Il pilota, sudato, si slaccia la cintura meccanicamente, apre lo sportello facendo entrare l’aria che sa di fieno e di polvere. Ai bordi della pista è ferma una Land Rover verde con un uomo bianco e due guerrieri Samburu che si appoggiano sulle loro lance, con un’aria nobile e stanca.
Il “Muzungu Saib”, il signore bianco, si incammina verso l’aereo. E’ alto, il fisico ancora possente e squadrato cela bene l’età non più verde. Cammina dritto e deciso. Appena si muove i due Samburu lo seguono – senza che lui faccia un gesto – come due cani da caccia fedeli che danno inizio a una battuta.
Giulio Bertolli si presenta educatamente, con una stretta di mano forte e un sorriso schietto.
Caricate le valige, la Land Rover si addentra in una gola a poche centinaia di metri dalla pista, lasciando dietro di sé una nuvola di polvere a ricoprire le erbe secche e gialle della savana.
Nella foresta di Kitich Camp
Dopo una decina di chilometri, all’improvviso, il paesaggio cambia bruscamente; l’impressione stupita materializza un artista keniota che, con poche pennellate di colore, nette e decise, dipinge un nuovo e gradevole panorama. Mentre attraversiamo la porta immaginaria della foresta di Mathews Range, ci avvolge la stessa emozione che prova un archeologo con la scoperta di un tesoro inseguito per anni.
L’Africa di Hemingway, le sue verdi colline e i trofei dei “kudu”, le intricate selve di Conrad del suo “Cuore di Tenebra”, gli spazi e i colori di Andrè Gide, i ruggiti regali dei leoni e la poesia femminile e delicata di Karen Blixen sono tutti qui, a Mathews Range. Con il respiro dell’Africa vera, l’anima di un’Africa ottocentesca che credevamo perduta è qui, tra le valli e le rupi scoscese di Mathews Range.
Kitich Camp si trova alla fine della pista sterrata.
Sei tende, spaziose e confortevoli, un largo cerchio di pietre dove arde sempre un fuoco e le sedie disposte intorno, per i racconti della sera e le scoperte dei safari, sorseggiando un “gin and tonic” o un “campari orange”; una bella veranda arredata con gusto coloniale-africano che guarda sulla valle e sul torrente. Il campo è tutto qui.
Senza energia elettrica, senza televisione e zelanti receptionist, senza computer, senza animatori invadenti, senza piscina. Per vedere l’ultima Africa, il prezzo da pagare non è poi così alto. E’ piacevole rendersi conto che si può fare a meno di tutte queste cose, della tecnologia del nuovo millennio, che qui perde valore e forza, sovrastata dalla natura e dal rapporto esclusivo che l’uomo ha con questa.