Venerdì 29 Marzo 2024 - Anno XXII

Un saluto a Karol Wojtyla

Visto che si sta scrivendo di un Papa (per di più defunto) è meglio procedere a qualche premessa per essere meglio capiti ed evitare malintesi. In primo luogo non è anomalo che una rivista di Viaggi & Turismo dia l’Addio a un vecchio Signore che di posti nel mondo ne ha visti ben più dei tanti vantati da eccellenti Globetrotters. Pertanto Karol Wojtyla era uno dei nostri. Inoltre, chi scrive queste righe, è un non credente (o lo si chiami come altro si voglia: agnostico, empio, libero pensatore, miscredente, va bene tutto). Superfluo, infine, precisare (ma non si sa mai: … Leggi tutto

Un saluto a Karol Wojtyla

Visto che si sta scrivendo di un Papa (per di più defunto) è meglio procedere a qualche premessa per essere meglio capiti ed evitare malintesi. In primo luogo non è anomalo che una rivista di Viaggi & Turismo dia l’Addio a un vecchio Signore che di posti nel mondo ne ha visti ben più dei tanti vantati da eccellenti Globetrotters. Pertanto Karol Wojtyla era uno dei nostri. Inoltre, chi scrive queste righe, è un non credente (o lo si chiami come altro si voglia: agnostico, empio, libero pensatore, miscredente, va bene tutto). Superfluo, infine, precisare (ma non si sa mai: chi sta fuori dal branco e fa la stecca nel coro è sempre sospettato e volutamente frainteso) che Giovanni Paolo II è stato un grande personaggio di enorme spessore morale, un gigante del pensiero e un uomo dal magnifico comportamento.
Tutto ciò premesso, della grande kermesse (perché tale è stata, al di là dell’aspetto religioso) vissuta a Roma tra il 2 e l’8 aprile – dall’agonia ai funerali del Papa -, tre vicende meritano attenzione e un commento.

Istituzioni, politica, fede

Un saluto a Karol Wojtyla

Tanto per cominciare dal nostro orticello, la cosiddetta gente (composta, semplice, veramente addolorata e senza piaggerie) ha fatto miglior figura della classe politica e di quanto riferibile alle istituzioni (statali e non) del Belpaese.
Le pecche di questi ultimi? Qualcuna, tant’è che non pochi dopo le imponenti maratone giaculatorie di Bruno Vespa e i forse non genuinissimi pianti dirotti di altri mezzibusto tivù, qualche moto di stanchezza o di insofferenza se lo sono lasciato scappare. Se vogliamo vederla politicamente – e fino a prova contraria – in base alla Costituzione della Repubblica e dopo la firma dell’ultimo Concordato l’Italia è un Paese laico, aconfessionale, non esiste (come accadeva fino a pochi lustri fa), non c’è più una religione di Stato.
Se è vero che nello Stivale la religione cristiana cattolica supera percentualmente di gran lunga tutte le altre fedi (messe assieme), è anche vero che non è l’unica e che almeno a livello costituzionale non è più uguale delle altre (anche perché il diritto non è la politica, e non si fa la conta con maggioranze o minoranze).
In termini puramente astratti e teorici, un italiano musulmano è uguale a un italiano ebreo e a un italiano cattolico. Ne dovrebbe conseguire che, in occasione di avvenimenti coinvolgenti una religione, chi rappresenta lo Stato dovrebbe avere le sue gatte da pelare tra le istituzioni (laiche) che rappresenta e la sua fede religiosa. Ma Parigi val bene una messa eppertanto van bene anche gli elogi politici forse più interessati che sentiti, gli appelli di Billè invocante pietà per i pellegrini ai commercianti romani che vendono una bottiglietta di minerale a 2 euro, la farisaica unanimità di allenatori e altri capataz del Calcio ritrovatisi con i giocatori già in mutande e le partite rinviate per rispetto (ma solo in Italia, l’Ente calcistico europeo si è dichiarato al di fuori delle religioni).
Basta quindi con i distinguo, salvo permetterci una domanda: ma il giorno che tirerà le cuoia il Presidente della Repubblica Italiana (quindi il Simbolo, indistintamente di tutto il Popolo Italiano), quanti giorni di lutto si stanzieranno, quanti nostop televisivi si monteranno, quante manifestazioni culturali e sportive si annulleranno?

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Commozione e ammirazione per la gente di Polonia

Foto concessa dalla Polizia di Stato; fotografo: Massimo Sestini
Foto concessa dalla Polizia di Stato; fotografo: Massimo Sestini

Priva di calcoli ed esibizionismi bensì chiara, netta, struggente – si permetta, eroica – è stata invece la vicenda del popolo polacco di fronte alla scomparsa del suo Papa. Perché non commuoversi, non aver vergogna di spendere una lacrima di fronte a tanto valore (termine esatto per descrivere la qualità di un popolo)? Commozione e ammirazione dovute soprattutto da chi – appassionato di Storia – conosce la storia della sfortunata Polonia. Una terra martoriata popolata da gente mite, legata alle sue tradizioni, profondamente onesta e religiosa (come possono esserlo i fedeli di periferia, lontani dagli interessi di bottega della Casa Madre), sempre crudelmente bastonata dalla Storia. Negli ultimi due secoli (ma anche prima non è che andasse meglio) la Polonia di coccio è finita schiacciata tra due colossi di ferro. A metà dell’800 cominciò lo Zar a provvedere che l’ordine regnasse a Varsavia dopodichè (salvo la breve parentesi di libertà tra le due Guerre Mondiali) pur di cancellare il Paese si misero d’accordo persino Hitler e Stalin (che, fatto fuori il collega, pensò bene di fare della Polonia un satellite dell’Impero russo).
Riconquistata l’indipendenza alla caduta del Muro di Berlino, i Polacchi si sono ritrovati – quasi a titolo di infinitesimale ricompensa per i torti subiti – con un Papa di casa loro che li ha aiutati non senza dare loro una dignità poco presente in tante genti dell’est Europa. Adesso eccoli di nuovo orfani: chapeau e che dio gliela mandi buona.

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