Si percorre l’autostrada in direzione di Torino, si esce allo svincolo di Santhià e via verso Biella. Superata la capitale della lana, ci si affaccia su un palcoscenico naturale. Protetto e avvolto da un bosco di faggi si nasconde un anfiteatro pronto a prendere vita, come sempre accade a cadenza quinquennale, nella celebrazione del ricordo della Passione di Cristo.
È Sordevolo, che deve il nome all’Elvo, torrente che lambisce e attraversa nella sua lunghezza il paese. Qui, un pugno di case sparpagliate si apre al sole come un sorriso contornato di colline dalla invitante dolcezza. Sono le sette di sera. Un refolo colpisce un fariseo che sta ripassando le battute della sua parte. È iniziato il conto alla rovescia per l’alzata del sipario. Tra due ore si va in scena.
Dai riti del Tevere a quelli dell’Elvo
Stesse battute, stesso rituale e naturalmente stessa foga per raggiungere una preparazione impeccabile; tutto, dal lontano 1814. Questo sembra infatti essere l’anno in cui fu celebrata la prima rappresentazione della Passione.
Sebbene i dati relativi all’origine siano persi nell’archivio comunale di Biella; un’accurata analisi degna di un topo di biblioteca potrebbe trovare, abbandonate tra le scartoffie municipali, copie delle autorizzazioni concesse ai pubblici spettacoli. Questo perché si tratta di drammatica popolare supervisionata dalla Chiesa, per quel che concerne la sua linearità col dogma, ma che ricade sotto l’influenza laica riguardo al resto.
Un bollettino, datato 1914, parla dei festeggiamenti per il primo centenario della Passione. Il mistero, però, a questo punto si infittisce. La notizia non informa sulla tipologia di Passione in questione. Esistono, infatti, due tipi di Passione: la versione “under” interpretata da bambini e quella “over”, rappresentata dagli adulti. L’iter potrebbe essere stato il seguente: i ragazzini, protagonisti nella fanciullezza di una rappresentazione scolastica, l’avrebbero perpetuata da adulti in una forma più matura. Fu così introdotta la rappresentazione del Gonfalone, recitata un tempo al Colosseo di Roma, il cui testo adottato è tuttora in uso. Come questa stesura dai colli romani abbia raggiunto le valli del biellese non è dato di conoscere. E’ bello immaginare che siano state le mani di un mistico, di un mercante o forse di un avventuriero a condurre dalle rive del Tevere a quelle dell’Elvo le rime del martirio di Cristo.
Sordevolo, un paese in scena
Così Sordevolo, ogni cinque anni, diventa un palcoscenico a seicentoventi metri sul livello del mare. Allo scoccare della quinta estate le sue mille e trecento anime, nel nome della passione che accende il loro cuore, trasformano il silenzio del paese in una voce corale; una sorta di inno comune che scalda la valle. Su uno spazio di quattromila metri quadri è allestita un’istantanea della Gerusalemme dell’anno trentatré.
La reggia di Erode, il Sinedrio, il pretorio di Pilato, l’orto degli ulivi, il cenacolo e persino il monte Calvario sono i set su cui si muovono oltre quattrocento persone tra attori e comparse, per uno spettacolo della durata di oltre tre ore, composto da ventinove scene, al netto del prologo.
Diamo qualche numero: escluse le settantacinquemila ore lavorative dei sordevolesi, che rendono possibile il miracolo della Passione lavorando a titolo gratuito, per allestire la “location” vengono utilizzate sessantotto tonnellate di materiale vario, ottocento metri di rete metallica, diecimila chilogrammi di gesso per coprire il Golgota, diecimila metri di cavi elettrici, una miriade di microfoni sparsi lungo l’area della neo-Gerusalemme e altrettanti amplificatori e altoparlanti.
Sordevolo diventa una fucina dal mese di febbraio
Ottocento sono i metri di tessuti e broccati per i costumi a cui va aggiunta la realizzazione di almeno trecento paia di calzari di varie misure confezionati, a partire dal mese di febbraio, da un artigiano del paese. Unico supporto esterno è quello dato dalla ditta che rifornisce Cinecittà, che provvede alle bardature dei cavalli, mentre questi ultimi provengono da maneggi ubicati in zone limitrofe. Tutto il paese diventa una fucina per ripercorrere i punti salienti di una leggenda antica quanto la storia dell’uomo. La trama è nota: sul canovaccio romano vengono ripercorse in rima le tappe della via Crucis. O almeno questo è ciò che vede il pubblico, sebbene sia dietro le quinte il luogo dove si consuma il vero spettacolo.
