Giovedì 21 Novembre 2024 - Anno XXII

“Naturalmente” Marche

marche

Sulle tracce di un’antica cultura del territorio. Viaggio tra consolidate consuetudini e rinnovati impegni, in sintonia con una natura dalle sorprendenti risorse. Paesaggi, tradizioni, originalità culinarie, artigianato e folclore

La campagna marchigiana nella provincia di Ancona (Enit, Vito Arcomano)
La campagna marchigiana nella provincia di Ancona (Enit, Vito Arcomano)

Il pungitopo a tavola, morbide fibre tessili dalle ortiche, mille usi di profumati semi d’anice: anche questo sono le Marche. Città d’arte, borghi medievali e una campagna luminosa e seducente. Paesaggi dalle linee dolci che invitano alla scoperta, attraversando in auto strade dalle curve morbide. Passati alla lente d’ingrandimento, rivelano unicità, tradizioni intatte, altre che si cerca con tenacia di conservare, nel rispetto del passato ma con un occhio consapevole al presente e verso il futuro.
Come dire che le Marche hanno trovato il modo giusto per affiancare l’innovazione alla tradizione e per rapportarsi oggi come ieri alla natura. E questo lo si vede già ad occhio nudo, valle dopo valle, dorsale dopo dorsale, in un andirivieni di curatissime colture, di frutteti in fiore a primavera, di girasoli e pannocchie d’estate. Il rapporto sereno e reciproco con la natura è evidente.
Con un’originalità in più: progetti sperimentali, piccole iniziative individuali, consuetudini insolite. È così che le memorie si conservano e rimane viva la spontaneità tra i marchigiani e il loro territorio.

Cucina di primavera, i germogli del Montefeltro

Pianta pungitopo
Pianta pungitopo

Si parte dal nord delle Marche, con la provincia di Pesaro-Urbino. Ricco di specialità il Montelfeltro, da gustare all’ombra di splendidi palazzi dai colori caldi, in atmosfere da pieno Rinascimento. Qui i primi “frutti” di primavera, i germogli delle piante spontanee, sono usati come gustosi ingredienti, pronti per una cucina contemporanea che ama questo ritorno alla terra. In più sono benefici e fonte di energie salutari; un concentrato di sali e vitamine.
Un tempo raccolti ai bordi dei sentieri, nei prati e nei boschi, in primavera, quando ancora gli orti non davano frutto, i germogli erano un toccasana per il riequilibrio vitaminico, dopo un inverno dominato dai cibi conservati.
Oggi la raccolta dei germogli è portata avanti per consumo privato, ma è possibile scovarli in agriturismo, dove c’è ancora chi con pazienza si dedica a produzioni realmente tradizionali. Si possono gustare crudi in insalate, sott’olio o anche cotti in frittate e risotti.

Vitalba
Vitalba

Acetosa, cicoria, crescione, ortica, felce, primula, tarassaco, finocchietto, alcune delle piante selvatiche consumate in tutta Italia. Qui per tradizione si raccolgono, secondo i dettami delle nonne, i germogli di tre piante: vitalba, pungitopo e tamaro.
Diffuse lungo le valli dei fiumi Burano, Metauro e Candigliano, i loro germogli hanno un sapore un po’ amaro, è vero, ma anche molto stuzzicante, specialmente se si accompagnano a cibi grassi e corposi, come carni e uova. Vale la pena provarli anche con lo yogurt o ancora meglio, con i profumati formaggi pecorini marchigiani. Si può raccogliere la vitalba lungo sentieri privi di alberi ad alto fusto. Il pungitopo e il tamaro sono invece arbusti del sottobosco. Tutte e tre le piante si trovano a partire dai duecento-trecento metri delle colline; i loro pregi per la salute si fanno però più spiccati con l’aumentare dell’altitudine. La raccolta e la preparazione di conserve vanno da marzo a maggio, giugno.
I germogli di vitalba, pungitopo e tamaro sott’olio sono parte del patrimonio di tipicità marchigiane censite ufficialmente. Ricette semplici ma codificate, in base alle diverse caratteristiche dei germogli.

