, con i vestiti bianchi e amaranto della festa, interpretano sé stesse: sfilano con gli attrezzi da lavoro, con le gerle, con i secchi e le zappe. Le giovani ragazze vestite con l’”hanbok”, l’elegante costume coreano dai colori accesi, camminano sostenendo vessilli sui quali è scritto: “Il ginseng è la vita”, “Il ginseng è l’erba medicinale di Kumsan”. E’ strano che nel corteo ci siano tante donne. In questa società patriarcale e un po’ misogina (al gentil sesso è interdetta sia la semina che il raccolto del ginseng) possono si, scegliere e dividere le radici, ma solo la mano maschile può toglierlo dalla terra. Nelle cerimonie del raccolto le donne vivono quindi il loro simbolico riscatto; sono loro a pregare per la pioggia, a sfilare nei cortei, a vendere il ginseng al mercato.
Cibi, bevande e “sauna” al ginseng
Nella grande piazza del paese si fa musica. Il “kayakum”, un’arpa orizzontale, e l’“ajaeng”, un violino affusolato, accompagnano con i loro suoni melodici i cantanti e gli attori che raccontano al popolo la leggenda della radice sacra. In questi giorni, qui a Kumsan, tutto ha il profumo, il sapore e l’aroma del ginseng. Nei ristoranti si mangia la zuppa di pollo nella quale galleggiano fette della preziosa radice, si bevono vino e grappa di ginseng e per dessert, biscottini dello stesso gusto e radici glassate con zucchero e miele. Nell’unico hotel della città, che si chiama guarda caso “Ginseng”, si fa la sauna con la preziosa araliacea: fumi di vapore dallo strano odore di muschio, questo è l’odore del ginseng fresco, avvolgono e purificano gli avventori per la modica cifre di 2900 Won, circa due Euro. Il mercato notturno è illuminato da luci fioche e pervaso da profumi insoliti che salgono dalle centinaia di bancarelle di gastronomia locale. Maiale in agrodolce al ginseng, vitello all’aglio e ginseng, barbecue di carne al ginseng, zuppe di pesce sempre al ginseng e non solo: venditori di biscotti, di pozioni miracolose, di stoffe, di pesce secco, indovini, suonatori, saltimbanchi, e cumuli di radici miracolose vendute a venti Euro il chilo, formano una sorta di roboante piazza marocchina “Jeema El Fna”, in versione orientale.
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