Giovedì 18 Aprile 2024 - Anno XXII

Biella, sul filo della lana

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Una volta la strada che corre “in costa” era percorsa da carri carichi di lana. Oggi è “la panoramica”, e si snoda tra colline verdi e belle case mentre le auto sfrecciano sulla statale, più recente e più in basso

Biella Il mito di Arianna, Enrico Prampolini, 1945
Il mito di Arianna, Enrico Prampolini, 1945

Una volta la strada che corre “in costa” era percorsa da carri carichi di lana. Oggi è “la panoramica”, e si snoda tra colline verdi e belle case mentre le auto sfrecciano sulla statale, più recente e più in basso. Del resto, da queste parti di lavoro nei lanifici a Biella c’è n’è sempre di meno. Resiste qualche grandissimo nome, mentre i più piccoli sono via via costretti a chiudere dalla concorrenza indiana e cinese, che non lascia scampo. Così si perdono lavoro e conoscenza, un patrimonio di tecnica e gesti, un sapere che non trova più chi ne raccolga l’eredità.

Proprio con l’obiettivo di dare spazio a una tradizione da rivalutare, preservare e tramandare è nata l’idea de “Sul filo della lana”, mostra da poco conclusa e che ha riscosso grande successo di pubblico, curata da Philipphe Daverio e dedicata alla lana e al suo intrecciarsi, ora metaforico ora concreto, alla quotidianità del vivere umano. Che in queste valli si fa ancora più stretto, ne segna la storia di grande prosperità nel passato e di grandi fatiche oggi.

Il territorio in “mostra”
Biella Museo del Territorio Il chiostro
Museo del Territorio Il chiostro

Non è un caso, quindi, se la mostra è stata pensata e allestita in tre luoghi differenti: il Museo del territorio biellese, il Lanificio Pria a Biella, e la Fabbrica della Ruota a Pray, a una trentina di chilometri da Biella. A questi spazi corrispondono tre momenti diversi della mostra: il Mito, la Fantasia, la Fabbrica.
L’intento e il risultato sono duplici: da una parte spingere il visitatore a muoversi in un contesto fisicamente allargato che “costringe” a vedere luoghi che (forse) sfuggirebbero a chi visita qui le mete più tradizionali (come il Santuario di Oropa, per citarne una).

D’altro canto si recuperano luoghi insoliti come ex fabbriche in disuso per farne il segno concreto di una trasformazione possibile. Sulle tracce dunque dei montoni dorati, simbolo della mostra, eccoci a Biella, alla ricerca di immagini, suoni, odori, ricordi.

Biella e il Mito
Biella Arianna da a Teseo il filo, Pelagio Pelagi, 1814
Arianna da a Teseo il filo, Pelagio Pelagi, 1814

Si parte dal Chiostro di San Sebastiano a Biella (Museo del territorio biellese) esempio di Rinascimento italiano perfettamente conservato, dove tutto è grazia e pulizia di forme e colori.
Qui si colloca la sezione in qualche modo più classica della mostra, che pure classica non è nel suo accostare reperti archeologici e capolavori classici di pittura a opere contemporanee, percorsi scenici e installazioni. È un viaggio dentro la mitologia: Arianna e il suo filo, fra tutti il più famoso forse, che dorme ancora ignara dell’abbandono di Teseo; Aracne al telaio, sicura di vincere la permalosa Artemide; le Parche affaccendate a tener di conto i giorni degli uomini sui loro telai; Penelope che tesse una tela e con essa il proprio inganno.

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La lana sembra parlare 
Biella Penelope, Domenico Beccafumi, 1519
Penelope, Domenico Beccafumi, 1519

Ma è anche un viaggio dentro ai simboli che alcuni uomini attinsero dalla mitologia, come fece Filippo il Buono con il mito del Vello d’oro, a cui si ispirò per creare l’Ordine del Toson d’Oro. Primi passi che si fermano in un allestimento singolare e affascinante: nell’oscurità di neri pannelli, si schierano i libri mastri delle produzioni laniere degli ultimi decenni, cui fanno da contrasto innumerevoli grovigli di matasse colorate, lane sottili e più spesse, cordoni, fili, trecce.

Il passato e il suo colore. E poi ancora tessuti che raccontano l’umanità e la sua storia, fatta di uomini comuni e non: il cappotto di Churchill e quello di J.F. Kennedy, il poncho di Garibaldi e una “camicia rossa”, i maglioni di Aran e i porta “enfant” andini, gli splendidi tappeti kilim con motivi di oltre quattro secoli fa e un recente tappeto afghano che racconta la guerra contro l’URSS: fiori e arabeschi si sono trasformati in carri armati e cacciabombardieri.
Sotto una tenda berbera e uno yurta delle steppe centro-asiatiche, dopo quadri, sculture, abiti e fotografie, ritroviamo l’altro bandolo della matassa, quel filo di lana che ci guida verso la seconda tappa: la Fantasia del Lanificio Pria.