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In montagna, dalle piante officinali allo zafferano

Tarassaco
Tarassaco

Monti Sibillini, versante maceratese, all’interno del Parco Nazionale omonimo: è in questa splendida cornice naturale che l’Università di Camerino persegue un progetto sperimentale di coltura. Protagoniste erbe officinali e spezie e tra queste il prezioso zafferano (Crocus Sativus).
È un progetto del Dipartimento di Botanica ed Ecologia, in collaborazione con il Gal Sibilla e il “Progetto Agricoltura Sostenibile” del Parco. Cercare per il territorio montano un futuro innovativo, questo l’obiettivo. Qualcosa in più rispetto al semplice turismo naturalistico; nuovi progetti che facciano proprie le tendenze del biologico e dell’alta qualità, anche nell’ottica di favorire la biodiversità e la ricchezza naturale.
Gli impianti, terminati nel 2004, hanno coinvolto quattro aziende agricole. Si è iniziato con melissa, cardo mariano, malva, tarassaco, valeriana e anice verde.
Quindi è stata la volta dei bulbi di zafferano.
Finora, secondo i primi dati parziali, melissa, malva, tarassaco e cardo, patrimonio autoctono marchigiano, sono state le più compatibili con le condizioni dell’esperimento.

Il fiore dello zafferano
Il fiore dello zafferano

Per lo zafferano, non ci sono testimonianze storiche della sua presenza nel territorio. È comunque una coltivazione molto fortunata in aree simili all’Appennino maceratese, come l’altopiano di Navelli in Abruzzo. È infatti una pianta da clima mediterraneo che trova il proprio habitat a cinquecento, settecento metri sul livello del mare.
Proprio la coltura dello zafferano è la più interessante per il territorio (i dati saranno disponibili dopo l’osservazione dei risultati produttivi). Le cure che la pianta richiede, soprattutto durante la fioritura e la raccolta manuale della spezia (che si ottiene dai tre stimmi rossi del fiore) ne limitano la coltivazione a piccoli appezzamenti.
Una condizione perfetta per un recupero agricolo del territorio montano: anche le sue piccole aziende hanno così la possibilità di rinnovarsi e diversificare le produzioni.

Anice profumata tra le colline del Piceno

Pimpinella Anisum
Pimpinella Anisum

Si torna quindi verso la collina, per andare alla scoperta di un prodotto che da decenni stupisce per il suo profumo. È l’anice verde, ingrediente primo di distillati celebri, dalle anisette di ispirazione francese ai “mistrà” della tradizione, conventuale prima e contadina poi. Protagonista anche di ricette dolciarie, in ciambelle morbide, biscotti e mille altre delizie. Non c’è forno nel Piceno da cui non si diffondano nell’aria piacevolissimi effluvi d’anice.
Il territorio è quello ascolano, nel sud delle Marche, e il paese è Castignano, patria storica di una rinomatissima anice verde, coltivata qui in modo intensivo per la prima volta nella Contrada Castiglioni.
La “Pimpinella Anisum” castignanese si distingue infatti per il suo aroma ineguagliabile, dovuto all’alto contenuto di anetolo. Caratteristica di grande pregio che ne ha fatto la prescelta di liquorifici storici delle Marche, da Meletti (Ascoli Piceno) creatore della sua personale “Anisetta” (1870) a Varnelli (Pievebovigliana, Macerata) con il suo “Anice Secco” (1868). Come anche dalla prima azienda che nelle Marche si è specializzata nei liquori a base d’anice, con la “Anisina Olivieri” (Porto S. Giorgio, Fermo) creata nel 1830.

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Semi di anice verde
Semi di anice verde

Uniche anche le caratteristiche del territorio che la produce: argilloso, calanchivo e in pendenza, ideale per il clima e l’esposizione solare.
Una coltivazione oggi molto ridotta nel Castignanese, nonostante le Marche, insieme a Emilia Romagna, Abruzzo e Puglia, mantengano il primato in Italia nella produzione di questa varietà d’anice. Una coltura delicata che necessita concimazione naturale e cura totalmente manuale nell’estirpazione delle piante, battitura e raccolta dei semi.
Il suo profumo è ancora nei dolci della tradizione e nei distillati, per digestivi, cocktail, long drink e aromatici caffè. Sedersi ai tavolini all’aperto dello storico Caffè Meletti, nella “piazza salotto” di Ascoli Piceno e sorseggiare un’anisetta con acqua e ghiaccio, è sicuramente un piacere che vale la pena assecondare.

