Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Il treno e la rivoluzione dell’ora

Risale all’anno 1893 il decreto con il quale l’ora, nel nostro Paese, è stata regolata sul meridiano dell’Europa centrale. E prima? Cosa succedeva quando l’ora non era coordinata tra luogo e luogo? Con quali approssimazioni vivevano i nostri bisnonni?

Nella penisola, si viaggiava con tre “ore” ufficiali!

Il treno e la rivoluzione dell’ora

In Italia, Paese di tardiva unificazione, il problema di un coordinamento nazionale dell’ora si pone dopo l’Unità e per la prima volta, il 22 settembre del 1866, Vittorio Emanuele II decreta:
“Il servizio dei convogli nelle ferrovie, quello dei telegrafi, delle poste, delle messaggerie e dei piroscafi postali nelle Province continentali del Regno d’Italia, verrà regolato col tempo medio di Roma, a datare dal giorno in cui sarà stato attivato l’orario delle strade ferrate per la prossima stagione invernale 1866-67”. Nell’articolo successivo aggiunge: “Nelle isole di Sicilia e di Sardegna i servizi predetti saranno regolati da un meridiano preso sul luogo nelle rispettive città di Palermo e di Cagliari”. Dunque, l’Italia ha tre ore diverse, una per la penisola e due per le isole. Ma si tratta sicuramente di un grande passo avanti, visto che nei tempi precedenti all’Unità ogni Stato adottava una propria ora diversa; e si sa quanti fossero gli Stati italiani.

Il treno e la rivoluzione dell’ora

Non solo. Nell’Italia dei primi decenni dell’Ottocento – quando un viaggio tra Milano e Roma durava centodieci ore – esisteva anche un diverso modo di misurare l’arco della giornata, da Stato a Stato. I più adottavano quella che, appunto, si chiamava “ora italiana” e che misurava il giorno a partire da mezz’ora o un’ora dopo il tramonto del sole.
Pochi altri – quello Sabaudo in particolare – adottavano l’ “ora oltremontana o alla francese”, che misurava il giorno a partire dalla mezzanotte. L’ora italiana, nella sua imprecisione, era sicuramente la più popolare, legata a ritmi naturali piuttosto che a un “artifizio invisibile” come la mezzanotte: la gran parte della gente non possedeva l’orologio, strumento da ricchi; il tramonto, per quanto approssimativo, lo vedevano tutti.
Era una società rurale, con esigenze legate soprattutto ai lenti cicli della campagna. Le ore venivano scandite dagli orologi dei municipi e dei campanili, i rintocchi si udivano lontano, non c’erano a quel tempo rumori di fondo in grado di coprirli. I municipi davano l’ora civile, quella che gli osservatori astronomici avevano il compito di conservare, tramite l’utilizzo dei pendoli.

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Dal 1893, l’ora dei treni è la “nostra” ora

Royal Observatory di Greenwich
Royal Observatory di Greenwich

Ancora alla fine del Settecento l’abate-astronomo padovano Giuseppe Toaldo, in un volumetto in cui lamenta gli inconvenienti dell’ora all’italiana, fa un’osservazione che dà l’idea di quel mondo lento e impreciso: “Per l’uso civile anche un quarto d’ora di differenza non fa gran pregiudizio”. L’ora italiana viene comunque progressivamente abbandonata nella prima metà dell’Ottocento, anche per rispondere all’esigenza di non creare ambiguità di data, tra Stato e Stato, negli atti ufficiali (e magari nelle dichiarazioni di guerra o nei trattati di pace: quanti soldati saranno morti per equivoco?).
Bisogna tuttavia arrivare al 1893 per trovare il provvedimento che determina l’ora ufficiale in Italia: è il decreto numero 490 del 10 agosto, e porta la firma di Umberto I.
Si compone di tre articoli: “Art. 1 – Il servizio delle strade ferrate
in tutto il Regno d’Italia verrà regolato secondo il tempo solare del
meridiano situato quindici gradi a Est di Greenwich, che si denominerà
tempo dell’Europa centrale.
Art. 2 – Il computo delle ore di ciascun giorno per servizio ferroviario verrà fatto di seguito da una mezzanotte all’altra.
Art.
3 – Le disposizioni precedenti entreranno in vigore nell’istante in
cui, secondo il tempo specificato all’Art. 1, incomincerà il 1°
novembre 1893 e da quell’istante cesserà di aver vigore qualunque altra
disposizione contraria”.
Come si vede è qui precisato che il giorno
comincia a mezzanotte, e ciò fa presumere che in qualche parte d’Italia
si utilizzasse ancora il conto “all’italiana”. In secondo luogo, l’ora
legale viene specificamente introdotta per esigenze ferroviarie,
esattamente com’era avvenuto in altri Paesi. Tuttavia il decreto del
1893 resta l’unico che detta norme sull’ora, nata come ora ferroviaria
e diventata a tutti gli effetti, per forza di prassi, ora civile.
Mai,
nessuna altra legge, ha sancito la trasformazione dell’ora ferroviaria
in ora ufficiale del Paese. Quel decreto, dunque, è 113 anni dopo,
ancora attuale e d’uso comune.

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