Biella e la Fantasia
Biella Lanificio Pria
Lanificio Pria

Già convento medievale, il Lanificio Pria fu trasformato dai Boussù in fabbrica manchesteriana a metà del XIX secolo. Sul finire dell’Ottocento subentrarono i Pria, che vi rimasero fino alla chiusura. L’edificio sorge sul torrente Cervo, che proprio qui si divide per un affioramento roccioso che ne ostacola il corso. Si dice che sulla piccola isola che galleggia nel mezzo, sia stata giustiziata Margherita, compagna di Fra’ Dolcino: lui fu l’ultimo dei grandi eretici medievali e trovò la morte in queste valli sul finire del Trecento.

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Una trentina di pinguini a grandezza naturale, celesti e con un sciarpa rossa, se ne stanno appiccicati sulla facciata del lanificio, al Ponte della Maddalena, mentre un’altra fila degli sconcertanti ospiti si allunga dove un tempo sorgeva il Ponte delle Signore, dondolandosi incuranti proprio sul torrente.

Arte contemporanea
Biella La fila di pinguini dove un tempo sorgeva il Ponte delle Signore
La fila di pinguini dove un tempo sorgeva il Ponte delle Signore – foto joiedevivre

L’edificio è severo e imponente, e la mostra si allarga su ben quattro piani e mezzo dei cinque o sei originari. Qui è l’arte contemporanea a dominare, negli allestimenti come nelle opere in mostra: dall’enorme balena in feltro sui cui è possibile rotolarsi e avvoltolarsi come meglio si crede, al labirinto di alte balle in lana grezza o lavorata; dalle gorgoglianti vasche di tintura rossa (le fil rouge), dentro l’odore umido di lana bagnata, fino ai Man Ray e alle diverse qualità di lana esposte all’ultimo piano, immerse in una luce chiara e cristallina cui fa da sfondo il rumore dell’acqua, continuo e inarrestabile.

In una sala lo Studio Azzurro ricrea, con la sua installazione, l’atmosfera dei giorni in cui lì si lavorava: sui teloni bianchi che si protendono tra le colonne, i gesti del tessere e dell’ordire si ripetono quieti e precisi, trasfigurati dalla poesia del ricordo, al ritmo sordo dell’acqua contro le rocce bianche dell’alveo e del battere perduto dei telai.

Biella e la Fabbrica
"Fabbrica della ruota" - foto Gianni Iannitto
“Fabbrica della ruota” – foto Gianni Iannitto

Alla fabbrica della ruota ci si arriva percorrendo per circa trenta chilometri la statale che porta a Borgosesia. Prima di arrivare a Pray si incontrano tanti altri lanifici (pochi quelli ancora attivi) contornati da altri edifici che, un tempo, facevano parte dei complessi che nascevano intorno al luogo di lavoro.
Veri e propri villaggi, nascevano e si organizzavano in modo da avere il lanificio come fulcro, attorno a cui ricreare altre strutture utili. Come, per esempio, per il lanificio Giletti, a poca distanza dal quale sorge l’omonimo asilo.
Non deve stupire questa moderna praticità: era un modo semplice ma efficace di rispondere all’esigenza di un territorio che di filatura viveva da secoli: già nel 1245, infatti, l’attività di lanaioli e tessitori era stata regolamentata dalla città di Biella.

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Il lanificio Zignone venne costruito nel 1878 e oggi è l’unico esempio in Italia di trasmissione teledinamica dell’energia: prodotta da due ruote in ferro collegate da un cavo d’acciaio, è una specie di enorme bicicletta mossa dall’acqua. Fu attivo, se pure con alterne fortune, fino al 1966. Visse le ristrettezze di due guerre e di quello che ci fu in mezzo, compresa la follia dell’autarchia con la produzione di “lanital”, a sostituzione della lana, e i disastri dell’alluvione che nel 1927 danneggiò buona parte della zona. La seconda alluvione, ancor più grave, fu nel 1968, e in qualche tratto di strada ancora se ne vedono i segni. Al lanificio Zignone, però, tutto era fermo già da due anni.

Nuova vita per le antiche fabbriche
I volti del lanificio Zignone Copyright © 2015 - Centro Studi Biellesi
I volti del lanificio Zignone Copyright © 2015 – Centro Studi Biellesi

La seconda occasione è arrivata con il recupero di questi spazi a visite, convegni e mostre, come quella de “Sul filo della lana”.
Studio Azzurro, ancora una volta attraverso suoni, immagini e odori, ricrea un luogo in cui si sovrappongono le voci dei protagonisti di un’epoca da non dimenticare.
Si intrecciano così l’andare delle macchine, il batti e ribatti dei telai, il rollio dei fusi. Scorrono le immagini della vita di fabbrica in un filmato del 1912 appena restaurato, che riprende tutto il ciclo di lavorazione della lana e a cui si sovrappongono scene di vita familiare degli Zignone.

In sottofondo, delle voci raccontano: sono le voci degli operai che sono passati di qui, in registrazioni raccolte dalla CGIL. C’è un’anziana donna che spiega come non si potesse mai alzare la testa dal lavoro né rispondere a un’osservazione, anche se sbagliata e ingiusta. Lei lo aveva fatto, e per questo era stata cacciata. Sembra di ascoltare un racconto di mille anni fa. Invece a Biella era solo ieri.

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