Spese extra, costi aggiuntivi, tasse, mezzucci, escamotage e gabelle facenti incacchiare chi viaggia …. (tomo secondo)
Nel trattato precedente si dottorò sull’antipatica faccenda delle “spese (ex tasse) di iscrizione”, ciliegina invero indigesta per chi si appresta a saldare il conto finale di un viaggio e non si attende ulteriori costi aggiuntivi. Si tratta poi di una furbata che costringe a sgarrare anche gli operatori più ligi e più sensibili ai sani comportamenti: il tour operator che “spostasse” l’importo delle “spese di iscrizione” dalla loro barbina posizione di “chiusura della pratica” nella quota di partecipazione al viaggio, si ritroverebbe infatti a “essere più caro” perché al cliente sfuggirebbe il sullodato gesto di buon gusto.
Zero, Zero (il tasso TV). E’ solo un sogno!
Ma siccome non c’è mai limite al peggio, ecco che le deprecatissime “spese di iscrizione” diventano caste educande appetto a quelle grandi peccatrici dell’attuale Turismo rispondenti al nome di “tasse aeroportuali” dette anche “di imbarco” (a dimostrazione che con tutta quella ridda di spese varie ed accessorie, cifre, supplementi, deregulation ecc. ecc. – nota anche come “giungla tariffaria” l’attuale “mundillo” dei viaggi & turismo si è trasformato in uno schizofrenico Monopoli).
Come Carneade, cosa sono, di cosa sono fatte ‘ste maledettissime “tasse aeroportuali” o anche (almeno un tempo) “di imbarco”? Elementare Watson, costituiscono l’importo totale (più margine, guadagno ovviamente giusto e sacrosanto, un po’ meno se esoso ed “esatto” da società di capitale pubblico e non privato) dei costi dei servizi prestati in aeroporto a chi parte e a chi arriva.
Se mai – breve inciso – si volesse capire subito perché queste “tasse” sono sì tremendamente care, basti dare una scorsa ai ricchissimi bilanci delle Società che si cuccano le sullodate “tasse” e al fatto che le loro azioni sono appetitissime (vedi vicenda “vendita Sea e Comune di Milano”).