Venerdì 23 Maggio 2025 - Anno XXIII

Tropici nostrani. In attesa dei “bagnanti mutanti”

Cervo

Ricordo della Beau Rivière des Palmes. Mare, un sacco di gente, la sabbia grigia che scotta, senso di soffocamento. E le montagne retrostanti sotto un cielo nero. L’anno prossimo si può non cambiare meta, ma sarà forse meglio cambiare mente

La Liguria di Ponente era una terra bellissima. Poi si è popolata di seconde case, riempita di bagnanti e svuotata di alberghi e di spazi verdi. Nascosti, sopravvivono edifici incantevoli e boschi rigogliosi. Bisogna solo andare e cercare.

Loano, l’ultima spiaggia “1”

La spiaggia di Loano come dovrebbe essere
La spiaggia di Loano come dovrebbe essere

Pance molli all’orizzonte. Niente topless, per carità. La battigia degli sfatti ha inaugurato la stagione e Carlotta Camilla, diciannove anni, secca come un manico di scopa a digiuno, si trascina in mezzo a loro fino al lettino giallo.  Si figura che tutti la ammirino. Qualcuno che in un’altra vita è stato un cane, a vedere tutte quelle ossa tintinnare, magari la osserva sbavando. I più la guardano senza notarla, come se fosse un foglio messo di traverso. Sudore che cola, lacrime di bambini e secrezioni assortite: questa è la Riviera delle Palme. Loano, per la precisione.
Carlotta e le sue amiche, Sarah con l’acca, Gaja con la “i” lunga e Ginevra  (ragazzetta puntuale come un orologio svizzero) quartetto spilliforme e lagnoso, con tanga vertiginoso e spirito da Monaca Clarissa dalla Fibula Dora, vegetano inanimate con l’MP3 nelle orecchie che, vista la stolidità dell’espressione dei soggetti in esame, deve essere un prototipo alieno di svuotatore di memoria. I ragazzi si tuffano per far colpo su di loro senza sapere che le quattro ninfe, fra tre lustri circa, saranno uguali o quasi a quei bonzi femmina con al fianco corredo di minuscolo neonato infiocchettato e padre premuroso e attento: una triade che sarebbe bello spedire su Giove.
Ottuagenarie fanno la lezione di Acquagym sulla riva del mare, creando movimenti sismici che si ringrazia il cielo che non ci si trova su una faglia.  Disgraziatissimi nonni sono costretti alla servitù della gleba di nipotini striduli che gli Ebrei di Mosè al confronto non erano schiavi in Egitto, ma profeti in vacanza-premio a Sharm El Sheik.

Loano, l’ultima spiaggia “2”

Una finta finestra sulla facciata di una casa
Una finta finestra sulla facciata di una casa

L’unica cosa bella sono gli innamoramenti struggenti, che se si potessero materializzare, la spiaggia sarebbe un tappeto di cuori trafitti. Non un granché, come consistenza da attraversare a piedi scalzi, ma in generale una poetica poltiglia.
I bagnini trascorrono le ore di vedetta a scrutare sederi e a vessare extracomunitari. Da abbattere i padri intrattenitori, quelli che si credono di far divertire i figli. Ce n’è uno che ogni santo giorno costruisce, pittura e fa volare un nuovo aquilone. I figli si disperano oltre ogni dire, ma stoicamente abbozzano. L’aquilone di due giorni fa aveva un sole, quello di ieri una cometa rampante, oggi ha uno sfondo di astri con luna. I vicini d’ombrellone si scervellano nel rovello su quale sarà il soggetto astronomico del giorno seguente. E l’estate continua così, in un continuo giramento di stelle.
I bagni chiudono puntualmente ogni sera alle diciannove, per evitare che le zucche vuote che affollano la spiaggia possano, a causa della stregoneria della notte, trasformarsi in esseri pensanti.  A ben guardare, si tratta di una precauzione inutile.

