“Sapessi come è strano, sentirsi innamorati a Milano“. La canzone di Memo Remigi ottiene grande successo, negli anni Sessanta, specie nell’interpretazione di Ornella Vanoni.
Timide adolescenti, strizzate nei loro cappotti, percorrono il quadrilatero della Galleria Vittorio Emanuele mano nella mano all’amato, magari regalandosi una sosta culinaria al Savini. Oppire un te delle cinque in via Montenapoleone dal rinomato Cova, che offre anche una sontuosa scelta di pasticcini e tisane.
Passa il tempo. Milano consolida il suo ruolo divenendo la capitale economica d’Italia. Nascono grandi aziende e la città della “Madunina” si trasforma in un’icona di riferimento per il mercato europeo.
La moda, in primo luogo, è il veicolo con il quale sbarca in Italia una ventata cosmopolita e Milano diviene il teatro ideale per consolidare la leadership dei più bravi o intraprendenti.
Milano da bere
Rampantismo, ricchezza e donne sempre più belle costituiscono le cifre dominanti degli anni Ottanta nei quali la metropoli viene riassunta nello slogan “Milano da bere“.
In quegli anni, infatti, liberi da costrizioni ministeriali, le serate scorrono felici e le parole diventano più fluide gustando un Martini: secco, servito con poco ghiaccio e una sola oliva, alla maniera di Sean Connery e Roger Moore, interpreti dell’agente segreto più seducente della storia della celluloide.
Epicentro degli incontri, l’ultimo piano di un grattacielo, sede di un locale dalla vista eccezionale affacciato sulle guglie del Duomo. E’ la Terrazza Martini che prende il nome dalla Casa che produce l’omonimo aperitivo, terrazza frequentata da modelle e uomini d’affari. D’altronde, di là da venire sulla scena il fascinoso George Clooney hollywoodiano, non è escluso che qualcuno abbia dato vita, con notevole anticipo sui tempi, al famoso tormentone: “No Martini? No party!”
Passerelle? No, ritrovi!
Seguono gli anni Novanta, intrisi di contraddizioni, che confermano la leadership modaiola meneghina. I locali si moltiplicano a tutto vantaggio di un’appropriazione collettiva. Prende così corpo una curiosa equazione: vesto in un dato modo, frequento un certo tipo di locali, dunque appartengo a una precisa categoria. Si sviluppano le offerte nella zona che gravita intorno a Corso Como. Grandi discoteche, raffinati piano-bar e spazi adatti a una clientela disposta a spendere.
Dedicati a un target alto, sono luoghi di ritrovo che vengono commissionati e avviati dai protagonisti del settore dello spettacolo. Tutta Milano di notte diviene un fermento in cui gli esponenti della moda cercano di acquisire gli spazi più curiosi.
Simona Ventura inaugura il suo Basilico, ritrovo Vip di Via Rastrelli, mentre consolidate “griffes” aprono bar e caffè spesso adiacenti i loro “showroom”.
Fondatore di questa corrente, per quel che concerne il panorama milanese, è Armani con l’omonimo “Spazio” al numero 31 di Via Manzoni. Conciliando in un solo luogo due diverse soluzioni, ottime per un aperitivo o per una cena raffinata: il Nobu e l’Emporio Armani Caffè, espressione, il primo, dell’attaccamento dello stilista allo stile orientale. Nato da una collaborazione fra Giorgio Armani e Nobuyuki Matsuhisa, considerato il miglior chef giapponese degli ultimi dieci anni, grazie alla cucina “new style” proposta nei suoi ristoranti.
Il complesso comprende anche un Caffè dove la ricerca della perfezione biologica regna sovrana. Misticanza dall’Adriatico, olio di Siena, formaggi scelti piemontesi, zafferano in pistilli, sono alcuni degli ingredienti del ricco menù rigorosamente “bio”. “Location”. Originale e frequentazioni glamour quelle del Just Cavalli Cafè, immerso nel suggestivo giardino ai piedi della Torre Branca, raggiungibile attraverso una passerella di faretti a terra, fra le grandi querce del parco Sempione.