In principio era il Verbo…(anche dietro le quinte)
“ …e il verbo era presso Dio. Il verbo era Dio”, echeggia il “voice over” dall’alto del Calvario. Mentre il pubblico basito osserva con incanto i giochi di luce proiettati sul Golgota, dietro il sipario si consuma una rivoluzione. Coperti dallo scheletro metallico della scenografia alta oltre quattro metri, circa quattrocento tra protagonisti e comparse si muovono con circospezione. La tentazione di posizionare una telecamera ad infrarossi, nel degno rispetto della logica dei “reality” tanto in voga di questi tempi, è grande: un vero peccato non averne una a portata di mano.
Alla battuta: “…Quel glorioso Iddio che tutto regge”, gli attori che interpretano il primo Cristo e la prima Madonna impallidiscono. Già, perché per evitare che si creino antagonismi e soprattutto per preservare la rappresentazione in caso di malore da parte di uno dei protagonisti, gli attori principali sono scelti in numero di tre: in piena consonanza con il principio biblico dell’uno e trino. Saranno loro i primi a entrare e perciò i primi ad assaporare il terrore di dimenticare una battuta.
Parole “vissute”, più che recitate
“Non è paura – dice una delle tre Madonne – è una specie di timore, una cosa che senti dentro. Però poi passa”. Da attori consumati non mancano i piccoli crucci che rendono ogni rappresentazione unica e irripetibile.
“Io – confida quasi sottovoce uno dei tre Cristi sono decisamente agitato. Ho un’ansia interna che mi rode, ma quando sono sulla scena, fortunatamente non ci bado più”.
Parla con spiccata inflessione piemontese il nostro Cristo: caratteristica che, nel suo essere divino, lo rende ancora più umano. Intanto l’azione procede, scandita dal ritmo delle scenografie che si susseguono veloci.
L’Ultima Cena con gli apostoli
Si avvicina il momento dell’Ultima Cena. Cristo e i dodici apostoli si posizionano intorno al tavolo del tradimento mentre, riparati dal sipario, i diavoletti si lanciano appesi sui supporti di ferro del Calvario, supplicando di essere immortalati dai fotografi, giunti per un reportage sull’anti-passione. Mentre gli apostoli ripassano la parte, i bambini, finte icone del male, corrono tirandosi le corna e scappando sotto la gonna delle pie donne.
Un silenzio breve precede la scena della Crocifissione e la spartizione della tunica. Poi Gesù muore; la drammaticità del momento investe il pubblico. Anche per oggi l’epilogo della Passione è arrivato; la folla a Sorvedolo, si ricompone sotto lo scroscio di un applauso fragoroso. Qualcuno, di sottecchi, si slaccia i calzari infilandosi l’ultimo modello di Nike mentre Gesù e Giuda si lanciano complici occhiate che preludono una notte senza fine, da amici di lunga data quali sono.
Qui finisce la commedia
C’è chi dice che la Passione di Sordevolo somigli alla rappresentazione bavarese della città di Oberammergau. In realtà l’unico elemento che le accomuna è la trama. Diversa è, invece, l’impostazione. Là gli attori popolari e gli artigiani che vi partecipano sono tutti finanziati dallo Stato, mentre nella Passione piemontese protagonista è la gente del popolo, priva di una preparazione specifica nonché vincolata agli orari di un’attività lavorativa quotidiana.
Gente che rende unica e inimitabile la Passione, in grado di avvolgere il paese che la ospita in un mistero d’amore lungo duecento anni.
Alla fine di Settembre, Sordevolo è tornata al suo silenzio. Il sipario è calato su questa landa dell’anima, dove le ore si annoiano a battere il sonnolento ritmo delle fienagioni e delle mungiture. In attesa della prossima passione, il cui appuntamento è tra cinque anni, nel 2010.
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