Loano, svendesi carruggi
Piazza Duomo
Piazza Duomo

Dietro la spiaggia, una palazzata di casette colorate che, se fossimo in Francia e il posto si chiamasse Saint Loen du Grand Palais, verrebbero perfino dai Caraibi per passarci un fine settimana, ma evidentemente siamo caduti in una distorsione sensoriale dove il bello non viene più percepito come tale.  Camminando nel carruggio di Loano si arriva a una piazzetta incantevole, con una quattrocentesca casa porticata. E che ci sta a fare, se nessuno la guarda?  Tutto quello che non ha un prezzo spaventevole è in svendita.  Negozietti tutto a un euro, abbigliamento a meno di otto euro, mutande sottocosto, pesto che costa come se i pinoli arrivassero a piedi da Marte, “troffie” vendute a somme proibitive, che sarebbe giusto ribattezzare “truffie”; il “budello” offre questo tipo di bellurie.  La piazza è insieme quella del comune e quella della chiesa: un gioiello per le due strutture architettoniche, quella della seicentesca chiesa di San Giovanni Battista, a pianta dodecagonale e quella rinascimentale di Palazzo Doria, attualmente sede del comune, coronate da altra piccola chiesa, torre antica e parchetto con fontana. La piazza, rotonda, sarebbe perfetta per gestione dei volumi, se non fosse per un mostruoso edificio in costruzione, un cubo bianco di gravosa pesantezza con tanto di dantesca discesa ai box.

Processione in riva al mare

Loano La chiesa dalla quale parte la processone
La chiesa dalla quale parte la processione

Dandogli opportunamente le spalle, quando è buio si vede il pentacolo disegnato sul cerchio illuminato da faretti azzurri inseriti nel pavimento (tipo Codice da Vinci, ma senza Santo Graal nascosto sotto le piastrelle). Il portale della chiesina di sera resta aperto. Dentro ci sono un grosso crocefisso con un Gesù nero e un gruppo scultoreo in legno conosciuto come la Madonna dei Marinai. Ogni anno a Loano, il due luglio, la Madonna viene portata in processione con tutti i crocefissi. Se ne vanno insieme sul lungomare, a salutare i flutti per ingraziarseli. La madonna, con dietro un immenso mazzo di fiori bianchi, si muove ballando, trasportata da una ventina di forzuti marinai che l’accompagnano davanti al mare e la sollevano il più in alto possibile perché lei possa guardare l’orizzonte e proteggerli. La settecentesca torre dell’orologio sta sopra un arco che attraversa il carruggio principale. Quando le alte croci e il gruppo statuario ci devono passare sotto, è una bella faticaccia e un momento commovente più unico che raro, nelle mille sagre e manifestazioni che infestano i paesi della zona. La processione non è fatta per i turisti, perché non inizia alle ore ventuno e non ci sono avvisi in ogni dove. La madonna che balla non ha niente di blasfemo; anzi, è dolcissima.

Entroterra a chi?
Castelvecchio
Castelvecchio

Apt di Loano, ore dodici di un sabato di alta stagione. “Potrebbe indicarmi qualche posto interessante nell’entroterra, oltre a Finalborgo e alle grotte di Toirano?”. “Non c’è niente”. “Qualcosa di simpatico?”. “No, solo paesini deserti con i muri rotti”.
Anche Pompei e i Fori Imperiali corrispondono alla descrizione e quindi questa deve essere una brava promotrice turistica, se ha il coraggio di fare tali arditi paragoni. Vabbé, c’è da dire che il tipico soggetto che plana in questa landa, va in gita solo quando fa brutto e non può scendere alla spiaggia. A fare le passeggiate si deve andare in una bella giornata, tanto per cominciare. Concetto che non viene palesato di frequente, perché altrimenti non si spiega come gli album fotografici pullulino di riproduzioni su sfondo marrone pozzanghera di posticini usualmente solari e ridenti.