Fibre tessili dalle piante: tradizione locale

Canapa in fase di asciugatura
Canapa in fase di asciugatura

L’itinerario conduce sulla costa, nella Riviera delle Palme e precisamente a San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno). Un viaggio tra palme e oleandri che riserba una vera sorpresa. Un piccolo laboratorio amatoriale di tessitura antica.
Abbandonato il movimento del centro abitato, si percorre per un piccolo tratto la Contrada Monte Renzo (traversa della Strada Statale n°16) che subito si inoltra in piena campagna: attraversando un ponticello (il terzo) sulla sinistra, si incontra una casa apparentemente comune, immersa nel verde.
Qualcosa di diverso e importante però c’è. Non un museo, non una raccolta di oggetti antichi e in disuso, ma una vera e propria ricostruzione dei tempi andati.
Telai originali del Settecento e Ottocento, restaurati e rimessi in funzione; la famosa ruota dei funai sambenedettesi che qui continua a produrre le sue corde in canapa e sullo sfondo piccoli campi di lino, canapa e cotone.

La bollitura della ginestra
La bollitura della ginestra

Il piacere di passare qui qualche ora è che oltre a poter vedere dal
vivo molte delle attività che erano consuete nelle case contadine, come
fare il pane in casa o lavare i panni con la cenere, sbiancante, si può
scoprire come da molte piante si possano ricavare fibre tessili, con
gli strumenti di allora, quelli artigianali.
Naturalmente dalla canapa (varietà “Fibranova”) e dal lino. È possibile seguire le diverse fasi del processo, secondo il periodo e le stagioni. Si può comunque sempre assistere alla sfibratura della pianta essiccata, tramite strumenti che la preparano ad essere filata con fuso e arcolaio e infine tessuta al telaio.
Così, semplicemente, si può veder ridurre le piante in una materia sempre più vicina alla fibra tessile finale.
Qui si estraggono inoltre fibre anche dalle piante spontanee. Dalla ginestra, tipica pianta della campagna ascolana, viene ricavata un’ottima fibra per mezzo di un  procedimento laborioso e davvero particolare da osservare.

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Lana di ginestra
Lana di ginestra

I fuscelli, uniti in fasci, vengono messi a cuocere. Durante la cottura viene a volte aggiunta la cenere, per sbiancare le fibre. Dopo una bollitura di due ore, segue la macerazione in acqua per circa otto giorni. Il tutto viene coperto con il “sabbione” (sabbia grossolana di fiume) e sfregato con le mani o con i piedi (“ballo della ginestra”) per separare la fibra dal legno. La fibra è di nuovo lavata e strizzata per creare panetti, poi battuti per eliminarne la pellicina verde. Da battitura e lavaggio alternati si ottiene, e sembra veramente di assistere a una magia, la fibra pronta per essere cardata, filata e tessuta.
C’è poi il gelso (dai rami) per una fibra luminosa come la seta. E infine la sorprendente ortica. Dalla più ruvida delle piante, si ottiene una fibra bella e morbida, estratta con una lavorazione molto simile a quella della canapa o con la cottura nella cenere.

Notizie utili

Per la Vitalba e il Tamaro

– Le Botteghe del Montefeltro
Urbino, tel. 0722 986530
info@lebotteghedel
montefeltro.it
– Gal Sibilla
Camerino (Macerata) tel. 0737 637552
info@galsibilla.it

Università di Camerino
Dipartimento di Botanica ed Ecologia
tel. 0737 404505
diboec@unicam.it

Fattoria “Lu Mucchiu” di Renato Ferretti
Cascina da Monte Renzo, 29 – 63037 San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno)
tel. 0735 656409
lumucchiu@yahoo.it

(Fonte: Atlante dei Prodotti Tipici Italiani, INSOR, 1989-1995)

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