Venerdì 8 Novembre 2024 - Anno XXII

La città dell’alabastro

Spirito etrusco e cuore bianco e trasparente come l’alabastro, la pietra che esprime l’essenza di Volterra. Un’esperienza da vivere è entrare in botteghe e laboratori dove sapienti mani trasformano la pietra bianca in arte pura

Museo Guarnacci, Urna degli sposi
Museo Guarnacci, Urna degli sposi

Alle prime luci dell’alba la Val di Cecina appare come una terra irreale, sospesa nelle nebbie mattutine, dominata dall’imponente profilo di Volterra, nave di pietra che solca onde di terra, laddove la Maremma si fonde nelle Terre di Siena. Volterra è una piccola cittadina dal carattere indipendente; ha sempre guardato con fierezza e superiore distacco tutto ciò che avveniva lontano dal suo colle, ribellandosi più volte ai tentativi di sottomissione della Roma imperialista e della Firenze medicea.  Le radici dell’albero genealogico di Volterra sono etrusche. Fu questo popolo nobile, guerriero e misterioso a scoprire l’alabastro, la pietra bianca che diventò presto il simbolo della città. Tra le pietre e nei vicoli della “città di vento e di macigno” di dannunziana memoria, si avvertono i sussurri di una civiltà che rivive nelle sale del Museo Guarnacci, tappa fondamentale del viaggio in questo pezzo di Toscana. Nelle sale del museo i volti e le figure scolpite sulle oltre seicento urne funerarie hanno sguardi e profili eterni, talvolta immortali come l’Urna degli Sposi o la straordinaria Ombra della Sera, una statuetta bronzea filiforme che ben potrebbe stare in un museo d’arte moderna; quell’artista antico e sconosciuto è stato capace di fermare il tempo quando le luci calde e radenti del tramonto allungano le ombre fino a sfiorare l’oscurità.

Le Balze, belle e traditrici
Balze di Volterra
Balze di Volterra

La città si distende sulla cresta di un’altura e affonda le sue radici in una terra traditrice, fatta di friabile argilla, che ha già ingoiato edifici, chiese e i misteri di una necropoli etrusca polverizzatasi in frane ed erosioni. Le Balze, questo è il nome della grande voragine, sono il volto inquietante, misterioso e precario dell’antica capitale etrusca e costituiscono il libro geologico della città. Il colore dominante, quello che rimane più impresso, è il giallo ocra  dell’impressionante strapiombo. Partendo dall’alto, sono ben visibili lo strato di pietra “panchina”, la piattaforma su cui nasce la città; sabbie e calcarei arenacei si frappongono con la base di argille grigie. Gli agenti atmosferici, in particolare le infiltrazioni d’acqua, hanno causato i crolli che ora minacciano anche l’antica badia camaldolese.
Il fenomeno dell’erosione verticale è causato dal fatto che lo strato di sabbie superiori risulta essere più resistente all’acqua rispetto alle argille sottostanti che, franando, privano il sostegno alle fasce sabbiose originando i calanchi.
L’imponente parete argillosa è dominata dagli inconfondibili profili della chiesa dei Santi Giusto e Clemente. Progettata da Ludovico Incontri, la chiesa fu costruita tra la prima metà del Seicento e la seconda metà del Settecento e sembra veritiera l’ipotesi che le colonne ornamentali che si stagliano sulla grande facciata, ai lati della scalinata di accesso, siano quanto rimane di un preesistente tempio scomparso nella grande frana.

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In nome dell’alabastro

La casa-museo di Umberto Viti
La casa-museo di Umberto Viti

I primi a lavorare la pietra bianca di Volterra furono gli Etruschi che se ne servivano per costruire urne cinerarie e sarcofagi. Fino al Cinquecento l’alabastro scompare dalla scena per tornare a splendere alla fine del Settecento, quando Marcello Inghirami Fei cerca di sensibilizzare gli artigiani locali fondando una scuola laboratorio: era ancora presto per rilanciare il prodotto “industrialmente”. Dunque il periodo più florido per la produzione della pietra bianca è la fine del  Settecento, quando i “viaggiatori dell’alabastro” raggiungevano ogni angolo del pianeta per commerciare opere d’arte. Tra questi, spicca la personalità di Benedetto Giuseppe Viti che dopo un gran girovagare, soprattutto in Oriente per vendere manufatti in alabastro, fece ritorno a Volterra nel 1850; comprò il Palazzo Incontri oggi casa-museo di Umberto Viti e di sua moglie. Oltre a tantissime testimonianze dei viaggi di Benedetto Giuseppe, il palazzo Incontri Viti deve il suo pregio alla pietra volterrana. Dai pavimenti in cotto e alabastro del magnifico salone, ai giganteschi (quattro metri) candelabri, destinati all’imperatore Massimiliano d’Asburgo e mai spediti per la fucilazione (1867) del destinatario, alla collezione di tazze della puerpera.

Per laboratori e botteghe
La lavorazione dell'alabastro
La lavorazione dell’alabastro

Volterra è tuttora la capitale dell’alabastro, nient’altro che bianco solfato di calcio idrato, pietra calda e luminosa che offre il meglio di sé quando le mani dell’uomo la plasmano, inventando forme e scoprendo la sua naturale e trasparente lucentezza. Gli artigiani volterrani hanno l’alabastro nel loro codice genetico; di padre in figlio si tramandano quest’arte che rappresenta una delle massime espressioni scultoree della cultura italiana. Attualmente la produzione artigianale della pietra bianca cerca di trovare una propria dimensione tra la produzione di quantità, che consiste in oggetti di scarso valore e commerciabili facilmente per pochi Euro, e una produzione di notevole qualità che esprime grande raffinatezza e maestria nella lavorazione della pietra. Conoscere le lavorazioni più pregiate è molto semplice. Basta raggiungere la piazza dei Priori ed entrare nel negozio-galleria della Cooperativa Artieri di Alabastro, oppure da Oasi’s in via Gramsci. In questi negozi l’alabastro è trasformato da sapienti mani in oggetti d’arredamento dal design raffinato. Tra gli altri, si segnala il laboratorio-museo Rossi (anche negozio) ove si può assistere alla lavorazione della pietra bianca prima che arrivi sui banchi espositivi. E la fase della lavorazione offre l’opportunità di vedere all’opera e scambiare quattro chiacchiere con artigiani che semplicemente, senza smettere di lavorare, sono in grado di raccontare il loro rapporto viscerale con la pietra volterrana.

Il laboratorio Rossi
Il laboratorio Rossi

Infine ecco le altre imperdibili tappe del viaggio bianco: Giorgio Finazzo e Roberto Chiti hanno il loro laboratorio in via Orti Sant’Agostino. Gloria Giannelli è specializzata in intarsi e Auro Grandoli scolpisce solo animali: le loro botteghe si trovano rispettivamente in via Don Minzoni e in via di Sotto. E per finire merita una visita l’artista Paolo Sabatini, uno dei massimi esponenti attuali della lavorazione dell’alabastro; il suo laboratorio è in via Porta dell’Arco e vederlo all’opera è davvero un’esperienza piacevole.

Passeggiata a Volterra
Piazza dei Priori foto di J.C.-Benoist
Piazza dei Priori foto di J.C.-Benoist

Punto di partenza ideale è la Piazza dei Priori. La piazza colpisce per le sue forme essenziali e severe ed è dominata dalla facciata del Palazzo dei Priori, il più antico palazzo comunale della Toscana. La prima pietra fu posta nell’anno 1208 dal maestro Riccardo e i lavori furono terminati quarantasei anni dopo, quando il podestà era Bonaccorso Adimari. Oggi è la sede del municipio. La facciata si caratterizza per la presenza di bifore romaniche e, al primo piano, cinque bifore ogivali risalenti alla seconda metà del XIII secolo; le terrecotte smaltate e gli stemmi che campeggiano in ordine sparso sono di grande pregio ornamentale e rappresentano la memoria storica dei priori che hanno governato la città. Il Palazzo è sormontato dalla torre che fu parzialmente ricostruita nel 1846 in seguito a un terremoto.

Il Duomo
Il Duomo

Dalla piazza dei Priori si prosegue verso il Duomo, entrando dalla porta secondaria e uscendo dal portale che si affaccia sulla piazza San Giovanni, caratterizzata dalla presenza del Battistero. Il duomo, la cui consacrazione risale al 1120, fu profondamente modificato nei secoli successivi quando è stato sottoposto ad interventi di ampliamento (nel Duecento) per opera di Niccolò Pisano e di cambiamento dell’interno trasformato con la suddivisione in tre navate nel Cinquecento. Gli ultimi interventi decorativi risalgono agli anni 1842-43. Percorrendo all’inverso la navata centrale, meritano particolare attenzione la scultura romanica (XIII secolo) in legno di pioppo intagliato della “Deposizione” (seconda cappella a destra) e il magnifico cinquecentesco soffitto a cassettoni. Nella piazza San Giovanni spicca il battistero dalla pianta ottagonale costruito nel XIII secolo, impreziosito dalla presenza, al suo interno, del fonte battesimale realizzato nel 1502 da Andrea da Sansovino.

Capolavori d’arte
Volterra Una sala della Pinacoteca
Una sala della Pinacoteca

Proseguendo sulla via dei Sarti ci avviciniamo ad uno dei momenti forti dell’itinerario volterrano. Nel palazzo Minucci Solaini, oltre al Museo Civico, c’è la Pinacoteca. Dal chiostro le scale conducono alle sale dei piani superiori dove non si può che rimanere in silenzio di fronte a tanta arte: dai dipinti del Ghirlandaio a quelli del Signorelli, passando per le scuole senese e fiorentina. Il momento magico scocca davanti alla “Deposizione” di Giovan Battista di Jacopo, noto come il Rosso Fiorentino, che dipinse questo capolavoro nel 1521; l’accentuato cromatismo, l’armonia delle forme che testimonia uno spiccato realismo e lo spirito di straordinaria suggestione che evoca quest’opera sono elementi che da soli, giustificano una visita a Volterra. Completano il viaggio volterrano la Fortezza, nella città alta, e il Teatro Romano che si può ammirare dalla via Lungo le Mura del Mandorlo, alle spalle del Palazzo Incontri-Viti.

Info:  http://www.comune.volterra.pi.it/home

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