Ma l’entroterra di Loano, c’è!
Per le vie di Zuccarello
Per le vie di Zuccarello

Salendo sulle montagne, in dieci minuti si incontra la foresta.
Castelvecchio di Rocca Barbena, Zuccarello e il più silenzioso di tutti, Balestrino, abbandonato causa presunto bradisismo che mai l’ha distrutto. Ci manca solo di essere superati dalle balle di paglia che si vedono nei film western e la desolazione è servita. Se la piazza non fosse chiusa perché pericolante (non perché vittima dei movimenti tettonici, ma di un crudele abbandono) ci sarebbe da guardare più da vicino ogni cosa, a partire dal Castello. Perché restaurare un gioiello quando si possono costruire deformità edilizie presso il mare a impedimento della sua vista e del suo respiro? I portici ombreggiati di Zuccarello, cittadella medievale fortificata sul fiume Neva, non sono granché abitati, ma il paese è tutto impacchettato per restauri, che si sperano conservativi. Castelvecchio è in gran parte in mani nordiche e le sue case medievali dalle terrazze fiorite sono diventate a quanto pare preda olandese. Erano comunque troppo lontani dalla riva, per l’aspirante bagnante nostrano.
Santuario della pace e della riconciliazione a Monte Croce. Strada sterrata su costolone tra due precipizi: nessuna paura, per chi ha fede, comunque meglio non andarci in camper o con il tir. La struttura anni Cinquanta, piccola e tristarella, ci si chiede come mai non sia dotata di copertura in eternit (che l’abbiano di recente sostituita?); l’edicola votiva esterna sfondo oro è un artistico riciclo da qualche discoteca dismessa degli anni Settanta, ma il Gesù bianco che abbraccia i monti è semplicemente poetico e la vista fino alla Corsica pure. Eccola qui, la riconciliazione.

Vino e buoi
Monte Carmelo
Monte Carmelo

Lontano solo un attimo dalla bolgia loanese si staglia, maestoso e scrostato, il Monte Carmelo, monastero seicentesco contenente quattro teneri fraticelli anch’essi piuttosto antichi, che producono qualche vasetto di miele e alcune sparute bottiglie di uno strepitoso Vermentino. Magnifico, oltre al fuori, l’interno, il cui lindore monacale si specchia nelle pareti bianche (sono caratteristici del barocco ligure i banchi interni inondati di luce) ed è per questo che, uscendo, le troppe costruzioni feriscono. È un paesaggio di impalcature e lavori in corso, quello che si osserva dalla collina dei frati viticoltori. Appena sopra Monte Carmelo c’è una delle molte ville dei Doria, famiglia genovese che per gran tempo ebbe la signoria sul paese. Sono tutti morti e il loro celebre buon gusto se lo devono essere portato nella tomba, che hanno zincato con la fiamma ossidrica per non farne uscire nemmeno un afflato. L’impressione che si ha in questo posto è che il più di ciò che si vede sia un impedimento alla visione di ciò che dovrebbe essere visto.  Tutte le cose belle – che sono tante – sono obnubilate dalla poca grazia degli edifici circostanti, le tragiche seconde case, che hanno prima preso il posto degli alberghi, ora scomparsi, poi dei giardinetti e delle pinete e ora anche degli interstizi tra un edificio e l’altro. E non si parla di case popolari, ma di residenze con l’erre maiuscola, dai nomi sconcertanti, con rifiniture di pregio e palmizi coatti.

C’era una volta …
Balestrino
Balestrino

I vacanzieri seriali, che affollano queste spiagge da trent’anni, si scusano di aver prediletto questa meta dicendo cose tipo “il re del Botswana mi aveva invitato a caccia di Pafnuzi maculati, ma alla fine ho prenotato al residence il Pino Secco”; “Ho nella tasca del costume un biglietto per le Cayman, ma ho scoperto che lì non hanno la focaccia”.  Noi li trattiamo così, i nostri tropici, offendendoli e occultandoli sotto una montagna di bilocali vista niente, perché il mare il più delle volte te lo devi scordare e la collina verde pure.  E così, di piano terra in piano mansardato e di gru in gru, si nega affetto a un luogo che se lo meriterebbe ancora. Certo, qui più che altrove serve l’immaginazione e questo posto bisogna esercitarsi a pensarlo vuoto, di gente e di mini-appartamenti. Compiuta tale operazione, però, ciò che resta è di una delicatezza impareggiabile.  Amare certi luoghi impone un cambio di prospettiva, una dedizione che in un certo senso assomiglia a una deviazione. Qual è la speranza? Che i villeggianti trichechiformi si trasformino in acuti viaggiatori e che finalmente dall’acqua sorga la stirpe dei bagnanti mutanti.

LEGGI ANCHE  Vigevano omaggia Henri Cartier-Bresson, pioniere del fotogiornalismo
Condividi sui social: