Contenti loro …
D’accordo che
non si può sempre vincere (ne sa qualcosa l’Inter), ma se la lista
delle sconfitte è continua e mai interrotta da un successo, da una
vittoria, beh, sarebbe anche il caso di preoccuparsi e invece, quaggiù
in Bolivia – come peraltro in tutto il resto del Sud America -, il
“leit motiv”, la battuta più sentita è “no se preocupe señor”.
Quanto
alle sconfitte, la storia delle dispute tra la Bolivia e i suoi vicini
di casa (sempre finite con un 2 fisso) quasi quasi intenerisce. Un
tempo le dimensioni della Bolivia erano enormi (mica male anche adesso:
più di un milione di kmq, tre volte e passa l’Italia). Se non che il
Paese dedicato la Libertador Bolìvar si ritrovò a litigare, a turno,
con tutti i dirimpettai e, quel che è peggio, a perdere sempre non meno
che regolarmente.
Guerre finite male. Ai tempi
dell’indipendenza antispagnola una vicenda sulla delimitazione dei
confini vide la perdita di un pezzo di territorio pro Argentina.
Né
andò meglio con il Brasile che – ai confini orientali – fregò alla
Bolivia una bella fetta del Mato Grosso. Restavano Cile, Perù e
Paraguay. Con i primi due Paesi – nella seconda metà dell’800 – le
vicende belliche finirono così “a schifìo” che la Bolivia perse
l’abbondante fetta di terra di sbocco posseduta sul Pacifico e per
somma beffa, il Perù fece spallucce a un Trattato del 1904 che
riconosceva agli sconfitti uno straccio di costa. A ‘sto punto a
“menare” i Boliviani mancava solo il Paraguay, ed eccolo, finalmente,
vincere, nei primi anni Trenta dello scorso secolo, la tragica Guerra
del Chaco; i soldatini delle gelide Ande a morire in un torrido
deserto, non per orgoglio nazionale ma solo perché i due Paesi erano
stati coinvolti in dispute sui pozzi di petrolio tra la Shell e la
Esso.
Non si poteva sorvolare su tanti, ininterrotti disastri ed
ecco pertanto un inno boliviano che con una tristezza inferiore solo
alla frustrazione, recita testualmente: “Perdimos, perdimos, perdimos
otra vez …” (Abbiamo perso, abbiamo perso un’altra volta).
Si paga il pedaggio su tutte le
strade asfaltate della Bolivia. Pertanto, se da quelle parti guidi
un’auto, ci rimetti in soldi. Nel Belpaese ci rimetti in tempo (la
Strada Statale è ancora come ai tempi di S.M.I. Francesco I, quando la
costruirono gli Austriaci, meno di quattro ore non ce le metti).
Evo Morales,
da poco presidente della Bolivia, lo saluto al termine
dell’inaugurazione della Misiòn di Concepciòn. E’ indio andino e come
tale veste.
In Europa si è presentato a re e presidenti in
maglione (la “chompa”, ovviamente da me acquistata e adesso esibita nel
“Milanesado”) mentre nel caldo della pianura boliviana esibisce la
semplice camicetta del “campesino”.
Abbigliamento disinvolto che
da noi provocherebbe qualche critica. Però, poi, se ci pensi bene, a
fotterti e a mettertelo in quel posto (esempi? Banco Ambrosiano,
Parmalat, Cirio) è sempre gente infilata in un perfetto doppiopetto
grigio, cashmere, abiti gessati da grande sartoria.Pensierini e appuntini da una gita in Sud America (tomo primo)