Venerdì 11 Ottobre 2024 - Anno XXII

Sul “pack” della Terra di Baffin

Iqaluit-la-Baya-foto-di-Sebastian

In luglio la canadese Baia di Frobisher è quasi del tutto sgombra dai ghiacci, ma da novembre a fine maggio si trasforma in una desolata lastra gelida, spessa quattro metri. Un solido appoggio per slitte, skidoo, cani e mountain-bike

La cittadina di Iqaluit, Baia di Frobisher
La cittadina di Iqaluit, Baia di Frobisher

“Sii prudente e attento al blizzard”, mi suggerisce Michele Rizzi, connazionale che vive e lavora a Iqaluit. “La tempesta polare è terribile, se perdi l’orientamento sei finito!”. Certo, il blizzard è micidiale. Chi ha avuto modo di conoscerlo sa cosa voglio dire. Il vento soffia di traverso e se ti va bene le raffiche viaggiano intorno ai 50/60 chilometri all’ora. Ma questo turbine può arrivare anche a 120 all’ora! Se la temperatura sfiora i -30, il vento la fa scendere a -60. Questo fenomeno viene chiamato “wind chill factor”; si tratta di una dispersione di calore causata dal vento. Ciò significa che il termometro segnerà la temperatura reale di -30 gradi, ma un essere vivente subirà un raffreddamento, dovuto all’evaporazione, corrispondente a -60 gradi!

Vita dura, nel “luogo del pesce”

Una terra selvaggia e inospitale
Una terra selvaggia e inospitale

Iqaluit, che in lingua inuktitut (inuit) significa “luogo del pesce”, conta circa quattromila anime in tutto, il settanta per cento delle quali sono eschimesi.
E’ la più grande comunità della Terra di Baffin, isola vasta quasi due volte l’Italia. Luogo remoto, gelido d’inverno e freddo d’estate.
A Iqaluit la vita è dura. E anche molto cara. Togli orsi, foche, caribù e salmoni, ogni bene di consumo arriva quasi esclusivamente in aereo dal continente. Apex è un minuto agglomerato di casupole in legno. Vi arriva una strada lunga quattro chilometri, sterrata, ricoperta di neve e ghiaccio d’inverno, collega Apex ad Iqaluit. Uscire durante la stagione fredda per andare a cena da amici, percorrendo questa strada, può equivalere far ritorno a casa propria due giorni dopo. Il blizzard cancella ogni traccia, strada compresa. Apex è anche il mio punto d’arrivo. Circa settanta chilometri di “pack” luccicante mi separano dal luogo in cui mi sono fatto trasportare dalla motoslitta. Le previsioni danno bel tempo per almeno tre giorni; giusto quanto serve per farcela.
Le tracce dello skidoo costituiscono un riferimento per tornare. Comunque, difficoltà di orientamento non ce ne sono e pur disponendo di un binocolo, l’aria tersa e tagliente permette di vedere fino a oltre 120 chilometri di distanza!

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Pedalate nell’Artico

In tenda nell'Artico
In tenda nell’Artico

Pedalare sul pack è una straordinaria esperienza. Ciononostante è anche una grande fatica, così coperti per proteggersi e con quindici chili di zaino sulle spalle. La notte in tenda è agghiacciante, in tutti i sensi. Il termometro segna 41 gradi sotto zero. Poiché i picchetti non sono sufficienti, per precauzione colloco massi di ghiaccio attorno alla tenda e la piccozza è fondamentale per spezzarli a misura. Assenza totale di vento. Una notte sul pack non si può dimenticare. Gli scricchiolii della banchisa sono spaventosi per chi, come me, li sente per la prima volta. Fuori il cielo è vertiginosamente stellato. Chiuso, immobile nel sacco-letto, cerco di scacciare i pensieri negativi e il senso di smarrimento che provo. Quattro metri sotto, il mare palpita di vita. Chi ha detto che la “morte bianca” è la più dolce, perché ci si addormenta progressivamente, mano a mano che si riduce la sensibilità tattile? A mio parere può anche essere la più terribile, a causa della lucidità che si continua a conservare.

Attenti all’orso bianco!

Pedalare fra i ghiacci
Pedalare fra i ghiacci

In Artide vi è un solo animale veramente pericoloso: l’orso bianco.
E’ una bestia della quale tutte le piccole comunità artiche hanno paura e diffidano.  Rappresenta un vero pericolo, dato che è carnivoro. Ricordo quello che mi avevano raccontato. L’orso bianco percorre anche centinaia di chilometri per frugare nella spazzatura dei villaggi, attacca brutalmente e imprevedibilmente; ha una forza colossale, è mancino…. Gli inuit un tempo si difendevano cacciandolo con una tecnica particolare: il cacciatore si lasciava “abbracciare” dalla zampa sinistra dell’orso, ritto in piedi, e mentre la destra si muoveva nel vuoto, gli affondava nel cuore un lungo coltello.
Era anche consigliabile essere a torso nudo, per evitare che gli indumenti fornissero qualsiasi appiglio. Nella Baia di Frobisher orsi polari non ce ne dovrebbero essere; tuttavia, meglio non fidarsene troppo!

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Fatalismo Inuit

L'ospitalità del villaggio
L’ospitalità del villaggio

Apex ora è sempre più vicina e visibile, almeno così mi sembra.
Spesso non vedo più nulla per via della condensa ghiacciata che si forma all’interno degli occhiali. Sono fortunato, ancora un giorno di spinte e pedalate tra i ghiacci e avrò concluso la traversata. Quasi in coincidenza con il cambiamento delle condizioni atmosferiche. Ma ecco che ricompare il blizzard. Nel volgere di poche ore la baia scompare, sostituita da un grigio bagliore spettrale. La casetta in cui sono ospite per gli ultimi giorni in Terra di Baffin è calda, confortevole e situata dirimpetto alla baia. Grazie all’amico italiano che vive qui, conosco un po’ di gente locale. Strana gente gli inuit. Il loro modo di essere e di vivere mi sconvolge. La loro semplice filosofia di vita e di morte si può condensare in una sola parola: “ajurnarmat” che significa, più o meno, “non c’è niente da fare” o “così è”. Questa visione fatalistica delle cose e degli avvenimenti, li porta a non ricercarne mai le cause e, se è il caso, a non dolersene più di tanto.

Sul “pack” della Terra di Baffin
“Ajurnarmat” semplice filosofia Inuit

Anche il tempo è un concetto molto relativo. Domande come “quando” e “quanto è lontano” sono del tutto irrilevanti; si arriva quando si arriva e non prima, quindi inutile preoccuparsi. Ognuno fa quello che deve nel tempo necessario e tutta la loro esistenza è regolata dalle ferree e spesso crudeli leggi della sopravvivenza, stabilite dalla ineluttabile realtà di questa terra selvaggia e inospitale, dove solo una linea sottilissima separa la vita dalla morte. Prima che il Cristianesimo entrasse nel loro mondo, appena cinquanta o sessanta anni fa, gli anziani, per non essere di peso alla comunità, si lasciavano morire tra i ghiacci, così come le madri non esitavano a sopprimere, a parto avvenuto, un piccolo nato male. Dalla finestrella della casa di Apex, l’orizzonte ghiacciato si apre in tutta la sua incredibile, selvaggia e solitaria bellezza. Quando il pallido sole verso il mezzogiorno è più alto nel cielo, il riverbero diviene abbagliante e non si può che rimanere esterrefatti di fronte a tale spettacolo. E’ un mondo fantastico.
Ed è in questi momenti che viene da chiedersi quale sia il confine che separa il sogno dalla realtà, ciò che amiamo e cerchiamo. Un mondo nel quale “spazio” e “tempo” non significano nulla.

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