Lunedì 29 Aprile 2024 - Anno XXII

Papua Nuova Guinea, grande isola “down-under”

Alla scoperta (anche televisiva) di un paese-isola immenso e affascinante. Una terra fra le meno conosciute del pianeta, paradiso per i veri viaggiatori e per etnologi e antropologi

Paesaggio paradisiaco
Paesaggio paradisiaco

 

Se fossi vanitosetto (tipo il “Dr.” Giannino) mi farei chiamare “Gian Paolo Bonomi della Rai Tivù” (così facevano antan i cantanti di balèra dopo anche una sola esibizione ripresa da microfoni o telecamere dell’ex Eiar). “Voci dal Mondo” mi ha infatti intervistato sulla Papua Nuova Guinea, alias PNG, che ho provveduto a raccontare riferendomi a quanto scrissi (molto) tempo fa e ripropongo, beninteso opportunamente aggiornato, riveduto e corretto. Ahhh, beninteso, ‘resto’ Gian Paolo Bonomi.

PNG, seconda isola del mondo

Il monte Wilhelm
Il monte Wilhelm

Lo sanno tutti. PNG per i viaggiatori incalliti e per gli australiani che ne sono i virtuali colonizzatori altro non è che la Papua Nuova Guinea, uno dei pochissimi angoli del mondo non ancora totalmente occupato dalla nostrana, sedicente civiltà.

Un angolo del mondo, la PNG, di dimensioni decisamente grandi, più di 450.000 chilometri quadrati, più di una volta e mezzo il Belpaese e si parla soltanto della parte orientale dell’isola della Nuova Guinea, la seconda per superficie del nostro pianeta. Eccettuata qualche località costiera battuta dal commercio marittimo, nell’interno dell’isola – oltretutto assai montagnosa con il monte Wilhelm che raggiunge i 4.500 metri – l’uomo bianco tardò molto tempo a mettere piede (eppoi non vi ha costruito molto: meno di 20.000 chilometri di strade di cui meno di 800 asfaltate).

Papua Nuova Guinea: grandi bocche, un tempo cannibali!

L'Uccello del Paradiso
L’Uccello del Paradiso

Più esattamente nel 1933 (l’avvenimento è immortalato in un rudimentale filmato proiettato nei resort nei dopo cena, non certo mondani, che seguono le giornate dedicate a visite ed escursioni) tre fratelli australiani esploranti le Highlands, altipiani, apparvero agli indigeni non meno frastornati che stupefatti alla visione di loro simili dai volti tanto pallidi. Il contrasto con la lattea razza anglosassone non poteva che essere impattante, appartenendo i sette milioni di abitanti della PNG a quella melanesiana (dall’antico greco melòs, nero), le cui caratteristiche – oltre alla pelle d’ebano – consistono in una folta dotazione di capelli crespi e in larghissime bocche emananti cordiali e innocenti risate. Una giovialità forse non percepita dal nemico preso prigioniero e contestualmente pappato, almeno un tempo, ma forse forse nella PNG il cannibalismo non è ancora del tutto scomparso. Difficile poi sapere come si capirono gli indigeni Papua e gli esploratori Aussies in quel loro primo, storico meeting: nella Nuova Guinea si parlano più di 800 differenti idiomi (tra i più usati, l’Hiri Motu e il Pidgin melanesiano, un cocktail di dialetti locali e svariate lingue europee buffamente pronunciate).

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