Come sono nati i “disegni”
La tecnica usata per realizzare i disegni è ovunque la stessa. Il suolo del deserto peruviano è fatto di due strati molto diversi tra loro: il più superficiale, formato da pietre e ghiaia vulcanica e profondo pochi centimetri, è più scuro; il secondo, di natura alluvionale, è più chiaro. Quindi agli antichi Nasca bastò grattare la “crosta” del deserto per lasciarvi una traccia praticamente perenne: nella zona di Nasca le piogge sono rarissime, quindi anche l’erosione. Perciò i geoglifi sono giunti intatti fino a noi.
Ma torniamo ai due interrogativi di cui si diceva. Il primo: a cosa serviva quest’opera ciclopica? Kosok e la Reiche vedevano nei geoglifi un immenso “calendario astronomico”, che riproduceva in terra la mappa delle costellazioni.
Oggi un archeologo italiano, Giuseppe Orefici, apprezzato studioso delle civiltà precolombiane, sostiene un’altra tesi più convincente; i “disegni” erano sentieri lungo i quali i Nasca tenevano periodiche processioni rituali. Nessun archeologo, però, ha mai risposto al secondo interrogativo: come facevano i Nasca a vedere (o a immaginarsi di vedere) i disegni dal cielo?
Mongolfiere d’antan
L’unico ad aver tentato di dare una risposta è tale Bill Spohrer: non un archeologo, solo un americano avventuroso, che nel 1975 azzardò un’ardita teoria, secondo cui i Nasca potevano disporre di piccole mongolfiere. Per sostenere la sua tesi, Spohrer fabbricò un pallone ad aria calda, fatto di tessuti simili a certe tele trovate in tombe peruviane di duemila anni fa. Risultato: il pallone si alzò davvero da terra e volò per tre chilometri, ballonzolando all’altezza media di trecentocinquanta metri dal suolo. Poi piombò giù con un atterraggio brusco ma incruento.
Anche il rientro del nostro Chessna a Ica termina in modo brusco ma incruento. Bravo, Xavier: i tuoi antenati Nasca facevano proprio come te. Forse.
Tra la ghiaia riappare la capitale dei Nasca
La capitale dei Nasca si chiamava Cahuachi ed era formata da case modeste, templi e imponenti piramidi a gradoni. Si trovava nei pressi dell’odierna città di Nasca e si stendeva su un’area di ventiquattro chilometri quadrati.
Poi, intorno al 350 d.C., fu distrutta da un terremoto e coperta da colate di fango causate da un’alluvione. Le sue rovine sono state scoperte, scavate e studiate in anni recenti da una coppia di archeologi italiani, Giuseppe Orefici e Elvina Pieri.
Dopo il terremoto, la capitale storica fu abbandonata e il suo posto fu preso da un’altra città, l’attuale Estaqueria. La civiltà dei Nasca sparì del tutto verso il 550 d.C., quando dalle Ande scese un altro popolo, i Wari.