Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Tropici nostrani. In attesa dei “bagnanti mutanti”

Cervo

Ricordo della Beau Rivière des Palmes. Mare, un sacco di gente, la sabbia grigia che scotta, senso di soffocamento. E le montagne retrostanti sotto un cielo nero. L’anno prossimo si può non cambiare meta, ma sarà forse meglio cambiare mente

Ma l’entroterra di Loano, c’è!

Per le vie di Zuccarello
Per le vie di Zuccarello

Salendo sulle montagne, in dieci minuti si incontra la foresta.
Castelvecchio di Rocca Barbena, Zuccarello e il più silenzioso di tutti, Balestrino, abbandonato causa presunto bradisismo che mai l’ha distrutto. Ci manca solo di essere superati dalle balle di paglia che si vedono nei film western e la desolazione è servita. Se la piazza non fosse chiusa perché pericolante (non perché vittima dei movimenti tettonici, ma di un crudele abbandono) ci sarebbe da guardare più da vicino ogni cosa, a partire dal Castello. Perché restaurare un gioiello quando si possono costruire deformità edilizie presso il mare a impedimento della sua vista e del suo respiro? I portici ombreggiati di Zuccarello, cittadella medievale fortificata sul fiume Neva, non sono granché abitati, ma il paese è tutto impacchettato per restauri, che si sperano conservativi. Castelvecchio è in gran parte in mani nordiche e le sue case medievali dalle terrazze fiorite sono diventate a quanto pare preda olandese. Erano comunque troppo lontani dalla riva, per l’aspirante bagnante nostrano.
Santuario della pace e della riconciliazione a Monte Croce. Strada sterrata su costolone tra due precipizi: nessuna paura, per chi ha fede, comunque meglio non andarci in camper o con il tir. La struttura anni Cinquanta, piccola e tristarella, ci si chiede come mai non sia dotata di copertura in eternit (che l’abbiano di recente sostituita?); l’edicola votiva esterna sfondo oro è un artistico riciclo da qualche discoteca dismessa degli anni Settanta, ma il Gesù bianco che abbraccia i monti è semplicemente poetico e la vista fino alla Corsica pure. Eccola qui, la riconciliazione.

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Vino e buoi

Monte Carmelo
Monte Carmelo

Lontano solo un attimo dalla bolgia loanese si staglia, maestoso e scrostato, il Monte Carmelo, monastero seicentesco contenente quattro teneri fraticelli anch’essi piuttosto antichi, che producono qualche vasetto di miele e alcune sparute bottiglie di uno strepitoso Vermentino. Magnifico, oltre al fuori, l’interno, il cui lindore monacale si specchia nelle pareti bianche (sono caratteristici del barocco ligure i banchi interni inondati di luce) ed è per questo che, uscendo, le troppe costruzioni feriscono. È un paesaggio di impalcature e lavori in corso, quello che si osserva dalla collina dei frati viticoltori. Appena sopra Monte Carmelo c’è una delle molte ville dei Doria, famiglia genovese che per gran tempo ebbe la signoria sul paese. Sono tutti morti e il loro celebre buon gusto se lo devono essere portato nella tomba, che hanno zincato con la fiamma ossidrica per non farne uscire nemmeno un afflato. L’impressione che si ha in questo posto è che il più di ciò che si vede sia un impedimento alla visione di ciò che dovrebbe essere visto.  Tutte le cose belle – che sono tante – sono obnubilate dalla poca grazia degli edifici circostanti, le tragiche seconde case, che hanno prima preso il posto degli alberghi, ora scomparsi, poi dei giardinetti e delle pinete e ora anche degli interstizi tra un edificio e l’altro. E non si parla di case popolari, ma di residenze con l’erre maiuscola, dai nomi sconcertanti, con rifiniture di pregio e palmizi coatti.

C’era una volta …

Balestrino
Balestrino

I vacanzieri seriali, che affollano queste spiagge da trent’anni, si scusano di aver prediletto questa meta dicendo cose tipo “il re del Botswana mi aveva invitato a caccia di Pafnuzi maculati, ma alla fine ho prenotato al residence il Pino Secco”; “Ho nella tasca del costume un biglietto per le Cayman, ma ho scoperto che lì non hanno la focaccia”.  Noi li trattiamo così, i nostri tropici, offendendoli e occultandoli sotto una montagna di bilocali vista niente, perché il mare il più delle volte te lo devi scordare e la collina verde pure.  E così, di piano terra in piano mansardato e di gru in gru, si nega affetto a un luogo che se lo meriterebbe ancora. Certo, qui più che altrove serve l’immaginazione e questo posto bisogna esercitarsi a pensarlo vuoto, di gente e di mini-appartamenti. Compiuta tale operazione, però, ciò che resta è di una delicatezza impareggiabile.  Amare certi luoghi impone un cambio di prospettiva, una dedizione che in un certo senso assomiglia a una deviazione. Qual è la speranza? Che i villeggianti trichechiformi si trasformino in acuti viaggiatori e che finalmente dall’acqua sorga la stirpe dei bagnanti mutanti.

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