Ultimi in questa corsa, la consolidata coppia di Dolce e Gabbana che a Legnano hanno posto la loro griffe sul Post Garage, un tempo officina di mille e duecento metri quadri e, dal 1999, bizzarro ristorante vestito di tessuti “animalier”, sedie dorate e maliziosi specchi. Per un “vedo-non-vedo” vietato ai minori di diciotto anni.
Milano Duemila e oltre
Un altro salto nel tempo per arrivare ad oggi: alla Milano che da cinque anni ho l’onore (e quasi mai l’onere) di vivere. Ragion per cui la voglio raccontare viziata dai miei occhi, offrendo una prospettiva orgogliosamente soggettiva.
Immaginiamo allora che siano le sette e che, come ogni sera, Cologno Monzese si allontani alle mie spalle. Imbocco la metropolitana verde che mi porterà fino a Loreto.
Da lì la scelta: tra un serata all’insegna del glamour o un’altra tra i fumi dell’intellighenzia. Opto per il fashion a tutti i costi.
Allora via al doveroso rito dell’happy-hour. Scendo a Garibaldi, attraverso Viale Sturzo e mi immetto in Corso Como.
L’appuntamento è al “10”, tempio della tendenza, dove l’estro di Carla Sozzani ha trasformato due piani di un edificio in un sacello della raffinatezza.
Mi siedo nel “jardin d’hiver” ricavato all’interno del cortile, sorseggiando un “mojito” e dedicandomi all’insano piacere del dolce far nulla. Lo spazio di un cocktail ed è già ora di ripartire. Abbandono il “10” e mi butto nella notte milanese. Intanto Corso Como si riempie, mentre un locale più di altri attira la mia attenzione.
È il “TH”, che occupa il retro dell’Hotel Executive, dall’atmosfera soft e dalla musica “lounge”. Sarà per la fauna che lo popola, ma i ricordi vanno ai tempi in cui lavoravo in RAI e la cornice del dopolavoro era data dal Roialto, piano bar in stile coloniale dai drink sostenuti e dal buffet generoso a costi contenuti, o dalla Galleria Meravigli, raffinata cornice nei pressi del Duomo dove è possibile libare calici di ambrosia sdraiati su un triclinio.
Lascio le vie della memoria e procedo alla ricerca di un luogo dove mettere qualcosa di effettivo sotto i denti. Anche in questo caso si prospetta un bivio: un rassicurante piatto di risotto allo zafferano, magari accompagnato dai profumi di un osso buco o una pizza al trancio con mozzarella filante? In sintesi: l’Osteria della Pesa o la Pizzeria di Porta Garibaldi?
Indecisa, come novella Amleto, punto verso il piatto apparentemente meno impegnativo. D’altronde la notte è solo agli inizi e la cucina tipica lombarda potrebbe influire negativamente sul mio slancio. Mi dedico a un trancio dalla farcitura doppia e in poco meno di un’ora, con lo stomaco ampiamente appagato, esco dal locale imbattendomi in una coppia di colleghi in coda davanti al Casablanca.
L’altra Milano “by night”
Date le gelide temperature propongo loro di svernare al Loolapaloosa, “irish pub” dove è lecito – anzi richiesto da parte dei barman – ballare sul bancone.
Birre bionde e rosse sono le più gettonate del locale e vengono servite in boccali ad un discreto rapporto qualità-prezzo.
La notte porta consiglio? Certamente porta discoteche. Hollywood, Tocqueville e Casablanca completano il corollario di offerte per i nottambuli, alla ricerca dell’alba perduta, mentre io desisto. Alzo bandiera bianca e do forfait.
E se avessi optato per una serata radical-chic all’insegna di uno svago a prezzi contenuti? I Navigli mi avrebbero offerto la cornice ideale per spendere qualche ora a pochi Euro. Allora sarei andata a bere un bicchiere di ruspante Freisa al Bar Rattazzo, in corso di Porta Ticinese.
Sempre lì, mi sarei lasciata sedurre dai piaceri papillo-gustativi del culatello di zibello all’Antica Osteria Toscana e avrei deliziato le mie orecchie con una “jam session” di musica jazz sul barcone delle Scimmie per una notte infinita, dal tramonto all’alba.
Anche se questa è un’altra storia. Anzi, un’altra notte!
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